Fp Cgil Nazionale

Convegno " Donne nella Polizia penitenziaria "

LE DISPARI OPPORTUNITA'

CONVEGNO SULLE PARI OPPORTUNITA’

 

Intervento del Ministro della Giustizia
On.le Piero FASSINO 

 

Credo che il Convegno sia quanto mai opportuno e utile, che l’iniziativa assunta dalla CGIL sia un buon segnale e che da questa iniziativa possano venire delle indicazioni di lavoro cui credo si debba corrispondere, almeno per quello che riguarda le mie responsabilità di ministro.

Le due introduzioni, insieme agli altri materiali prodotti, giustamente insistono sul fatto che l’istituzione carceraria sia costruita, oltre ogni misura e quasi per definizione, su un modello maschile duro a morire.

Le ragioni sono molteplici. La prima è che nella popolazione detenuta la parte maschile è nettamente prevalente e,quindi, il soggetto destinatario dell’istituzione stessa è per gran parte costituito da uomini. Di conseguenza il modello è uniformato a quelli che sono gli stilemi e le forme di organizzazione, le gerarchie di lavoro e le valutazioni di tipo maschile.

Il fatto che la popolazione detenuta sia in gran parte maschile comporta, in conseguenza di una norma che stabilisce che i detenuti debbano essere trattati da persone dello stesso sesso, un effetto anche sul Corpo. E sempre a causa di una netta e prevalente quantità di detenuti uomini, anche il Corpo della Polizia Penitenziaria è in gran parte costituito da agenti uomini.

In teoria, naturalmente, questi dati strutturali non giustificano il fatto che , nella realtà, l’istituzione abbia dei connotati che a questo punto non sono più maschili, ma maschilisti. Nel senso che non c’è solo una prevalenza strutturale degli uomini sulle donne, ma c’è un’organizzazione che tende ad assumere come criteri che la informano le esigenze , gli stili di vita, i modi di comportamento, le esigenze e i bisogni della popolazione maschile.

E’ evidente che la presenza minore di donne nel Corpo si traduce poi in una sottovalutazione delle loro esigenze, dei loro bisogni e del loro ruolo.

Il problema vero , quindi, è quello di riuscire a rompere questo schema per affermare, invece, una cultura della parità, che probabilmente richiede una certe gradualità per essere accettata. Infatti, se la tradizione da cui partiamo oggi è questa, non è sufficiente un’affermazione di principio sulla parità per cambiare la realtà, perchè il superamento di una condizione di forte squilibrio nel riconoscimento del ruolo tra uomo e donna è un processo lungo.

Questo, tuttavia, è l’obiettivo che noi ci dobbiamo porre: ossia, rompere una condizione di scarso riconoscimento di ruolo, che si traduce in una condizione di subordinazione, con qualche rischio di marginalità.

Fare questo non è semplice, perché l’istituzione carceraria ha certe caratteristiche che voi conoscete bene: è un’istituzione di detenzione e di contenzione e come tale comporta elementi di rigore a cui spesso non è estraneo un contenuto di forza. E questo già determina un’ulteriore differenza.

E’ un’istituzione nella quale la popolazione ha mediamente un livello culturale assai basso, quindi, non portato a riconoscere una condizione di parità tra uomo e donna.

E’ un’istituzione nella quale, come giustamente è stato sottolineato, uno degli aspetti più critici è la riduzione della dimensione affettiva, il che comporta una serie di problemi per le appartenenti alla Polizia Penitenziaria.

Ci sono, quindi, una serie di elementi che rendono più difficile, obiettivamente, la realizzazione di una condizione di parità.

Peraltro io credo che questo convegno sia molto utile anche per fare il bilancio di un periodo non lungo –lo spartiacque possiamo farlo risalire al 1995 - in cui abbiamo realizzato sostanzialmente la trasformazione del Corpo ed il primo grande concorso dei che consentì un ingresso significativo di 1200 giovani e ragazze.

Il ruolo che oggi hanno le donne nel Corpo della Polizia Penitenziaria, se misurato in un tempo così breve, è, a mio avviso, significativo.

Vuol dire che di strada se ne è fatta e che nonostante tutti i limiti e tutte le difficoltà il processo di cambiamento si sta imponendo.

Il problema, allora, è quello di stabilire che cosa fare. io credo che sia giusto rivendicare che l’Amministrazione applichi tutte le norme, molteplici, che operi nella direzione dell’affermazione della condizione di parità tra uomo e donna.

L’Italia è forse, da questo punto di vista, uno dei Paesi che ha una legislazione più avanzata; il vero problema è la forbice ancora troppo larga tra questa e la sua concreta applicazione.

Abbiamo,infatti, una legislazione che sul piano normativo riconosce una condizione di parità sul lavoro, nella vita e nelle gerarchie di valori.

Un punto che a me sembra importante, allora, è quello di vedere come si possano applicare le norme previste dalle diverse leggi sulla parità nel Corpo della Polizia Penitenziaria.

Io credo che questo debba essere il punto centrale della vostra piattaforma: chiedere e ottenere una puntuale applicazione di condizioni di parità che oggi sono previste dal quadro normativo vigente in molte leggi.

Un secondo aspetto riguarda la richiesta all’Amministrazione di sviluppare azioni positive, nel senso che non si tratta soltanto di applicare le leggi, ma di avere un impianto che consenta di mettere in moto le azioni positive, in primo luogo sul terreno culturale e dei comportamenti e, poi, su quello dei ruoli, delle funzione, delle condizioni di parità.

Ho parlato di terreno culturale, perché la parità è essenzialmente un problema di maturazione, di coscienza, di consapevolezza e le azioni positive sono volte non soltanto ad affermare un diritto, ma a far evolvere una cultura che, una volta affermata e riconosciuta, renda più facile il riconoscimento e l’affermazione del diritto stesso.

Una terza questione riguarda in particolare il riconoscimento di ruoli e funzioni nelle mansioni, nei servizi.

Credo che il passo da fare sia quello di affermare un effettivo utilizzo di agenti donne nel Corpo in tutte le mansioni e in tutte le funzioni, superando, così, le forme di discriminazioni oggi esistenti nell’esercizio della professione.

Oggi, infatti, alle nostre agenti non viene riconosciuto la possibilità di esercitare tutti i ruoli; ci sono delle funzioni che più per consuetudine che per cultura maschilista, vengono considerate appannaggio degli uomini, quando invece possono essere svolte anche dalle donne.

Da questo punto di vista e in questo quadro si pone un’altra questione che io considero giusta: cioè che soltanto in un istituto di pena il Corpo è diretto da donne.

Questo contrasta, tra l’altro, con il fatto che noi abbiamo invece tantissime direttrici di istituti di pena maschili,

quindi, con popolazione detenuta solo maschile, Corpo in gran parte solo maschile, etc.

Da questo punto di vista, quindi, io credo che vada fatto subito uno sforzo per dare un segnale visibile del cambiamento.

Io sono d’accordo, poi, con i due strumenti di verifica che chiedete: un codice di condotta e di comportamento come riferimento non soltanto strettamente normativo in senso legislativo, ma anche ,appunto, comportamentale, che realizzi condizioni di maggiore parità; l’istituto del consigliere di fiducia che al tempo stesso sia in grado di sollecitare e di esercitare il controllo sociale.

Questo quadro di riferimento delle iniziative deve poi naturalmente arricchirsi di ulteriori strumenti.

Voi avete in particolare richiamato il problema delle molestie sessuali, un problema generale ma che in questa realtà diventa particolarmente rilevante.

Va evidenziato il fatto che noi siamo arrivati alla vigilia di un provvedimento legislativo che poi però è stato bloccato.

Il Parlamento aveva in corso di esame un provvedimento legislativo proposto dal governo, che però non è riuscito a completare il suo iter legislativo.

Esso rappresenta infatti uno strumento non solo di civiltà, ma anche un mezzo che concretamente può consentire di intervenire su un punto particolarmente delicato in particolare per questa istituzione: quello della rottura di una cultura maschilista e di una logica di subordinazione della donna a favore, invece, dell’affermazione di una condizione di effettivo riconoscimento paritario.

Questo convegno è molto importante perché consente di fare un bilancio di 6 anni di esperienza e, sulla base di questo bilancio, di rilanciare una piattaforma che si proponga di superare le contraddizioni più evidenti che si sono manifestate in questo periodo.

Secondo poi, si tratta di individuare punti di "aggressione", come punti prioritari che potrebbero essere: la puntuale applicazione delle leggi esistenti da parte dell’amministrazione; la promozione di azioni positive; uno sforzo per assegnare incarichi direttivi alle donne, in modo tale da rompere la loro condizione di subordinazione.

Occorre, inoltre, investire in formazione, perché molte delle difficoltà nel vedersi riconosciuto un ruolo possono essere superate se si attiva una politica di formazione che dia alle donne più strumenti poter dimostrare di essere alla pari con gli uomini.

Infine, il codice di comportamento e il consigliere di fiducia.

Mi pare che il concorso di misure su vari fronti possa essere utile ad affermare, appunto, una condizione di parità maggiore di quella acquisita fin qui e che possa consentire di arricchire effettivamente l’attività del Corpo.

In effetti l’affermazione di una condizione di parità non è soltanto un problema di ruolo delle donne, ma piuttosto un fatto di evoluzione della società, di crescita culturale e sociale collettivo.

E’ la possibilità, attraverso una condizione di parità, di affermare un sistema di relazioni e di rapporti diverso.

Noi sappiamo quanta ricchezza venga dall’universo femminile, in termini di umanità, di capacità di costruire e di mantenere un sistema di relazioni e di rapporti.

In un mondo come l’istituto penitenziario, che si potrebbe pensare sia un microcosmo chiuso, in realtà diventa decisivo il tipo di relazioni che si costruiscono, e a seconda che tale sistema sia più rigido o più elastico, più violento o più tollerante, cambia la natura e la qualità della vita quotidiana non solo dei detenuti, ma anche di chi vi lavora.

Essendo appunto il carcere un universo concentrazionario, come si sarebbe detto in passato in termini filosofici, fortemente autoreferenziale e chiuso, il sistema di relazioni che in esso si determina ne condiziona la qualità, le dinamiche, la vita.

L’apporto che può venire dall’universo femminile, dal modo di essere delle donne è fondamentale per costruire un sistema di relazioni che sia più civile, più elastico, più flessibile, più umano, più alto qualitativamente.

Per questo io considero molto importante la riflessione che si fa qui oggi.

Se, infatti, sono convinto della giustezza dell’affermazione dell’esigenza di parità, al tempo stesso io credo che ci sia la consapevolezza che attraverso questa parità passa la possibilità di far sì che l’istituto penitenziario sia più civile, più degno, più umano.