FP CGIL NAZIONALE

Convegno " Le donne nella Polizia penitenziaria "

LE DISPARI OPPORTUNITA’

 

CONVEGNO SULLE PARI OPPORTUNITA’

Relazione di Lavinia Anafi

Presidente del Comitato pari opportunità della Giustizia

 

 

Una rassegna in chiave storica delle varie tipologie di donne nel contesto Giustizia, considerata la vastità della tematica, non costituisce oggetto di questa breve relazione, che si propone piuttosto di offrire qualche spunto di riflessione, alla complessa questione della presenza femminile in un settore tradizionalmente appannaggio degli uomini, qual' è quello della Giustizia, visto nella specifica ottica delle pari opportunità.

Dal dopoguerra ad oggi, la presenza delle donne nell'ambito dei pubblico impiego ha registrato via via un trend crescente, in relazione probabilmente al più alto tasso di scolarizzazione raggiunto, soprattutto in alcune aree geografiche del paese, fino a toccare la punta dei 50%, pur tra significative variazioni tra un settore e l'altro delle pubbliche Amministrazioni. Nell'ambito della Giustizia avrebbe superato il 45%. In particolare, il dato assoluto registra 29.457 presenze femminili nelle posizioni non dirigenziali.*

Ad una prima lettura dei dato numerico la situazione apparirebbe dunque confortante, dal momento che quasi la metà dei personale è costituito da donne, ma lo scenario muta sensibilmente se si assume come criterio di valutazione dal fenomeno il tasso di femminilizzazione per livelli di inquadramento.

In questo caso infatti la presenza di donne ai livelli dirigenziali si attesta al di sotto del 25% e, stando ai dati aggiornati al 1999, la quota femminile nelle posizioni di vertice del settore Giustizia sarebbe così ripartita: 55 donne su 255 uomini nel ruolo di dirigente e 1 donna su 4 uomini nel ruolo di dirigente generale.

Tutto ciò, nonostante sia ormai da più parti conclamato, il "sorpasso" delle donne sugli uomini nel campo dell'istruzione e della cultura in generale!

Un recente studio dell'isfol realizzato mediante una sofisticata metodologia di analisi per aggregati professionali, ha sottolineato come esistano ancora settori occupazionali particolarmente sensibili alla diversità di genere e che insistono nel mantenere l'originaria strutturazione di divisione in settori maschili e femminili, pur sotto la notevole spinta delle innovazioni tecnologiche e della maggiore propensione lavorativa delle donne. E' stato inoltre rilevato lo stretto rapporto di correlazione esistente tra livello di istruzione e professione svolta, per cui i lavoratori che possiedono un titolo di studio medio-alto rappresentano il 49,1%. ] laureati costituiscono il 12% e tra questi la percentuale più elevata si colloca nel gruppo delle professioni giuridiche. Competenza e qualità professionale possono dunque rappresentare i punti di forza delle donne nella Giustizia, che sono in grado di partecipare attivamente al processo di riorganizzazione della pubblica Amministrazione, in una fase di grandi cambiamenti strutturali, volti al superamento di obsoleti modelli organizzativi, non più rispondenti alle esigenze di modernizzazione di un paese, come l'Italia, che mira a collocarsi a pieno titolo nell'ambito europeo. Promuovere le pari opportunità nel mondo dei lavoro è peraltro uno degli obiettivi prioritari cui i paesi aderenti all'Ue debbono tendere, inserendosi l'integrazione di genere nella più generale strategia per l'occupazione, così come previsto dal trattato di Amsterdam dei 1997 e ribadito successivamente dal vertice di Lussemburgo dello stesso anno. La discriminazione tra uomini e donne in campo professionale, meglio nota come segregazione di genere costituisce infatti ostacolo alla piena realizzazione della crescita dell'Ue che guarda alla risorsa donna come valore aggiunto allo sviluppo complessivo della Comunità. In quest'ottica la qualificazione professionale, intesa come "lifelong leaming", diviene strumento necessario per il rinnovamento dell'apparato pubblico, nel quale le donne possono svolgere un ruolo chiave, soprattutto nei settori interessati dall'introduzione di nuove tecnologie, dove le condizioni di partenza sono uguali a quelle dei colleghi uomini o nei settori che richiedono lo sviluppo di nuove sensibilità e professionalità. In tal caso, il successo delle attività formative sarà tanto più garantito, quanto più si terrà conto, nella fase di progettazione delle stesse, di condizioni organizzativi che non penalizzino la partecipazione delle donne ai percorsi formativi, ma privilegino piuttosto soluzioni adeguate all'esigenza di conciliare lavoro e responsabilità familiari. Una formazione mirata dunque, che sappia sostituire al sapere spesso inerte ed astratto delle Amministrazioni, la cultura dei risultati e il lavoro per obiettivi, così da contribuire a modificare il sistema organizzativo, accelerando il processo di riforma. In particolare, nel settore dell'informatica non si potrà non tener conto di situazioni specifiche, dal momento che l'acculturazione in quest'ambito avviene sotto forma di apprendimento anomalo, in quanto non viene trasmesso sulla base dell'esperienza acquisita dai lavoratori e dalle lavoratrici più anziani, ma è patrimonio conoscitivo dei più giovani con minore anzianità di servizio. Per l'affermazione della cultura delle pari opportunità non sembra tuttavia sufficiente l'acquisizione di una migliore qualificazione professionale, così come non appare esaustivo lo strumento normativo nazionale (vedi in particolare la legge n'125 dei 10 aprile 1991 e la direttiva Prodi-Finocchiaro dei 27 marzo 1997), se non è sopportato da un'adeguata informazione e soprattutto da una maggiore sensibilizzazione al problema nelle idonee sedi istituzionali. La difficoltà di accesso all'informazione da parte delle donne è stata debitamente rilevata dalla Commissione europea, che ha cofinanziato alcuni progetti mirati a far emergere la forma innovativo dei fare informazione, attraverso la creazione di siti lnternet e di reti in grado di far dialogare istituzioni centrali ed enti pubblici territoriali, nonché di agenzie rivolte alle donne, allo scopo di far veicolare l'informazione al femminile. Il raggiungimento delle parità delle opportunità tra uomo e donna passa infatti anche attraverso la consapevolezza di una più equa distribuzione dei ruoli che le donne ricoprono contemporaneamente, sommando insieme quello di madre, moglie e lavoratrice. Secondo gli ultimi dati lstat in proposito il 56% delle donne che svolge attività lavorativa accumula complessivamente circa 60 ore di lavoro settimanali rispetto al 15% dei partner. Appare così in tutta la sua evidenza una contraddizione di fondo: alla crescita quantitativa della presenza femminile in alcuni settori occupazionali non corrisponde un adeguato modello di organizzazione sociale, che si presenta assolutamente carente di servizi alle famiglie, ribadendo così la tradizionale divisione tra i sessi nei due ambiti: lavorativo e familiare. Si è ancora ben lontani dalla rappresentazione di un sistema sociale che pone la qualità della vita delle donne al centro di mirate politiche sociali. Dalla mancanza di infrastrutture, alla scarsa attenzione all'ambiente di lavoro e alla salute psico-fisica delle donne, tante appaiono ancora le situazioni irrisolte. A fronte di una valida produzione normativa nazionale e comunitaria in favore delle donne e di altrettanto interessanti nuove proposte legislative, le discriminazioni indirette permangono e sono difficilmente perseguibili. Senza voler scomodare autorevoli pensatori dello spessore di Marx, Fromm ed altri, che alla patologia dell'alienazione hanno dedicato pagine dense di significato, il dubbio che nell'era della globalizzazione le donne risentano di una duplice emarginazione sembra avere qualche fondamento. Mentre infatti per un verso il lavoro domestico non si inserisce nel processo produttivo, lo stare nel sistema secondo uno schema utilitaristico-efficientistico comporta una sorta di alienazione da sé, come prezzo che le donne continuano a pagare. La scelta obbligata dei rientro nelle mura domestiche, in questa prospettiva, sembra riproporre la vecchia logica dell'emarginazione femminile, senza peraltro risolvere i problemi relativi a modelli culturali prodotti da una divisione di ruoli, fondata su astratte quanto cristallizzate categorie concettuali. Appaiono pertanto ancora attuali le parole della Belienzier: "Se di emancipazione si vuole ancora parlare, si abbia il coraggio di dire che è necessaria una contemporanea emancipazione dell'uomo e della donna dai condizionamenti culturali e quindi dai loro ruoli tradizionali".

 

* I dati sono forniti dal Servizio coordinamento organismi di parità e pari opportunità.

Roma, 9 aprile 2001