ARTICOLO DI STAMPA

 

"SIGNORI DEGLI AGNELLI IN DIVISA DA AGENTI"

Mamone senza detenuti per l’indulto: guardie costrette a mungere gli animali.

 

 

Mamone.  Da quando le pecore si sono messe a figliare qui non c’è neanche il tempo di fumare una sigaretta e già a metà mattina il comandante Giuseppe Fancellu comincia a sbottonare l’elegante giacca della divisa e, col cellulare incollato all’orecchio, risponde alle chiamate dei suoi uomini spediti al fronte. “Cooosa? Le mucche hanno sfondato la rete?”. Meno male che a giorni arriveranno 11 nuovi detenuti. Una benedizione, per i 140 agenti della colonia penale di Mamone, che, ormai da due mesi, finito il turno si dedicano ad una missione speciale: salvare 800 pecore, 400 mucche e 300 maiali, rimasti senza uno straccio di pastore causa l’indulto dell’agosto scorso.

Agenti al fronte.  “Da 260 detenuti siamo passati a 30 e adesso speriamo davvero ne arrivino altri perché, altrimenti, qui non sapremmo davvero come fare. Questa è un’azienda agricola che, se non si trova una soluzione, rischia di chiudere…” Vincenzo Alastra, 63 anni, originario di Trapani, una carriera fatta in Sardegna, (“ho cominciato ventenne all’Asinara”), dirige la colonia penale di Mamone dal 2004 e in pochi mesi è riuscito a trasformare in un gioiello (che fattura un milione di euro all’anno) una struttura rimasta per lungo tempo senza una direzione fissa. Responsabile della segreteria regionale del Provveditorato alle carceri, parte della settimana sta a Cagliari, mentre nel weekend preferisce lavorare quassù, nel piccolo ufficio di una palazzina inizio Novecento che, con la chiesa e gli alloggi decadenti dell’ex villaggio, sta in mezzo ad una tenuta di tremila ettari di pascoli ed uliveti, caseificio e macello, officine e porcilaie. “C’è tantissimo da fare e, proprio per evitare che vada tutto in malora, qui ci siamo rimboccati le maniche”. Pure il direttore che, nelle ultime settimane, “da quando le pecore stanno figliando”, s’interessa di agnelli da svezzare, pecore da mungere, reticolati da sistemare.

Giornate in campagna.  “Diretto’, c’è qualche pecora con sospetti problemi di mastite: bisogna chiamare l’agronomo”. Il comandante Fancellu ( 46 anni di Montresta) è appena rientrato dal primo giro nel salto di Mamone e adesso, qui nell’ufficio del dottor Alastra, lui e il direttore parlano come due vecchi pastori. “Una pecora con l’infezione alle mammelle è una pecora persa”. Là fuori ci sono gli agenti che guidano il trattore carico di fieno, quelli che puliscono le stalle, quelli che s’incaricano della mungitura. “Siamo stati fortunati, perché” - spiega il comandante - “abbiamo imparato come si tiene un gregge grazie ai nostri agenti che da ragazzi avevano lavorato in campagna”. Ex pastori che hanno insegnato ai colleghi e ai superiori come si munge una pecora, in che modo si devono tenere le bestie che hanno appena figliato e quelle che devono ancora figliare, quali trucchi si usano per separare gli agnelli svezzati, e quanta dolcezza serva per avvicinare alla mammella della madre l’agnellino appena nato.” Ne sono nati 350 e, davvero, se non arrivano subito i nuovi detenuti non credo che reggeremo”. Arriveranno presto i primi 11, ed entro fine mese si spera altri 80. Da 30 a 41, a 120. Ranghi agricoli ridotti.

La speranza.   “Ed è un peccato”. Don Nicola Porcu, parroco di Onani, da 17 anni cappellano della colonia penale, mai ha visto una situazione come questa. “E’ un peccato perché non si può abbandonare tutto questo, e giustamente, anche se a prezzo di mille sacrifici, il direttore, il comandante, e tutti gli agenti di polizia penitenziaria si stanno facendo in quattro pur di salvare la situazione. “E’ un peccato, anche perché questo è l’unico luogo in cui può essere garantita la finalità rieducativi della pena, grazie al lavoro.” Qui il lavoro è obbligatorio. I detenuti imparano ad allevare il bestiame, a tenere una stalla, a gestire un caseificio, a organizzare una macelleria. Trecento euro al mese, più l’assicurazione e i contributi. “Che senso può avere un carcere dove i detenuti stanno con le mani in mano tutto il giorno, non fanno attività e non partecipano ad alcun progetto? Qui è diverso – sottolinea il direttore di Mamone -. Qui un uomo può riconquistare la stima di sé e può tornare a sperare”. Sono le storie dei tantissimi ragazzi che, una volta fuori, scrivono lunghe lettere al dottor Alastra. La storia di un giovane che ha imparato a fare il casaro e, tornato in libertà, è stato subito assunto da una importante azienda. E’ la storia di tanti ex tossicodipendenti che oggi hanno uno stipendio e una famiglia. “Sa che vuol dire tutto questo per noi? Vuol dire che – dice Vincenzo Alastra – vale la pena di andare avanti e tenere duro. Vuol dire che anche questi nostri sacrifici hanno un senso.