…..ci si sente inermi, indifesi, non si riesce a capire.

 

Armida Miserere ci ha lasciato. Lo ha fatto con la disperazione di un’inconsolabile solitudine, con l’aspettativa di un gesto risolutore.

Non ha mai dimenticato che sulla morte nulla può essere costruito, si è sforzata di ricordare che non c’è mai giustizia nell’uccisione di un uomo. Uno sforzo che Armida si è imposta per non farsi coinvolgere dall’odio, per continuare ad essere speranza per quegli uomini, colpevoli o innocenti, che a lei affidavano desideri di riscatto.

 Armida Miserere ci ha lasciato.

 Ha lasciato negli occhi dei tanti che l’hanno conosciuta e che con Lei hanno condiviso un tratto di vita, dolore, sgomento e quella paura che attanaglia le coscienze quando mancano all’improvviso certezze.

 Negli sguardi di tantissimi poliziotti penitenziari e colleghi che ieri l’hanno salutata c’era proprio questo: il dramma di non riuscire a capire perché, la paura di ciò che sarà domani il loro mondo senza di Lei.

 Lei ha incarnato la speranza di un carcere migliore, non quella inerte dell’attesa di un meglio, almeno per ora sempre meno raggiungibile, ma quella faticosa che muove dal concetto civile dell’utilità della pena, dalla distinzione tra delitto ed autore del delitto. Quella speranza che nasce dall’idea di uno Stato né debole né autoritario, bensì autorevole.

 Lei ci ha lasciato la passione e l’impegno per l’affermazione di diritti universali; ha incarnato per le migliaia di poliziotte penitenziarie la speranza di un’ evoluzione della loro condizione. Per le donne del Corpo della Polizia penitenziaria Armida era un riferimento.

 Armida Miserere ci ha lasciato.

 Lo ha fatto cercando di aiutarci a capire cosa può significare la vita “dentro” nell’esperienza drammatica di chi la vive.

 Un caro saluto.

 

I compagni della Funzione pubblica Cgil Nazionale