Fp Cgil Nazionale

Convegno " Donne nella Polizia penitenziaria "

LE DISPARI OPPORTUNITA'

CONVEGNO SULLE PARI OPPORTUNITA’

Conclusioni di

Laimer Armuzzi
Segretario generale della Funzione Pubblica CGIL

 

 

Non ho l’abitudine di concludere questo tipo di iniziative con interventi molto lunghi anche perché il taglio che abbiamo voluto dare a questo convegno non contempera alcuna conclusione.

E’ un Convegno, quello di oggi, al quale la Funzione Pubblica Cgil è arrivata dopo un lungo ed articolato percorso che ci ha permesso di acquisire un ricco bagaglio di informazioni, difficilmente controvertibili, che abbiamo deciso di mettere a disposizione di tutti.

Il tema che affrontiamo è delicato, carico e denso di significati culturali ed ideologici e per un’organizzazione come la nostra, ha da sempre rappresentato un indicatore attraverso il quale misurare anche la qualità degli interventi ed il carattere delle istituzioni, delle controparti.

Su come nelle pubbliche amministrazioni si affronta il fenomeno tuttora si giudicano le sensibilità, i comportamenti e le attitudini democratiche.

Per la nostra organizzazione, poi, la questione delle pari opportunità appartiene storicamente al patrimonio genetico della cultura politica e sociale che esprimiamo anche quando, come ad esempio in questo settore, le lotte e le rivendicazioni appaiono difficili e minoritarie.

Da vent’anni a questa parte molte cose sono state fatte:nei contratti vengono definiti strumenti di intervento, si adottano codici di condotta contro le discriminazioni di genere, si affermano principi.

Ma è altrettanto vero che è sempre più evidente lo scarto che esiste fra le enunciazioni di principio e la realtà quotidiana che, come nella polizia penitenziaria, sistematicamente disconosce la professione al femminile.

Ho apprezzato molto gli interventi di Fassino e Mancuso poiché entrambi hanno dimostrato sensibilità e capacità di analisi anche critica che spesso non registriamo in altre controparti, soprattutto quando iniziative come quella odierna, per loro natura, possono acuire innati istinti di difesa e di conservazione.

L’aver preso atto che esiste un problema è già fatto positivo e gli impegni oggi assunti in questa sede aprono prospettive sicuramente diverse.

Si è detto, lo ha detto Fassino, che è oltremodo necessario far nascere nel carcere una cultura della parità per non rendere il carcere una istituzione maschilista oltre che maschile.

Un carcere in cui le relazioni anche interpersonali, gli equilibri ed i rapporti siano calibrati sempre più attorno a caratteristiche tipicamente femminili, è un carcere più sensibile alle diversità, più intelligente nelle sue scelte, più aperto a nuove esperienze.

E per raggiungere quest’obiettivo, a nostro giudizio, ci sono due strade da poter percorrere: riconoscere pienamente la professionalità femminile, la sua dignità ed il suo intrinseco valore, e adeguate e mirate scelte istituzionali sui livelli interni di responsabilità istituzionale.

Nominare più comandanti di reparto donne, far cadere barriere ordinamentale che di fatto ostacolano la crescita di quadri intermedi di responsabilità al femminile, riconoscere e valorizzare la preparazione e le qualità professionali inserendo nei percorsi di carriera nuovi meccanismi di valutazione delle capacità.

Tutto ciò accompagnato da una rinnovata cultura del rispetto che abbia come corollario determinante lo sviluppo di azioni positive a sostegno di tali operazioni.

E’ chiaro che ciò che in un normale contesto organizzativo risulta già di per se difficile, nel carcere assume risvolti ancor più ostativi.

Un organizzazione estremamente autoreferenziale, un sistema chiuso e con dinamiche interne consolidate non sarà mai terreno fertile nel quale far crescere idee di progresso e cambiamento.

Ma la sfida sta proprio in questo.

Ed oggi la Cgil lancia proprio questa sfida.

Nella piena consapevolezza che ciò rappresenta una grossa responsabilità.

Contribuire, anzi, essere determinanti nel sollevare un velo su una realtà di sofferenza, quella femminile, ci obbliga ad andare avanti con maggiore incisività e convinzione.

Rompere gli schemi e favorire lo sviluppo, la crescita, l’affermazione dei diritti di cittadinanza questo dobbiamo fare e faremo; per qualsiasi diritto, per qualsiasi cittadinanza.

Un ultima breve considerazione vorrei farla sulla drammatica questione delle molestie sessuali così crudamente emersa dai questionari.

Io non sono fra quelli che è rimasto sorpreso da tutto ciò; perché malgrado sia aumentata notevolmente, nelle donne, la cultura dei diritti il fenomeno delle molestie e delle sue dirette conseguenze rappresenta tuttora un problema non adeguatamente affrontato.

Ciò vale in tutti i settori pubblici e privati di tipo tradizionale e, dovevamo aspettarcelo, vale in maniera esponenziale per quei luoghi chiusi di cui il carcere è l’emblema.

Però, se alla domanda precisa se si è a conoscenza di lavoro di episodi di colleghe molestate una intervistata su tre risponde di sì, non siamo più nel "fisiologico", ma nell’eccezionale.

Per ovvie considerazioni, ciò che emerge è la punta di un iceberg.

Su questa questione non possiamo più perdere tempo.

Subito si adotti un codice di condotta contro le molestie sessuali, subito si istituisca la figura del consigliere di fiducia, subito si recepiscano le indicazioni europee sul tema.

Subito si apra una riflessione ed un confronto con chi quelle lavoratrici in carne ed ossa rappresenta.

L’amministrazione penitenziaria ed il Ministro Fassino non sottovalutino la questione.

Ciò oltre che deprecabile troverebbe fortemente reattiva la Cgil.

Un nemico così vile deve essere affrontato e distrutto senza mezzi termini, con interventi strutturali ma anche con azioni mirate e risposte incisive.

Un invito, dunque, a non sottovalutare la richiesta di aiuto che oggi lanciano le poliziotte penitenziarie, ma anche una richiesta precisa, forte, pregiudiziale: Il DAP ed il Ministro raggiungano, gia da oggi, la piena consapevolezza che il fenomeno delle molestie sessuali e delle discriminazioni di genere ad esso collegate esiste anche se viene soffocato dalle gerarchie e dai sistemi referenziali.

Solo così possiamo non creare, a nessuno, alibi

Chiudo con un impegno, come Cgil, a guardarci dentro con serenità di giudizio, con lucidità, ma anche con fermezza e determinazione.

Dobbiamo anche noi verificare nei nostri quadri di riferimento sul territorio il livello di attenzione e se ci possano essere zone d’ombra.

Lo dico chiaramente: se dovessimo verificare che alcuni comportamenti discriminatori od attività di marginalizzazione avvengono e si perpetuano con complicità più o meno attive dei nostri delegati la nostra risposta deve essere chiara, precisa e definitiva.