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Relazione di Giuseppe Catucci
(segretario Generale Funzione Pubblica CGIL Bari)
 

 

Il 27 e 28 novembre 2001, in questa stessa sala, si celebrava il 1° Congresso della Funzione Pubblica CGIL Metropolitana e Provinciale di Bari. 

Gli attori erano altri. 

I protagonisti d'oggi sono le tante delegate e delegati qui presenti, che insieme a noi, in questi ultimi anni, hanno  voluto e saputo dare nuova linfa al nostro sindacato che ha ottenuto importanti risultati sui tanti temi sollevati e posti all’attenzione delle Istituzioni e dell’opinione pubblica per il tramite anche dei mass media. 

Celebriamo il 2° Congresso della Funzione Pubblica CGIL Metropolitana e Provinciale di Bari al termine di un'intensa fase di discussione nelle assemblee congressuali di base. 

Gli iscritti coinvolti nella tornata delle assemblee congressuali di base, nonostante le tantissime difficoltà dovute soprattutto agli aspetti più squisitamente organizzativi, sono stati 4.728 in 80 assemblee, pari al 74,36 per cento e sono intervenuti nel dibattito più di 800 iscritti oltre ad un centinaio di contributi esterni. 

Si tratta di una percentuale molto alta dovuta alla capacità di questo gruppo dirigente largo, fatto di tante compagne e compagni segretari/e aziendali e da quanti, con spirito d’abnegazione e altruismo hanno collaborato, e sono sicuro che continueranno a farlo, a stretto gomito con la Segreteria. 

Grazie di cuore. 

Abbiamo quasi dappertutto rinnovato i comitati degli iscritti che scadevano, riconfermando quelli che per una serie di vicende ben note erano stati da poco rinnovati, con una capacità dei gruppi dirigenti aziendali di avviare veri processi di rinnovamento, anche generazionale, inserendo negli organismi tante donne che certamente faranno la differenza. 

Il documento congressuale ha ottenuto il 99,83% dei consensi, con 2 soli contrari e 6 astenuti. Le TESI tra loro alternative hanno ottenuto i seguenti voti e percentuali:

Tesi n. 8 voti 4.359 pari al  94,05%
Tesi n. 8a “      276    “   “    5,95%
Tesi n. 9   “   4.268    “   “  90,44%
Tesi n. 9a “      428    “   “    9,07%
Tesi n. 9b “        23    “   “    0,49% 

Vi è stato un intreccio tra la discussione congressuale, le iniziative di mobilitazione per il rinnovo dei nostri contratti di lavoro e la politica economica e sociale decisa dal Governo con la Legge Finanziaria 2006, che arreca danni ai lavoratori e pensionati ed è assolutamente inutile per lo sviluppo. Una Legge che colpisce la cultura e il sapere, Comuni, Province e Regioni con i pesantissimi tagli che significano riduzione di servizi ai cittadini, il Mezzogiorno per i tagli agli incentivi alle imprese ed alle aree sottosviluppate, il lavoro per l’assenza di ammortizzatori sociali e per la riduzione di 150.000 posti di lavoro precario nella pubblica amministrazione, oltre alla mancata copertura finanziaria per i rinnovi dei contratti pubblici del biennio economico 2006/2007. 

Il Paese ha risposto in pieno alla mobilitazione dei sindacati, questa volta contro la Finanziaria 2006. Sei scioperi generali in cinque anni scarsi, e le piazze, il 25 novembre scorso, si sono riempite ancora una volta di lavoratori privati e pubblici, pensionati, giovani, disoccupati, precari, mentre le fabbriche si sono svuotate e i servizi pubblici si sono fermati. Un’adesione media nazionale tra l’80 e il 90 per cento, che ha riconfermato l’attenzione e la tensione presente tra i lavoratori in questa fase. 

Abbiamo riscontrato, come non mai, una forte partecipazione di giovani ai nostri congressi e alle nostre lotte. 

Abbiamo ascoltato tante ragazze e ragazzi, anche studenti, che parlano un linguaggio diverso, meno burocratico e più concreto, che hanno fatto proposte per migliorare il lavoro e la condizione lavorativa di tantissimi precari, senza diritti. 

E’ stata una richiesta d’ascolto a cui la CGIL deve rispondere in termini di proposta e, se necessario, di lotta. 

Una nuova generazione che ha riscoperto la lotta, anche grazie all’impegno sindacale, e con essa la congiunzione al grande tema della pace, della difesa dell’ambiente, dei diritti. 

Siamo sostanzialmente soddisfatti della discussione e del clima fortemente unitario in cui essa si è svolta.

 

PER QUALE WELFARE

In questi anni e mesi, in più occasioni, abbiamo messo l’accento sulla necessità che il futuro del nostro territorio è si legato alla crescita dell’economia, degli investimenti produttivi, dell’occupazione, ma anche alla qualità e quantità dei servizi che la Puglia sarà in grado di offrire ai cittadini e alle imprese. 

Lo abbiamo detto fino alla nausea a Fitto e lo ridiciamo oggi a Vendola. 

In sostanza la vera sfida è il tema della qualità della vita, della programmazione di un sistema integrato di interventi sanitari e sociali, dell’istruzione, delle politiche del lavoro, dei diritti. 

Ci ritroviamo un paese in grave crisi, nonostante i tantissimi sacrifici chiesti in tutti questi anni soltanto ai cittadini, ai lavoratori e ai pensionati. Un paese da riprogettare, come dice il documento del XV congresso della CGIL, che si fonda su quattro priorità, sulle quattro parole d’ordine che accompagnano l’idea del progetto: lavoro, saperi, diritti, libertà. 

Per noi, questo congresso non è come gli altri che lo hanno preceduto, perché intanto si svolge nell’anno della rievocazione di questi cento anni di storia della CGIL, che fa parte della   storia di questo paese, nel quale libertà e diritti hanno rappresentato l’essenza della democrazia, cosa certamente sconosciuta a chi oggi ci governa.

L’attacco sferrato da questa maggioranza al paese con l’approvazione della devoluzione mette seriamente in discussione diritti e uguaglianza dei cittadini e la stessa democrazia, perché assoggetta il Parlamento al potere dell’esecutivo e cioè ad una maggioranza di governo che rappresenta solo una parte del paese. Un Parlamento che perde centralità, autonomia, funzione, non è più luogo della sovranità democratica di tutti. Questa riforma della nostra carta costituzionale rende i cittadini disuguali, non garantisce gli stessi diritti su questioni fondamentali come il lavoro, la sanità, lo studio, la sicurezza, e i più penalizzati saranno i cittadini delle nostre regioni meridionali dove la crisi economica, finanziaria e sociale è più sentita e dove il tasso di disoccupazione è il doppio di quello nazionale. Con il referendum la devoluzione sarà spazzata via e sarà ripristinata la coesione e l’unità nazionale. 

E’ un congresso diverso dagli altri anche perché parliamo alle istituzioni e con le istituzioni, cosa alquanto inusuale rispetto al rito celebrativo di un congresso. Oggi discutiamo e facciamo discutere contemporaneamente tre livelli istituzionali locali che, forse, per i tanti impegni, non riescono neppure a sedersi insieme intorno ad un  tavolo. 

Perciò, dobbiamo rimboccarci le maniche e provare, da qui, dal  mezzogiorno, dalla nostra Regione, a dare risposte ai tanti bisogni delle nostre popolazioni locali, rilanciando il ruolo del lavoro delle funzioni pubbliche, costruendo iniziative più forti ed efficaci nella contrattazione sociale e dello sviluppo territoriale, nella consapevolezza che questo terreno concorre in modo sempre più decisivo a definire una possibile ed equa politica di tutti i redditi e a contrastare anche per questa strada le scelte del governo. Obiettivi quali l’accesso ai servizi, la programmazione partecipata, l’integrazione delle politiche sociali con quelle della sanità, della formazione professionale e del lavoro, richiedono a noi un maggiore e qualificato impegno per contribuire a costruire un welfare locale in grado di rendere esigibili i diritti sociali delle persone e delle famiglie. Importante è aumentare la capacità di elaborazione e proposta dei nostri quadri dirigenti, a partire dai livelli aziendali e per questo riconfermiamo l’impegno politico e finanziario -per promuovere nuovi percorsi formativi, ritenendo che è un’utile

strumento per migliorare le nostre capacità di elaborazione, contrattazione e direzione politica. 

Altrettanto importante e urgente è anche l’apertura di vertenze per rivendicare dalla Regione e dagli EE.LL. l’adozione di un esteso sistema di relazioni tra le parti, di confronto e di concertazione sulle questioni dello sviluppo dei sistemi territoriali, sulla sostenibilità ambientale e sociale, sulla qualificazione dello stato sociale, sui diritti di cittadinanza. 

Questo lo pretendiamo, a cominciare da quelle istituzioni dove governa il centro sinistra, che anche per merito della CGIL si trova oggi a governare tantissime Regioni, Province, Comuni, e sarebbe veramente strano che la CGIL e, per quello che ci riguarda, la CGIL Funzione Pubblica, rimanessero ai margini e cioè fuori dalla discussione sui temi che hanno in tutti questi anni riempito le nostre piattaforme. 

È necessario anche attivare ed estendere strumenti per favorire  la partecipazione dei cittadini, quali bilanci sociali, di mandato e di genere. Sappiamo che le risorse sono limitate e perciò dobbiamo sviluppare una forte capacità d’analisi per compiere scelte mirate e individuare priorità.  

Pensiamo che una piattaforma di Welfare locale debba articolarsi su alcuni dei seguenti temi:

a)  la dinamica di rette e tariffe per tutelare i redditi medio bassi, per     contrastare l’impoverimento e favorire coesione sociale ed equità, qualificando e sviluppando la rete dei servizi;

b)  il potenziamento delle politiche dell’infanzia, da un più forte impegno diretto dei Comuni nell’apertura di nuovi nidi;

c)  l’attivazione di politiche per la casa per rispondere all’emergenza abitativa;

d)  la qualificazione del ruolo degli Enti Locali per il sostegno dello sviluppo economico e la gestione delle politiche sociali.

 

NUOVA CENTRALITA’ DELL’INTERVENTO PUBBLICO PER UN NUOVO WELFARE

 In questo quadro riteniamo fondamentale valorizzare il lavoro pubblico, il ruolo e il valore delle funzioni pubbliche nell’erogazione diretta dei servizi e nella definizione di un nuovo welfare a garanzia dei diritti universali e, in questo contesto, va ripensato il ruolo del 3° settore, quello socio assistenziale. Con le Amministrazioni vogliamo essere molto chiari rispetto alle nostre posizioni. Oggi, in questo settore, specialmente al Sud, abbiamo spesso presenze malavitose ed è un settore spesso non governato dalle Amministrazioni Locali. Molte di esse delegano al settore socio assistenziale la programmazione degli interventi, la rilevazione dei bisogni. Abbiamo sempre detto e continuiamo a dirlo che non deve essere più consentito affidare appalti con la logica del servizio a più basso costo, a discapito della qualità e dei diritti dei lavoratori. 

Se si vuole la nostra collaborazione occorre che le Amministrazioni si riapproprino del ruolo della programmazione e del controllo. 

Dobbiamo impedire, insieme agli EE.LL., che avanzi la logica di chi considera l’economia sociale un’economia assistita e cerca di far prevalere in questo settore aspetti più produttivistici a discapito dei valori sociali, non finanziando ad esempio la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali né la costituzione di un fondo per la non autosufficienza. 

Vogliamo rilanciare il nostro ruolo nella definizione delle politiche sociali, del lavoro, intercettando nel luogo di lavoro la domanda dei servizi e dei bisogni. 

Lavoriamo per favorire l’attuazione della riforma sanitaria e dell’assistenza con la politica dell’associazionismo tra i Comuni nella gestione, a partire dai servizi. 

È, secondo noi, uno degli elementi distintivi del nuovo modo di governare il welfare locale. 

Dobbiamo convincere i Comuni a lavorare insieme, condividendo la programmazione, le risorse e rendendo esigibile il principio di sussidiarietà nella gestione dei servizi, nella convinzione che il livello di coordinamento e di aggregazione adeguato è il Distretto Socio Sanitario. 

La prospettiva, a cominciare dall’area metropolitana di Bari, deve essere quella di una forte integrazione tra piani sociali e sanitari. Se sarà fatto questo molte cose potranno cambiare, a partire da quei giusti processi di inclusione sociale. Sto pensando a tanti tossici, a malati di mente, agli anziani, ai portatori di handicap, ai tanti barboni che occupano i marciapiedi e le panchine delle nostre città. 

Dobbiamo pensare a riprogettare le città a misura di persone normali, sapendo che è fondamentale il ruolo delle istituzioni. 

Una città normale deve essere attenta alla sicurezza dei propri cittadini, alla condizione di lavoro di tantissimi giovani lavoratori precari ma  anche attenta a quanti  non  trovano un lavoro regolare perché, spesso, questo mercato offre solo lavoro in nero.  

La nostra idea è che le funzioni pubbliche sono i luoghi della società nei quali assumono consistenza i diritti di cittadinanza. Stare bene, non essere curati solo quando si sta male, accedere ad un livello il più alto possibile d’istruzione, avere sistemi adeguati di protezione sociale, sono altrettanti diritti di cittadinanza e le funzioni pubbliche sono chiamate a garantirli. 

Un nuovo welfare locale può rappresentare per la nostra regione una formidabile occasione di sviluppo e di lavoro per tantissimi giovani laureati e diplomati, che ancora oggi sono costretti  ad emigrare per cercare  un lavoro. Dobbiamo insieme impedire che il divario in sanità tra nord e sud aumenti. 

La nostra battaglia sarà senza esclusione di colpi, a partire dall’imporre alla regione, oggi governata dal centro sinistra, la stabilizzazione di tanti lavoratori precari che vivono nell’incertezza del futuro. Sono i passi fondamentali da compiere, a cominciare da dove governiamo, per dare corso concretamente a una politica alternativa a quella neoliberista alla quale ci opponiamo, con coerenza, in Italia e in Europa. 

Tornare indietro da pratiche affrettate di esternalizzazioni e privatizzazioni diffuse è il primo indispensabile passo che la Giunta Vendola deve compiere per dare quel segnale di forte discontinuità e per proteggersi da infiltrazioni criminali. Questo potrebbe ancora non essere sufficiente. Occorre, perciò, che il lavoro pubblico si impegni ad una diversa pratica, a non rendere più possibile lo scambio, la confusione, tra diritto e favore. 

Le pubbliche amministrazioni, i lavoratori pubblici, sono, per tanti, la vera e unica faccia dello Stato che conoscono. 

La qualità del nostro lavoro fa la qualità dello Stato per le persone. Ciò che dello Stato pensano è determinato dall’immagine che di sé dà il lavoro pubblico. Se il lavoro pubblico è trasparente ed efficiente, lo Stato è trasparente ed efficiente. La legalità, i diritti, diventano un luogo fisico, un presidio che si può frequentare e che vale la pena difendere. 

La polita deve però saper fare pulizia al suo interno e abbandonare la facile pratica trasformistica. Occorre una forte iniezione di moralizzazione della politica e una forte dose di legalità. 

Non cogliamo, ancora, da questa Giunta Regionale, segnali di discontinuità con pratiche del passato se guardiamo, per esempio, alla sanità, dove continuano a dirigere settori vitali personaggi inquisiti e condannati per vicende di tangenti e di malaffare.  

La politica sanitaria è il terreno su cui i pugliesi misureranno il grado di coerenza rispetto alle proposte e al programma sottoposto al giudizio degli elettori durante la campagna elettorale per le regionali. Quelle proposte e quelle idee, moltissime delle quali erano e sono le nostre proposte, devono essere attuate, altrimenti gli elettori sapranno vendicarsi. 

Ciò comporta, per noi, una attenta discussione dei modelli organizzativi delle ASL. Per questa ragione chiediamo con urgenza l’avvio di confronti tematici, a partire dalla rivisitazione degli atti aziendali adottati dai quei D.G. nominati da Fitto, più di uno  riconfermati, senza il preventivo confronto con il  Sindacato e con le AA.LL., per ridisegnare la mappa dei veri bisogni sanitari dei  cittadini e ridefinire il fabbisogno di personale sulla base di nuovi standard assistenziali e di qualità. Ciò consentirà una pianificazione delle assunzioni, a partire dal personale infermieristico, gravemente carente, e di procedere alla stabilizzazione dei tantissimi precari che da anni lavorano negli ospedali e nei tanti  servizi sanitari delle nostre ASL. La chiusura di diversi ospedali e divisioni ospedaliere, in assenza delle dichiarate riconversioni di nuove attivazioni e di strutture alternative sul territorio, ha compromesso il diritto alla cura, alla salute, che è bene comune. 

Serve un sistema sanitario e sociale pubblico e universale, fondato sui principi di uguaglianza e solidarietà, partecipato e organizzato in forme flessibili e decentrate, radicato nel territorio e in grado di adattarsi alle diversità delle comunità locali, dei bisogni delle persone, delle reti sociali disponibili, con il contributo anche di una sanità privata accreditata seria e di qualità, che rinunci alle ferree logiche del profitto a discapito della qualità, e che dichiari di non voler utilizzare la Legge 30 e relative norme di attuazione. Così come indispensabile è il contributo del volontariato (quello vero) e del 3° settore no/profit.  

Questo modello comporta professionalità, lavoro stabile, forme organizzative mature, partecipazione e coinvolgimento strategico degli operatori, oltre ad una classe dirigente capace ed onesta. Contro una sanità fatta di soli posti letto, contro un’idea sbagliata di centralismo regionale, ma anche contro un’idea campanilistica e semplicistica di welfare localistico, riaffermiamo la necessità di tornare a investire in salute, nella prevenzione, nella integrazione e nella coesione sociale, nel distretto socio sanitario. Tutto questo è possibile realizzarlo se si abbandona la politica dei due tempi e se le istituzioni locali esercitassero sul serio  ruolo e compiti ad esse affidate dalle leggi Bassanini.

 

POLITICHE DEL LAVORO

L’Amministrazione Provinciale ha un compito importante da svolgere in materia di collocamento e di politiche attive del lavoro, specialmente dopo l’approvazione della Legge 30 e relativa norma di attuazione. 

Il nostro è un giudizio radicalmente negativo sulle motivazioni di valore, poiché le scelte governative, peggiorando perfino l’impianto del libro bianco, si sono manifestate in tutte il loro carattere ideologico, senza un legame con i bisogni profondi di un Paese il quale, di fronte alle esigenze di sviluppo e competitività, richiederebbe di consolidare indirizzi di qualità, favorire comportamenti virtuosi e collaborativi, sconfiggere le paure ed i sentimenti di insicurezza. 

Le nuove norme, che sono contestate da milioni di lavoratori, cittadini e da tantissimi imprenditori, smantellano i principi fondamentali del Diritto del Lavoro e della sua conseguente visione sociale. Si rovescia la natura collettiva della tutela fondata su un equilibrio di potere tra impresa e lavoratore. Si nega la ricerca di buone politiche del lavoro. Si trasforma il senso della parola “flessibilità” in precarietà e negazione di diritti. 

La legge 30 e il relativo decreto applicativo 276 intervengono pesantemente per svuotare di fatto le funzioni dei soggetti pubblici e spostare sui soggetti privati l’architettura del mercato del lavoro e dei servizi pubblici all’impiego. 

I centri per l’impiego, cinghia di trasmissione delle politiche attive del lavoro, devono poter contare su adeguate risorse (mezzi, strumenti, personale, budget, finanziari e contrattuali) e  il loro campo di competenza non può restringersi a mere funzioni di registrazione dello stato di disoccupazione e poco altro.

 Il rischio è che ai centri per l’impiego rimangano da scorticare le ossa del mercato del lavoro e che la polpa sia divorata dai servizi privati (agenzie, enti bilaterali, ecc.). 

Ma il lavoro, il suo sviluppo e la sua gestione non possono, di fatto, uscire dalle competenze forti delle PP.AA. e delle Istituzioni Pubbliche. 

Attualmente, rispetto al territorio nazionale, la condizione dei servizi pubblici competenti è a macchia di leopardo: si va da situazioni che a malapena coprono il livello burocratico (accertamento della disoccupazione, iscrizione all’elenco anagrafico) ad altre di positiva operatività (vero colloquio di orientamento, professionalità alta, capacità di mediazione con il sistema imprenditoriale e con le istituzioni pubbliche).  

Prendiamo positivamente atto che vi è una sostanziale condivisione di giudizio e di proposte tra noi e l’Amministrazione Provinciale di Bari. Questo non potrà non determinare importanti risultati sulla tutela del diritto al lavoro e sul ruolo degli Enti Locali a cominciare da quello della provincia di Bari. 

Pensare, quindi, come FP Cgil di Bari di dare un contributo attivo ed organizzativo per la tenuta ed il rafforzamento dei servizi pubblici competenti (250 addetti in provincia più 200 formatori-16 CPI e 21 centri polifunzionali) sarebbe sicuramente utile, ancorché indispensabile, data la possibile prospettiva di un mercato del lavoro sempre più frantumato nel quale sempre più problematico sarà offrire tutele e garantire diritti, e che non può e non deve trasformarsi in un succulento mercato delle vacche grasse per i privati, con relativa svalorizzazione di un diritto costituzionale assoluto: il diritto al lavoro. 

E siccome la FP Cgil vuole contrastare questa fosca prospettiva vanno sottolineati alcuni aspetti specifici che devono essere affrontati e risolti al fine di poter predisporre un progetto alternativo adeguato all’obbiettivo che ci siamo posti, da condividere con provincia, comuni e regione:

  - la centralità dei servizi pubblici competenti nella regolazione e   gestione del mercato del lavoro quale architettura necessaria della normativa regionale concorrente;
  - il monitoraggio degli aspetti qualitativi e quantitativi delle attività svolte dai soggetti pubblici  e privati quale sfera di competenza delle istituzioni pubbliche (Provincia, Regione);
  - formazione del personale che renda efficace il rapporto con l’utenza dei servizi pubblici (lavoratori e imprese);
  - la formazione al lavoro realizzata sulla base delle esigenze delle imprese e delle politiche attive del lavoro programmate dalla Regione/Provincia/Comuni;
  - la unitarietà dei servizi pubblici: la registrazione dello stato di disoccupazione, la prevenzione della disoccupazione e l’orientamento al lavoro ed alla formazione;
  - rilancio degli sportelli unici per le imprese e la semplificazione burocratica quale aspetto qualificante dell’attività dell’ente locale a sostegno diretto e/o mediato all’occupazione.

                                         

Ovviamente quanto indicato non presume di essere esaustivo dell’analisi della nostra categoria, anzi deve costituire una prima base di ragionamento aperta al contributo delle nostre strutture, dei lavoratori, dei servizi pubblici all’impiego e delle istituzioni competenti.

 

AMBIENTE E TERRITORIO

Abbiamo parlato sostanzialmente di benessere, che è il diritto a godere di quei beni comuni come la salute, la cultura, l’istruzione, l’acqua e l’ambiente, che non possono essere acquistati, ma ai quali il cittadino in quanto tale deve poter accedere liberamente. 

Ora se parliamo di ambiente, tema molto complesso e delicato, dobbiamo essere molto esigenti e coerenti con le nostre idee, rendendo compatibili le politiche per lo sviluppo economico e produttivo, cosa necessaria, con la qualità dell’ambiente. 

Nella nostra concezione dello sviluppo e del lavoro, l’ecocompatibilità deve essere una discriminante fondamentale. I dati forniti dall’ OMS sull’ambito della mortalità tra le popolazioni di località ad alta concentrazione industriale, confermano una politica di scarsa attenzione sulle ricadute ambientali degli investimenti industriali e complessivamente delle diverse forme di inquinamento. 

Brindisi, Taranto, Manfredonia, Area Fibronit di Bari, Parco dell’Alta Murgia, sono i più acuti dell’emergenza ambientale, con indici di mortalità molto elevati per tumori. 

Noi non cederemo ai ricatti occupazionali delle imprese, perché, per noi, la salute e l’ambiente sono beni comuni che vanno difesi e preservati. 

Serve un confronto più serrato tra noi, le associazioni ambientaliste e la Politica, perché ci consentirebbe di verificare processi di sviluppo con processi di risanamento ambientale. 

Per queste ragioni occorre che, intanto, termini al più presto la gestione commissariale e si aprano tavoli di confronto affinché sulle aree a rischio si possa giungere agli accordi di programma, affrontando anche gli altri nodi, quale quello dello smaltimento dei rifiuti, del funzionamento dei depuratori, dell’inquinamento da traffico. Occorre anche capire dalla Giunta e dall’Assessore all’Ambiente come intendono riprogettare l’ARPA, importante Struttura, e come si organizzerà, di quali e quante professionalità si avvarrà stabilmente e su quali priorità opererà. 

Serve un confronto vero e non di facciata, anche perché vogliamo assumerci le nostre responsabilità. 

Occorre anche che la Regione Puglia, insieme alle altre Regioni governate dal centro sinistra, a partire dalla Conferenza Stato/Regioni, aprano subito una VERTENZA AMBIENTALE contro la politica del Governo, che ha predisposto un testo in materia di ambiente che vuole riordinare l’attuale normativa Ronchi; testo di estrema gravità, in queste ore in discussione in Parlamento,  che rischia di essere approvato entro la fine dell’anno.     

E’ il caso del conflitto ambientale. Il Governo pensa che in presenza di conflitto esso si può superare rendendo più “efficienti” le norme dal punto di vista dell’impresa e non piuttosto sotto il profilo di maggiori garanzie di sicurezza per i cittadini e per l’ambiente. Così come il testo in discussione modifica il concetto di rifiuto, disincentiva la raccolta differenziata, pone le premesse per la disarticolazione del ciclo integrato dei rifiuti e introduce l’obbligo della gara per l’affidamento di qualunque servizio, portando un grave attacco alle molte aziende pubbliche, come AMIU BARI, che sta affrontando un processo di riorganizzazione ed investimenti, da noi apprezzato e precedentemente auspicato, per raggiungere l’obiettivo della gestione completa del ciclo dei rifiuti.

Ed allora voglio riprendere velocemente le nostre proposte, che sono quelle già note e presentate dalla CGIL di Bari ad un convegno del 30 scorso dal titolo “rilanciare il territorio, perseguire lo sviluppo”:

-   vanno realizzati tutti gli investimenti strutturali per conformarsi alla normativa ambientale in materia di acqua, rifiuti, aria e protezione della natura.

-   vanno sostenuti i progetti volti a migliorare l’efficienza energetica e la diffusione di modelli di sviluppo a bassa intensità energetica.

-   va promosso lo sviluppo delle tecnologie rinnovabili ed alternative (energia eolica, solare e biomasse).

In particolare

-   nel settore rifiuti ed energia occorrerà ridurre il più possibile lo smaltimento in discarica favorendo interventi di raccolta differenziata e attività di ricilo e riuso.

--  nel settore dell’inquinamento, per la nostra provincia, è necessario bonificare i siti gravemente contaminati da rifiuti di amianto ( ex Fibronit, ex Stanix, ex Gasometro, Torre Quella e San Giorgio, oltre al disinquinamento dela Parco dell’Alta Murgia).
 

Riprendo brevemente la questione ARPA. Sappiamo che moltissime attività istituzionali quali: rilevazioni ambientali, analisi di rischi industriali, attività ispettive per le aziende a rischio di incidente rilevante, attività di  pianificazione e gestione delle emergenze, prelievi e analisi delle acque di depurazione, pozzi, aggiornamento catasto scarichi reflui urbani, inquinamento elettrico, acustico etc, etc, sono svolte da tanti giovani professionisti, con un rapporto di lavoro che va dal tempo determinato a contratti co.co.co. Serve subito l’approvazione della dotazione organica minima che a fronte di 250 presenti, compresi i precari, prevede 500 unità. Occorre che la Giunta, con proprio atto, da adottare entro il 31 dicembre corrente, stabilizzi definitivamente tutto il personale precario che esprime alta professionalità e competenze qualificate, senza le quali anche la parziale funzionalità dell’Agenzia non sarebbe stata possibile. Non vi sono più ragioni per non farlo, perché la spesa è sostanzialmente finanziata anzi, si rischia molto se non lo si facesse perché la Finanziaria 2006 di Berlusconi dimezza proprio le risorse destinate al lavoro  precario.   

Avrei voluto affrontare altri temi, altrettanto importanti, sui quali in questi mesi abbiamo sviluppato iniziative di lotta e tenuto convegni. Penso al tema della Giustizia, su cui i tagli alle risorse hanno prodotto il collasso delle funzioni giudiziarie. Tagli agli organici, sia di magistrati che di personale amministrativo, che hanno prodotto un decadimento della qualità dei servizi all’utenza e un non più sostenibile carico individuale di lavoro, con il rischio concreto di sbagliare e finire sotto processo. Ancora tagli agli investimenti, sia in direzione di tecnologie che di infrastrutture, producono, vedasi carceri, effetti dirompenti sulle condizioni di vita dei reclusi che in 60.000 occupano spazi per 40.000, ma anche stress e fatica per il personale penitenziario giunto ad un livello di insopportabilità. 

Avrei voluto evidenziare  tantissimi altri problemi che investono la condizione di lavoro di migliaia di lavoratori delle diverse funzioni centrali ma anche la condizione lavorativa dei Vigili del Fuoco di Bari che soffrono una carenza di organico e di mezzi non più procrastinabile. 

Devo necessariamente avviarmi a concludere, anche perché abuserei troppo della vostra pazienza e non voglio farlo.  

Tuttavia noi dobbiamo, se vogliamo provare a praticare ciò che predichiamo, provare a fare una contrattazione di qualità sull’organizzazione del lavoro, accettando la sfida di confrontarci nelle sedi non negoziali, penso alla conferenza di servizio, con rappresentanze dei cittadini e perciò che attiene ai servizi alle imprese, con le rappresentanze datoriali. Questo cambio di passo nella nostra contrattazione è presupposto per poter rivendicare protagonismo e ruolo in quella contrattazione territoriale e sociale.

 

IL RAPPORTO CON CISL e UIL

È innegabile, ed è inutile nasconderlo, che  in Puglia ma anche a Bari, fino ad oggi, tranne qualche sporadico episodio, sono pressoché inesistenti. Anche se, contrariamente, a livello nazionale la nostra categoria ha avuto momenti unitari importanti, su tanti temi difficili che hanno prodotto importanti risultati a partire dalla chiusura positiva dei nostri contratti di lavoro. Certamente hanno pesato le diverse impostazioni strategiche, i differenti giudizi sul piano nazionale come il patto per l’Italia ma anche rispetto alle valutazioni sul rapporto con la Regione, penso alla vicenda del Piano Ospedaliero e alle differenti impostazioni rispetto al modo di fare contrattazione integrativa.

Penso che dobbiamo rimuove gli ostacoli e compiere ogni sforzo possibile per riannodare il filo di un  rapporto unitario perché più ci si divide e meno incidiamo nel rapporto con la Regione, con le ASL, con i Comuni e Provincia, e così facendo indeboliamo la nostra capacità di rappresentare i bisogni di tanti lavoratori e cittadini.  

Noi siamo fiduciosi che ciò possa accadere.

 

LA NOSTRA ORGANIZZAZIONE

Ho cercato di delineare un percorso, difficile ma decisivo per la CGIL e per la nostra categoria. 

I prossimi mesi, se non anni, saranno molto difficili, anche perché c’è un Paese in declino che bisogna risollevare con politiche totalmente diverse da quelle praticate da questo Governo ed oggi abbiamo provato a mettere sul tavolo del confronto alcune nostre idee, con molta umiltà  ma con tanta determinazione. 

La CGIL in Puglia gode ottima salute e questo ci da tanta fiducia. 

Abbiamo però bisogno di modificare il nostro modo di operare, a partire dal territorio, dai posti di lavoro e questo lo possiamo fare se tutti condividiamo un progetto che è il progetto che la Fp CGIL ha presentato nella 2^ Conferenza Nazionale Programmatica, con la relazione del Segretario Generale Carlo Podda. 

C’è ancora un’altra priorità: quella di un rinnovamento generazionale. Dobbiamo guardare ai tanti giovani, alle donne, per rendere possibile l’inserimento di forze nuove nella direzione della nostra organizzazione. 

Noi ci stiamo provando anche perché arriva comunque per ognuno di noi il momento di lasciare, sia pure con rammarico, questa grande palestra di vita che è la CGIL.
 

Care compagne e cari compagni,

nello sforzo continuo di aggiornamento del nostro progetto e del nostro programma non dobbiamo mai disperdere i grandi valori ed i grandi ideali della nostra storia. 

Quegli ideali sono ancora attuali. 

Chiudo con una citazione del compagno Peppino Di Vittorio, dal discorso di Lecco del 3 novembre 1957: 

“La nostra causa è veramente giusta nell’interesse della società, nell’interesse dell’avvenire dei nostri figlioli. E quando la causa è così alta merita di essere servita anche a costo di enormi sacrifici”. 

Vi ringrazio