STATO DELLO SVILUPPO DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE NEL PUBBLICO  IMPIEGO

 

 

 

I comunicati inseriti nel sito espongono i risultati delle trattative per la costituzione dei Fondi Complementari Nazionali “Enti Locali - Sanità”; e “Stato - Agenzie Fiscali - Parastato”. Tuttavia ci sembra opportuno riassumere in forma sintetica la situazione complessiva dello stato della previdenza complementare nei nostri settori e dei problemi che ne impediscono il decollo.

 

 

A)  LA RIFORMA DELLE PENSIONI EX LEGGE 335/95

 

Come è noto la riforma Dini nel lontano 1995 ha istituito la previdenza complementare a capitalizzazione e contribuzione definita: vale a dire la costituzione di una rendita previdenziale attraverso conti individuali gestiti con strumenti finanziari e caratterizzati dalla certezza della contribuzione.

 

Parte importante della previdenza complementare erano e sono i cosiddetti fondi “Chiusi o Contrattuali” costituiti attraverso accordi contrattuali realizzati dalle parti istitutive (OO.SS. dei lavoratori e dei datori di lavoro). Attualmente quasi tutto il mondo del lavoro privato ha il proprio fondo di previdenza complementare contrattuale mentre nel pubblico impiego, tranne l’eccezione del fondo ESPERO dei dipendenti della scuola, ancora non ne é stato costituito alcuno.

 

 

B)  IL PUBBLICO IMPIEGO

 

Il finanziamento della previdenza complementare nei settori privati avviene prevalentemente con l’uso del TFR.  Nei settori pubblici tale istituto non esiste mentre esiste l’indennità di buona uscita. La differenza sostanziale tra i due istituti è che mentre il primo è costituito da risorse reali accantonate dal datore di lavoro e quindi spendibili in una gestione a capitalizzazione, il secondo è rappresentato soltanto da scritture contabili.

Questa differenza ha provocato grandi difficoltà fino a che con gli accordi interconfederali del 2000 si è pensato di costituire nel P.I. il cosiddetto TFR “virtuale”.

 

Ciò è stato reso necessario perché trasformare il trattamento di buona uscita dei pubblici dipendenti in TFR reale, per poterlo investire sui mercati finanziari sarebbe costato molte migliaia di miliardi ed avrebbe impedito qualsiasi possibile soluzione.

 

Pertanto al lavoratore che si iscriverà ad un fondo pensione del pubblico impiego il trattamento di buona uscita sarà trasformato in TFR ma “virtuale”, vorrà dire, che sarà solo una scrittura contabile, rivalutato ogni anno secondo la media del rendimento di cinque fondi pensione contrattuali nazionali.

 

Questa condizione non é penalizzante per il lavoratore in quanto al momento dell’uscita le risorse diventeranno reali e il rendimento come media di cinque fondi pensione é più conveniente in quanto diversifica il “rischio”. La parte maturata di indennità di buonuscita fino alla adesione al Fondo Pensione sarà “bloccata” e rivalutata nel tempo secondo le modalità del TFR in base alla legge 297/82, vale a dire lo 0,75% della inflazione annua più l’1,5 fisso. Tuttavia per coloro i quali siano stati assunti dal primo gennaio del 2000 il tfr è reale e gli accantonamenti del datore di lavoro pubblico debbono essere reali.

 

La fonte di finanziamento della previdenza complementare a capitalizzazione è costituita oltre che dal TFR anche dal contributo del datore di lavoro e dal contributo del lavoratore.

 

Accanto a queste fonti di finanziamento, i lavoratori del pubblico impiego che versano il 2,50% per costruirsi la indennità di buonuscita (tutti tranne il Parastato) e che aderiranno al Fondo Pensione avranno un ulteriore 1,50% virtuale.

 

 

C)  LE TRATTATIVE IN CORSO

 

Le trattative in corso, sospese da un anno prima dello sciopero generale del pubblico impiego del 21 maggio, riguardano due punti:

 

-         il contributo del datore di lavoro;

-         la cosiddetta quota di avvio.

-          

Il Decreto del Governo per le amministrazioni centrali (scuola, ministeri, agenzie fiscali, etc) ha fissato e finanziato nella misura dell’1% della retribuzione utile al calcolo del TFR la quota del datore di lavoro, in più, come incentivo alla iscrizione verserà una quota aggiuntiva dell’1% del tfr per il primo anno e lo 0,50% per il secondo anno.

Sulla cosiddetta quota di avvio il fondo ESPERO del comparto scuola ha avuto 2,58 euro per addetto (circa 3 milioni di euro) per le spese di avvio del fondo stesso.

 

La trattativa nel settore enti locali e sanità per la costituzione del relativo fondo si è arenata proprio su questi due punti. L’Aran non ha gli strumenti per poter concedere al settore il cosiddetto incentivo della parte relativa alla quota del datore di lavoro, in quanto su questo deve deliberare il relativo comitato di settore. Pertanto il contributo del datore di lavoro sarebbe sempre l’1% della retribuzione utile al TFR senza incentivo per il primo o secondo anno.

 

Perciò che attiene la cosiddetta “quota di avvio” (le risorse necessarie affinché il fondo pensione possa operare nella prima fase) l’Aran ha sostenuto che anche qui occorre una delibera del comitato di settore.

 

Per questo fondo vale la pena di ricordare che il governo non ha ancora emanato i decreti del potere di nomina degli amministratori in rappresentanza dei datori di lavoro. Pertanto se si arrivasse allo stato attuale ad un accordo, il fondo non potrebbe essere costituito perché nessuno ancora ha il potere di nominare gli amministratori della parte datoriale.

 

La trattativa per la costituzione del fondo pensione contrattuale “Stato - Agenzie Fiscali - Parastato” ancora non è conclusa positivamente per i motivi seguenti:

 

1)     contribuzione a carico del datore di lavoro  (cosiddetta quota del datore di lavoro):

il comparto dello Stato - Agenzie Fiscali appartenendo alla amministrazione centrale è finanziata direttamente con decreto su indicato. Pertanto la quota del datore di lavoro sarà dell’1% della base imponibile del tfr più l’incentivo per il primo e secondo anno di iscrizione pari all’ulteriore 1% per il primo anno e o,50% per il secondo anno.

Mentre per il settore del Parastato è necessario reperire le risorse per il cosiddetto incentivo del primo e secondo anno di iscrizione e sul quale deve deliberare il comitato di settore.

Inoltre per il settore del Parastato le voci che vengono prese in esame per la base imponibile per il calcolo del TFR rappresentano circa il 55% del salario di fatto, ciò é inaccettabile in quanto non assicura un trasferimento di risorse al fondo pensione in grado di realizzare una copertura previdenziale adeguata.

 

2)     Quota di avvio per il funzionamento del fondo pensione.

Per il comparto Stato su questa questione non dovrebbero esserci problemi perché già finanziata mentre per il settore del parastato occorre una deliberazione del comitato di settore.

 

 

Come vedete i problemi sono molti e complessi e richiederanno a settembre una grande determinazione da parte nostra affinché si possano risolvere positivamente dando vita ai fondi pensione complementari nel nostro settore.

D’altra parte, con la delega approvata dal governo entreranno nei nostri settori, a parità di condizioni, altri soggetti (fondi aperti, polizze assicurative), pertanto è necessario ad ogni costo che siano presenti i fondi pensione complementari.

 

Roma, 5 agosto 2004

 

 

Il Responsabile della Previdenza Fp Cgil Nazionale

Alessandro Ruggini