“Modifica della Costituzione: la Carta violata”

Convegno della FP Cgil Sicilia e Nazionale su Riforma della Costituzione

Messina 24 maggio 2005


INTERVENTI ALLA TAVOLA ROTONDA:  "Democrazia in pericolo"
 

 

Pubblichiamo gli interventi alla Tavola rotonda “ Democrazia in pericolo”, tenutasi nella seconda parte del convegno, moderata dal dott. Piero Maenza, vice capo redattore TGR Rai Sicilia, con la presenza del procuratore Capo della Repubblica presso il tribunale di Messina, il dottore Luigi Croce, il professore Gaetano Silvestri, Ordinario di diritto Costituzionale dell' università di Messina, il sindaco di Gela, Rosario Crocetta, il segretario nazionale della Fp Cgil, Antonio Crispi e conclusa da Maria Troffa responsabile nazionale Dipartimento riforme costituzionali  CGIL

PIERO MAENZA – vice capo redattore TGR Rai Sicilia, moderatore
LUIGI CROCE – Procuratore capo della Repubblica, Messina
GAETANO SILVESTRI - Ordinario di Diritto costituzionale, università di Messina
ROSARIO CROCETTA - Sindaco di Gela
ANTONIO CRISPI - Segretario nazionale Funzione Pubblica CGIL
MARIA TROFFA - Responsabile nazionale Dipartimento riforme costituzionali  CGIL

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   PIERO MAENZA – vice capo redattore TGR Rai Sicilia, moderatore

Proseguiamo i lavori, naturalmente traendo tesoro dagli interventi che ci hanno preceduti, ricchissimi di spunti che consentiranno di proseguire questa riflessione, quasi un seminario che consente di diffondere conoscenza su questa materia che probabilmente la maggior parte di noi non ha all’ordine del giorno della propria attività quotidiana, ma che è talmente importante che è un presupposto fondamentale del nostro vivere  da cittadini. L’acquisire, quindi, una serie di nozioni che ci possono consentire poi di esprimere un’opinione e un voto, se si arriverà al referendum, credo sia un momento molto importante e fondamentale. Ringrazio, anche a nome di quanti parteciperanno alla tavola rotonda, la Funzione Pubblica della CGIL perché mi ha dato l’opportunità di partecipare, in veste professionale, a quello che si rivelato quasi un seminario su una materia che non è certamente all’ordine del giorno. In Sicilia ci occupiamo spesso - e lo hanno detto nei precedenti interventi gli altri esponenti della Funzione Pubblica CGIL - di arresti e di retate, di scioperi, ma per fortuna anche di altre iniziative sociali e culturali di cui la Sicilia è ricchissima, ma una materia così specifica non è certamente all’ordine del giorno della nostra attività. Iniziative come questa tavola rotonda sono è fondamentali perché, da solo, non è sufficiente il dibattito che si è aperto sui maggiori quotidiani su questa materia - dibattito che ha visto come protagonisti illustri costituzionalisti, ma anche chi ha avuto esperienza di governo, come Guarino, come Bassanini ed altri, che su questa riforma hanno molto da ridire. Basti pensare alle reazioni del senatore Andreotti e del senatore Fisichella su quanto sta accadendo, per capire come chi ha veramente come punto di riferimento quelli che sono stati i valori fondamentali che hanno portato alla Costituzione italiana abbiano avuto momenti di perplessità e quindi hanno avuto le conseguenti reazioni contro questo tipo di riforma. Leggo alcuni titoli per capire un po’ quale è stato l’atteggiamento della stampa su questo tema. L’Avvenire “Una riforma improvvida” a firma di Guarino, Stefano Rodotà su La Repubblica: “Grande assalto alla Costituzione”; Andrea Manzella su La Repubblica “Le garanzie cancellate”; Gustavo Zagrebelski su La Repubblica “Chi cambia la Costituzione per sconfiggere l’avversario”. Questo è  un tema,  così come ha detto il senatore Villone, fondamentale, in quanto se ogni maggioranza si fa la Costituzione a propria immagine e somiglianza, cambia completamente il modo di interpretare la nostra democrazia. Su alcuni di questi punti fondamentali vorrei sentire gli esperti che sono qui per la loro attività, per la loro professione. Farei innanzitutto un richiamo alla memoria, ne approfitto della presenza del Procuratore Capo della Repubblica Luigi Croce per chiedergli quali furono i valori che consentirono ai padri costituenti di mettersi assieme, anche al di là delle loro posizioni diverse, e i valori su cui si fondava la costituzione che oggi è messa in discussione, e quali  sono gli aspetti critici di questo progetto che è stato presentato. 



LUIGI CROCE – Procuratore capo della Repubblica, Messina

Desidero ringraziarvi innanzitutto per il cortese invito e per l’interessante dibattito. Ho appreso tante cose che non conoscevo, e sono grato a chi me le ha insegnate proprio questa mattina. Senza invadere il campo degli esperti, vorrei riallacciarmi brevemente al discorso che poco fa faceva il senatore Villone (intervenuto nel corso della prima parte del Convegno). Noi abbiamo una Costituzione che è stata approvata nel dicembre del ’47, una Costituzione che - vedremo poi quali caratteristiche ha - nel bene e nel male, per 60 anni, ha consentito a questo Paese di vivere in condizioni di democrazia, di convivenza civile. Un quadro entro il quale grandi conquiste civili e sociali sono  state conseguite, e sono state consolidate. Allora, la domanda che mi pongo è se era questo il momento in cui bisognava scardinare questo documento fondamentale. Qualunque cosa si dica della riforma proposta - seconda parte sì e prima parte no - ritengo che, alla fine, tutta la Costituzione verrà scardinata, e che tutti quei principi fondamentali che la Costituzione rappresenta non avranno più nessuna pratica attuazione. E allora, siccome nella nostra vita ci sono i momenti della speranza e i momenti, invece, del ricordo - io sono nella fase del momento del ricordo - vorrei fare una premessa brevissima per poi andare al sodo. Il ricordo è che, come diceva poco fa il senatore Villone, la nostra Costituzione è stata approvata con maggioranza così ampia che nel nostro Paese non si è mai più avuta. Si è approvata, infatti,  in un momento di unità morale da parte di tutte le componenti politiche di quel periodo che, credo, mai si sia raggiunta. Basti pensare che le migliori culture di quel momento, che avevano nel Paese la più grande stima - la cultura liberale, la cultura socialista e la cultura cattolica - hanno partecipato alla redazione di quel documento. Documento al quale hanno dato apporto anche coloro che il famoso 2 giugno del ’47 votarono per il governo monarchico e non per quello repubblicano, ma che alla fine aderirono a quello stesso documento. La nostra Costituzione del ’47, secondo l’interpretazione dei migliori costituzionalisti, rappresenta una interpretazione moderna ed equilibrata del costituzionalismo inteso come realizzazione di un governo democratico parlamentare, rispettoso dei diritti fondamentali della persona e del principio della separazione dei poteri. Nel corso degli anni è stato un quadro di riferimento sicuro, certo, sia per l’impostazione della nuova legislazione che si è andata attuando nel tempo, sia per sradicare quelle norme che i vecchi regimi avevano attuato. In questi anni non si è mai parlato di riforma di Costituzione, si è tentato, semmai, di apportare delle modifiche di natura secondaria. Le proposte erano orientate soprattutto ad accrescere il sistema delle garanzie che dovevano essere affidate alla Corte Costituzionale, alla magistratura, al Presidente della Repubblica e forse allo stesso Parlamento. La reazione dell’attuale schieramento governativo alle proposte dei costituzionalisti è stata, invece, di non aumentare le garanzie, come era stato richiesto, ma di ridurle, apportando modifiche dirompenti nella composizione del collegio ordinario. Accanto a questo atteggiamento, si è scatenata una vera campagna di delegittimazione contro tutti gli organi di garanzia che, in un modo o nell’altro, sembravano ostacolare quella che era la spinta rivolta a dare al Capo del Governo il potere assoluto del nostro Paese. Queste iniziative si sono scatenate attraverso una vera e propria campagna mediatica volta a squalificare la Corte costituzionale, la magistratura, che erano stati coloro i quali, in un certo qual modo, avevano cercato di porre argine a questo strapotere. E la giustificazione è stata quella che l’investitura democratica, conferita a coloro i quali gestiscono oggi il potere, è tale da consentire loro di poter violare qualunque legge, anche quando la legge fa riferimento alla tutela di interessi privati di qualcuno. Nell’ambito di questa campagna di grave delegittimazione e di grave insulto, naturalmente i magistrati sono entrati in prima fila, e l’attacco ai magistrati, cioè ai custodi della legge, è diventato lo sport quotidiano perché è di tutti i giorni che, quando un magistrato, in osservanza alle leggi del nostro ordinamento, indaga un politico perchè corrotto o perché colluso con la mafia, il problema non è più il politico colluso o corrotto, ma il problema è il magistrato che viene attaccato in maniera violenta. E leggiamo sui giornali di partito dei giudici, di toghe rosse, di rivoluzione giudiziaria, di giacobinismo, di giustizialismo, di accanimento giudiziario, di persecuzione contro alcuni a vantaggio di altri. Ma quello che è stato  più grave, ed è più grave, è che, accanto a questa campagna mediatica, proprio all’indomani delle elezioni del 2001, si è sviluppata tutta una serie di iniziative di riforma delle leggi ordinarie, alcune tendenti ad impedire l’applicazione della legge in molti casi in cui avrebbe comportato l’adozione di provvedimenti nei confronti di alcuni soggetti graditi al potere, altre con specifico riferimento alla magistratura che possiamo senz’altro definire restauratrici. Conoscete tutti cosa sono le leggi ad personam e come il nostro Parlamento negli anni immediatamente successivi alle elezioni del 2001 ne abbia fatto uso ed abuso. E’ chiaro che queste leggi, che sono state emanate nel più assoluto disprezzo del principio dell’uguaglianza dei cittadini, hanno violato uno dei cardini fondamentali della nostra Costituzione e del pensiero politico che risale alla Rivoluzione Francese. Con riguardo in particolare ai magistrati si comincia con una riforma, apparentemente insignificante, ma di grande portata: la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura con la riduzione da 30 a 24 unità dei componenti del Consiglio. Sembrerebbe un fatto banale, ma vi posso garantire che oggi il Consiglio Superiore della Magistratura è totalmente bloccato perché, con il carico di lavoro derivante dalla gestione degli 8000 magistrati, a cui si è aggiunto un numero innumerevole di magistrati onorari, il CSM non riesce più a gestire le pratiche, ed è di questi giorni la lettera che il Presidente della Repubblica ha rivolto al vicepresidente del CSM perché solleciti le commissioni a predisporre i trasferimenti perché si vada avanti. Se, quindi, è bloccato sotto il profilo amministrativo, figuratevi quale apporto può dare in questo momento il CSM in una fase in cui l’intervento del nostro organo di autogoverno dovrebbe essere il paladino della nostra indipendenza e della nostra autonomia. Ma il clou si raggiunge con la riforma dell’ordinamento giudiziario, cui faceva riferimento Oceano nella sua relazione. Come sapete, i magistrati sono oggi un potere diffuso. Ci distinguiamo in base alle funzioni, siamo liberi ed indipendenti, non abbiamo rapporti di gerarchia o rapporti di dipendenza gerarchica. Ebbene, un primo progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario prevedeva, invece, una organizzazione burocratica piramidale, al vertice della quale veniva collocata la Corte di cassazione, alla quale venivano attribuiti poteri identici a quelli del CSM in tema di reclutamento, formazione, selezione e carriere dei magistrati in cambio di una volgare prebenda. Una indennità elargita ai colleghi della Cassazione, in quanto residenti fuori Roma, e attraverso il vecchio prolungamento del termine pensionabile  dai 72 ai 75 anni  - che serviva a qualche vecchia  gloria della Cassazione a restare sulla sedia che occupava-,  anche questo violazione della Costituzione perché in tal modo si veniva a violare quelli che erano i compiti propri che la Costituzione attribuisce al Consiglio Superiore. E tali compiti si dovevano svolgere in collegamento con il Governo, dato che questi erano demandati a soggetti che, a loro volta, erano anche scelti dal Ministro della Giustizia, il quale poteva quindi incidere direttamente  su queste attività. Questo significa che di fatto il Governo interferiva sui fatti della magistratura, spezzando quel concetto di separazioni di poteri che la nostra Costituzione prevede e su cui si dovrebbe essere più rigidi che mai. La reazione dell’Associaziome Nazionale Magistrati e di alcuni studiosi, i quali evidentemente compresero quali erano gli scopi, sostituì questo progetto di legge con un altro disegno di legge, il cosiddetto maxiemendamento, che è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 7 marzo del 2003.  Se dobbiamo essere sinceri fino in fondo, siamo caduti dalla padella nella brace perché questo progetto non è altro che il preavviso del venir meno dell’indipendenza e dell’autonomia del pubblico ministero e poi della magistratura tutta. Innanzitutto perché affida la progressione in carriera dei magistrati a controlli concorsuali di tipo meramente tecnico, senza alcuna valutazione di natura professionale; riduce la funzione del pm alla mera presa d’atto degli esiti di questi concorsi fatti da altri; ripristina l’assetto assolutamente gerarchico della Procura della Repubblica perché il Procuratore della Repubblica diventa il responsabile dell’azione penale del suo ufficio. Tutti i sostituti, quindi, devono far capo al Procuratore della Repubblica, il quale deciderà nei confronti di chi avviare l’azione penale e nei confronti di chi non avviarla.  In buona sostanza è un progetto che relega il CSM ad una funzione meramente notarile e, dall’altro lato, intacca notevolmente l’indipendenza della magistratura perché il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge sparisce allorché io, procuratore della Repubblica, decido chi devo perseguire e chi non debbo perseguire. Ma quel più grave - ecco il punto del discorso- è che tutto questo non incide assolutamente, in nessun modo, e per nulla su quelli che sono i veri problemi che oggi affliggono la giustizia italiana. Il vero problema che oggi affligge la giustizia italiana è la vergognosa durata dei processi, e questo non è certamente dovuto al fatto che il Pubblico Ministero sia più o meno libero, o al fatto che il CSM faccia o meno i concorsi. È dovuto alle scarse risorse economiche destinate alla giustizia, alla distribuzione delle risorse sul territorio nazionale che sono previste da una legge del 1930, alle sacche di neghittosità che ci sono negli uffici giudiziari e ad un processo penale che oggi è ridotto ad una foresta di cavilli  e di formalismi che sempre più lo inceppano. Quindi, le riforme che oggi abbiamo in cantiere e che sono state approvate o stanno per essere approvate puntano senz’altro ad altri obiettivi e non certamente a quello che è la riforma della giustizia in senso vero. Il CSM, la riforma dell’ordinamento giudiziario, la separazione delle carriere, il controllo politico che il Parlamento vuole attribuirsi sulle priorità che gli uffici giudiziari dovrebbero affrontare nelle loro attività, la sottrazione della polizia giudiziaria al potere del pubblico ministero, il controllo del pm in tutte le sue sfaccettature e via via, fino alla legge Cerami e ai disegni sulla restaurazione dell’unità parlamentare, ai progetti Annedda e Pittelli di ulteriore riforma del codice di procedura penale, sono tutti elementi e tutti fatti che non ridurranno nemmeno di un giorno il processo penale, che non aumenteranno nemmeno di una briciola l’efficienza del sistema giustizia, e porteranno certamente  al di sotto dei livelli a cui siamo giunti oggi la nostra produttività. Perché tutto questo? Le risposte vanno in direzione opposta a quel che servirebbe. Si tratta di interventi pensati con  riferimento alla giustizia di emergenza, cioè alla giustizia che preme agli imputati eccellenti, senza contare per nulla sulla giustizia ordinaria, quella dei poveri cittadini di ogni giorno. Credo che a questo punto vi siano dei grossi problemi, soprattutto per il principio della separazione di poteri che poi si riflette sull’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e sul primato della legalità . Eravamo abituati a pensare che nelle democrazie occidentali l’alternanza fra Destra e Sinistra al governo di un Paese incidesse sulle politiche economiche, sul rapporto pubblico e privato, sulle diverse articolazioni del welfare, senza che ciò mettesse in discussione le fondamentali regole istituzionali, e in particolare il primato della legalità inteso come vincolo di agire di tutti gli attori sociali, economici, istituzionali e politici. A questa convinzione eravamo indotti dalla legislazione dell’Inghilterra, degli Stati Uniti, della Francia, della Germania. La certezza che oggi abbiamo è che il caso italiano effettivamente si profila come un caso particolare, un appannamento certamente dei livelli di legalità, e gli esempi che si possono fare sono numerosi. A quel ministro che teorizza che si possa convivere con la mafia, a quel fatto che i difensori del Capo del Governo siano coloro i quali sono anche i responsabili della politica penale e processuale del nostro Paese, al principio che il progetto di legge che i beni della mafia possono essere venduti per capitalizzare  soldi ed evitar che possono essere acquisti dal patrimonio dello Stato e devoluti ad enti … come dire che oggi leviamo la Ferrari a Sparacio e domani con l’altra mano gliela restituiamo perché possa comprarsela e continuare a lavorare. Gli interrogativi certamente non mancano, e richiamano alla mente quello che scrisse nel 1900 Gaetano Mosca: “quando si permette uno strappo alla giustizia e alla legalità, non è possibile prevedere dove lo strappo andrà a fermarsi e può accadere che esso si allarghi tanto da ridurre a brandelli tutto il senso morale di un popolo civile“. Questa è la posta in gioco, e non si tratta di prendere posizioni tra Destra e Sinistra. Il primato della legalità, l’uguaglianza di tutti i  cittadini davanti alla legge non sono questioni di Destra o di Sinistra, sono questioni di tutti, delle quali dobbiamo farci carico ricercando insieme a tutti tutte le soluzioni nell’interesse generale, se non vogliamo essere colpevoli di omissioni contro la democrazia.
 

PIERO MAENZA

Ringraziamo il Procuratore Croce per queste riflessioni, che io vorrei che fossero una sorta di testimone in una staffetta, che ognuno di noi dovrebbe un po’ portare e consegnare a chiunque avvicini. Riflessioni che vorrei ora proseguissero, continuando su questo percorso di approfondimento sugli aspetti giuridici della riforma proposta, attraverso il contributo di un illustre giurista messinese, il professore Silvestri. Insieme alla domanda fatta dal Procuratore Croce del perché proprio ora si intervenga a modificare la Costituzione del ’47, mi chiedo se, sotto il profilo costituzionale, il percorso seguito per arrivare alla riforma sia corretto, sia per l’iter seguito o non nelle Commissioni, sia per il tipo di maggioranza che la ha approvata. L’altro aspetto è quello di merito, che alcuni dei relatori già intervenuti hanno in qualche modo toccato, per le ricadute che avrà la devolution su  Regioni e Comuni. E ancora, sarebbe interessante se il professore Silvestri approfondisse gli aspetti su cosa cambia nella figura del Primo Ministro, nei suoi rapporti con il Parlamento, e su quale sarà, se esisterà, il ruolo dell’opposizione.
 



GAETANO SILVESTRI – Ordinario di Diritto costituzionale, università di Messina, eletto giudice della Corte costituzionale a pochi giorni dal Convegno (22 giugno)

Anche io ringrazio la CGIL per l’invito a partecipare a questo dibattito in un momento particolarmente delicato e difficile della storia d’Italia. Forse dovremmo avere maggiore consapevolezza del fatto che ci troviamo di fronte ad un tentativo di grande spessore di sovvertire in modo duraturo - e potrebbe anche essere irreparabile- la struttura fondamentale della democrazia italiana. Uso queste espressioni piuttosto pesanti ed impegnative non a caso, non per una finalità meramente retorica, ma dopo avere attentamente esaminato il progetto di riforma costituzionale, che oggi si avvia verso la sua definitiva approvazione da parte delle Camere, e che contiene al suo interno due potenzialità offensive che colpiscono allo stesso modo le due componenti fondamentali delle costituzioni contemporanee. Le costituzioni contemporanee sono costituite da due elementi fondamentali: le regole per la gestione del potere, le regole della democrazia, del rapporto tra autorità e libertà, tra sovranità popolare e governo; e la tutela dei diritti fondamentali, sia di quelli tradizionali, le cosiddette libertà negative, sia i diritti sociali, le cosiddette libertà positive. Queste sono le due componenti delle costituzioni contemporanee. Se guardiamo attentamente a questo progetto di revisione, vediamo che entrambe le componenti fondamentali delle costituzioni moderne sono messe in discussione. Perché? Da una parte abbiamo il tentativo di introdurre per via costituzionale, e quindi con regole giuridiche, una forma di dittatura della maggioranza che finisce per realizzare poi come effetto ulteriore - attenzione a questo passaggio - una riduzione della complessità e una semplificazione che non può che andare a detrimento della tutela effettiva dei diritti sociali. Prima parte e seconda parte della Costituzione sono strettamente connesse. Pensare che una riforma della seconda parte soltanto, che porta ad un irrigidimento autoritario della forma di governo, ad una semplificazione politico-istituzionale, sia senza effetti sui diritti fondamentali tutelati dalla prima parte, significa stare fuori dalla realtà. Se noi introduciamo meccanismi di semplificazione brutale, selvaggia, sia per quanto riguarda i rapporti all’interno del Parlamento, sia per quanto riguarda i rapporti tra governo e Parlamento, poniamo le premesse perché quei diritti fondamentali, che devono essere tutelati attraverso le leggi dello Stato e l’azione di governo, siano in partenza meno soggetti ad un apporto di forze molteplici, espressione dei diversi sentire, e quindi ad una implementazione effettiva. Io credo che sia stato detto in cosa consista la riforma. Vorrei dire che non soltanto con la riforma che si propone oggi noi rischiamo di andare verso una dittatura della maggioranza, ma addirittura rischiamo di andare ad una dittatura sulla maggioranza, nel senso che non soltanto vengono ad essere intaccati, diminuiti, erosi e marginalizzati i poteri dell’opposizione, delle minoranze, il ruolo delle autonomie sociali, ma viene messa in discussione anche la capacità della stessa maggioranza di controllare il Governo, della stessa maggioranza di esercitare in modo effettivo ed efficiente quel rapporto fiduciario che costituisce l’asse fondamentale della forma di governo parlamentare. Quindi la nostra forma di governo diventa una forma di governo molto strana, diventerebbe - lasciatemi usare il condizionale, un condizionale di speranza il mio -  una forma di governo del tutto sconosciuta nei Paesi di democrazia occidentale. Non sarebbe una forma di governo parlamentare in quanto il rapporto fiduciario verrebbe ad essere svuotato completamente. Non sarebbe una forma di governo presidenziale perché non esisterebbe quel sistema di pesi e contrappesi che pur esiste nelle forme di governo presidenziale, a cominciare dal prototipo di forma di governo presidenziale, che è quello americano. Non esiste in nessun altro Paese d’Europa che abbia una forma di governo paragonabile a quella parlamentare nostra, un irrigidimento del potere così preponderante del Primo Ministro: non c’è in Gran Bretagna, non c’è nella forma del Cancellierato tedesco, non c’è nella forma di governo spagnolo. Avremmo, quindi, il poco invidiabile primato di realizzare quello che Leopoldo Elia ha chiamato il premierato assoluto, la possibilità, cioè, del Primo Ministro, non soltanto di avere mano libera perché gode di una maggioranza parlamentare ferrea e l’opposizione è tenuta in una posizione di subalternità, ma addirittura la possibilità con un piccolo drappello- non entro nei particolari tecnici-  di parlamentari a lui fedelissimi di tenere in scacco la stragrande maggioranza del Parlamento. Stiamo andando verso una dittatura della minoranza sulla maggioranza che si inserisce, poi, nella dittatura della maggioranza nel complesso, nel senso che all’interno della maggioranza, che già ha poteri dittatoriali, c’è un piccolo gruppo di persone, che fa capo al Primo Ministro, che può, senza controllo alcuno, determinare la propria inamovibilità. Questo deve essere chiaro all’opinione pubblica, e forse non lo è ancora sufficientemente. Il dibattito costituzionale - fatemi fare una parentesi- deve essere più popolare, più esteso di quanto è stato finora. Non può essere lasciato ai tecnici, agli esperti, anche perché gli esperti  e i tecnici si sono espressi nella stragrande maggioranza in senso negativo. Nell’associazione italiana dei Costituzionalisti credo che il 90% degli aderenti sia ferocemente contrario a questa riforma, però non sono i Costituzionalisti che determinano l’esito di un referendum. Se non c’è una mobilitazione delle grandi organizzazioni politiche e sindacali, i costituzionalisti da soli vengono messi facilmente a tacere. Stiamo attenti che, in questo momento si sta giocando il futuro della nostra libertà. Accanto a questo meccanismo di congelamento del rapporto fiduciario che non consente di sfiduciare il premier, se non a condizioni veramente assurde, quasi impossibili da realizzare, c’è un altro dato grave ed è lo svuotamento di poteri del Presidente della Repubblica. Ora il nostro sistema costituzionale è un sistema di equilibri che trova nel Presidente della Repubblica e nella Corte Costituzionale i due elementi fondamentali di stabilizzazione. Noi abbiamo organi politici e organi moderatori. I primi sono quelli che determinano l’indirizzo politico, che fanno la politica quotidiana,  gli organi moderatori sono quelli che sviluppano quello che una volta Paolo Barile chiamava l’indirizzo politico costituzionale, cioè sono i tutori, i garanti dei valori fondamentali e del loro sviluppo, della loro applicazione nel momento in cui la politica quotidiana viene elaborata e attuata. Se noi indeboliamo uno di questi pilastri, evidentemente otteniamo un effetto moltiplicatore su quel premierato assoluto che già abbiamo visto avere poteri straordinari, poteri che non hanno comparazione in nessun altro ordinamento contemporaneo. Il Presidente della Repubblica, ad esempio, non avrebbe la possibilità di apprezzare e di valutare in modo elastico, in modo adatto alla situazione, l’opportunità di sciogliere o meno le Camere, rimettendo questa decisione esclusivamente nelle mani del Presidente del Consiglio, chiamato d’ora in poi Primo Ministro, ed è già molto che non viene chiamato Capo del Governo per ricordare vecchie esperienze del Ventennio! Vi rendete conto che quello disegnato da questa riforma è un Presidente del Consiglio, un Primo ministro, inamovibile, arbitro dello scioglimento del Parlamento, e quindi in grado di pronunciare il fatale “tutti a casa”, che poi è quello che determina la forma di ricatto più forte nei confronti delle assemblee parlamentari. Un Primo ministro infastidito da un Parlamento non troppo docile, che magari gli crea problemi ad ogni Finanziaria, proprio perché l’allocazione delle risorse in un certo ambito o in un altro non è gradita, che può dire “o così o vi mando tutti a casa”. E non c’è il meccanismo moderatore ed equilibratore del Presidente della Repubblica. Non c’è un organo terzo garante, a cui il Presidente del Consiglio si debba rivolgere e che potrebbe rispondere che no, non scioglie le Camere perché non ci sono le condizioni per lo scioglimento. L’introduzione di meccanismi di automatismo, ma di un automatismo guidato, che dipende cioè quasi esclusivamente dalla volontà del Primo Ministro, rischia di trasformare la nostra forma di governo da forma di governo “parlamentare di tipo democratico” in una forma di governo, che io non ho esitato a definire in tante occasioni - e che ribadisco ancora oggi -, “neoautoritaria”, laddove noi, quando parliamo di forma di governo autoritaria, non dobbiamo necessariamente pensare al fascismo storico, alle camicie nere, all’olio di ricino e ai manganelli. Dobbiamo pensare anche a forme di governo in cui c’è un irrigidimento del potere, una impossibilità di articolazione del potere, una riduzione grave della separazione, della divisione dei poteri, come diceva un momento fa il procuratore Croce, e dove si somma a questo il controllo dell’informazione. Non dimentichiamo che la riforma costituzionale, questo è un dato di cui dobbiamo tenere conto, si affianca alla elaborazione e alla approvazione  di una serie di leggi ordinarie di livello subcostituzionale che però si integrano con la riforma costituzionale in una filosofia complessiva. Questo è il dato da tenere presente. C’è una filosofia complessiva di neoautoritarismo che si sposa ad una filosofia di tipo economico di liberismo estremo. Sono due cose che non devono essere considerate separate l’una dall’altra, giacché noi abbiamo avuto in epoca moderna esempi cospicui, e purtroppo tragici, di accoppiamento tra forme estreme di autoritarismo politico e forme estreme di liberismo economico. Faccio un solo esempio, naturalmente a scopo esorcistico perché spero che mai in Italia si possa verificare una situazione del genere, e credo che ci sono in Italia le forze politiche e sociali capaci di impedirlo. Il caso emblematico è stato il Cile di Pinochet, dove  si è unito il massimo di autoritarismo politico, la dittatura militare, e il massimo di liberismo economico, cioè furono applicate le dottrine dei Chicago Boys, un esperimento quasi in corpore vili. Per poter applicare quelle idee di super liberismo economico ci vogliono i cannoni, perché è tale la sofferenza sociale, è tale la protesta sociale che determinano, è tale l’incisione sui diritti più elementari dei cittadini che  per poter realizzare quel tipo di politica economica è necessario uno stato estremamente potente, autoritario. Del resto, dalla nostra storia, sappiamo che è una favoletta dire che la politica liberale classica era sostenuta da uno stato  democratico. Era sostenuta dai cannoni di Bava Beccaris, che sparavano sugli operai nelle piazze di Milano! Dobbiamo essere consapevoli del legame tra una democrazia matura e una attuazione effettiva dei diritti fondamentali. Terzo elemento di questo quadro, da non trascurare, è la cosiddetta devolution, che è un modo distorto di intendere il federalismo che è  presente in questo progetto di riforma. Ora, forse noi abbiamo esagerato negli anni scorsi - noi quelli che si riconoscono in posizioni democratiche, di patriottismo costituzionale, quelli che, come me, amano la Costituzione - nel vantare in tutte le occasioni, in dibattiti, congressi ed assemblee, le virtù del federalismo, come se dal federalismo dovessero discendere automaticamente effetti positivi per i lavoratori, per l’occupazione, per lo sviluppo economico, per la garanzia migliore dei diritti sociali, della sicurezza . Non è così. Il federalismo è una forma di stato che serve, quando serve e quando è ben attuata, ad avvicinare il governo della cosa pubblica, alle comunità territoriali amministrate. Serve, questo federalismo, a difendere le identità culturali e sociali in una cornice però di forte unità. È espresso bene nell’articolo 5 della Costituzione, che è nella prima parte e che rischia di entrare in collisione con queste riforme: la Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e garantisce le autonomie locali. La “Repubblica una e indivisibile” non è l’idea tanto di un nazionalismo vecchia maniera della patria una, della retorica di una volta, è l’idea che la repubblica è una espressione sintetica per indicare un coagulo di valori fondamentali di cui il popolo, gli abitanti di quel territorio, sono depositari, valori che stanno al di sopra di qualunque volizione sia locale che nazionale, cioè sono i veri sovrani del nostro ordinamento. Se leggete l’articolo 1 della nostra Costituzione, dice al secondo comma che “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Cioè, neanche la sovranità popolare intesa come numero ha la forza e la capacità nel nostro sistema di incidere sui diritti fondamentali. In altre parole la Costituzione  è per i diritti e non i diritti per la Costituzione. Con la devolution succede qualcosa di particolarmente spiacevole. Succede che andiamo incontro ad una gestione dei diritti fondamentali di tipo sociale, dei diritti pretensivi cioè, diritto alla sanità, alla salute, all’istruzione, che per loro natura richiedono l’impiego di risorse, e l’impiego delle risorse deve essere programmato e attuato sul territorio nazionale in modo da realizzare quella che molto egregiamente la Costituzione tedesca definisce “l’equivalenza di condizione di vita” di tutte le parti del territorio nazionale. Già io fui critico - e non solo io, ci furono molti critici-, quando si fece la riforma del titolo V della Costituzione, che non è la migliore tra le possibili riforme dell’ordinamento regionale, che introduce un concetto che è ben più debole di quello della Costituzione tedesca. La Costituzione tedesca parla di equivalenza delle condizioni di vita in tutte le parti del territorio nazionale, introducendo davvero il federalismo solidale, quel federalismo che richiede che chi ha di più dia a chi ha di meno, sempre però nell’ambito di una distribuzione produttiva delle risorse. Del resto, abbiamo visto cosa è successo in Germania dopo l’unificazione, dove effettivamente il federalismo solidale tedesco è stato messo a durissima prova e con tutti i difetti, le contraddizioni, i ritardi, con tutto ciò che possiamo considerare negativo di quel processo alla fine dobbiamo dire che ha funzionato. Cosa sarebbe accaduto in Italia,  se fosse stato in vigore l’ordinamento che la riforma vuole attuare? Credo che avrebbe funzionato esattamente al contrario perchè questa riforma si muove verso un assetto della tutela istituzionale dei diritti sociali che ci porterà a quella che viene definita la “libertà a spicchi”, i diritti a spicchi, cioè i diritti che vengono tutelati in maniera più o meno piena a seconda del territorio in cui si trovano i soggetti titolari dei diritti. Già l’espressione dell’articolo 117 non mi piace molto perché parla di livelli essenziali delle prestazioni, quasi a dire che il minimo lo garantiamo a tutti, poi ognuno, a seconda delle sue possibilità, si garantisce il di più; è un modo che non mi piace perché rispetto ai diritti fondamentali - istruzione, salute, casa -, non all’acquisto della barca o al superfluo, credo che non ci possa essere un minimo essenziale ed un di più, perchè dovrebbe invece esserci una equivalenza delle condizioni di vita. La devolution mette a serio rischio tutto ciò, e inoltre apre la strada a conflitti e contenziosi tra i diversi poteri dello stato senza precedenti. Per restare in campo della sanità, la riforma dice che il diritto alla salute è di competenza dello Stato, mentre  l’organizzazione sanitaria è di competenza della Regione. Sapreste spiegarmi come si può garantire il diritto alla salute senza l’organizzazione sanitaria? Ci sarà lo Stato che dirà che i cittadini hanno diritto alla salute e poi le Regioni faranno tutto il resto? E’chiaro che  non può funzionare, quindi o daremo una interpretazione minimalista dell’espressione “diritto alla salute”, che allora diventerà niente più che una espressione priva di contenuto, diventerà un diritto sulla carta, oppure, se vorremo dare all’espressione diritto alla salute uno spessore maggiore, una consistenza maggiore, sorgerà immediatamente il contenzioso con le Regioni, un contenzioso che certamente non sarà positivo perché non si saprà mai dove comincia la competenza della Regione e dove quella dello Stato.
 

PIERO MAENZA

Ringraziamo il professore Silvestri che ha dato dal suo punto di vista una serie di nozioni che ci consentono di comprendere alcuni degli aspetti che ci toccheranno in qualità di cittadini.

Nell’ultima parte dell’intervento, quella dedicata alla devolution, il Professore Silvestri ci ha introdotto all’intervento di Rosario Crocetta, conosciuto da tutti per il suo impegno a Gela, una città – dovrebbe essere un capoluogo di Provincia perché, per numero di abitanti, è superiore al suo capoluogo, Caltanissetta - coacervo di problematiche incredibili, dove la legalità è una  affermazione eufemistica. La sua battaglia è seguita soprattutto dai giovani e da chi ha volontà di vivere in uno stato di diritto.

Questa devolution vista da chi va ad amministrare senza le risorse per garantire i diritti della sanità e dell’istruzione, cioè la possibilità di avere una equivalenza di condizioni di vita rispetto ad altre regioni più fortunate. C’è il pericolo che questo impegno di Rosario Crocetta diventi parolaio perché non avrà più risorse?



 
ROSARIO CROCETTA, Sindaco di Gela

Penso che la CGIL abbia avuto una splendida idea ad organizzare in Sicilia quello che credo sia il primo convegno sulla devolution per aprire un ragionamento rispetto ai riflessi che avrebbe questa riforma/violazione della Costituzione rispetto alla Sicilia. Un ragionamento che noi dobbiamo porci nettamente, partendo però da un presupposto, che oggi non si tratta soltanto di avversare il tentativo di violazione della Costituzione, ma che dobbiamo parlare oggi di una Costituzione materiale già sostanzialmente violata da questo Governo, violata in una serie di questioni e di comportamenti concreti. Il procuratore Croce faceva riferimento all’attacco nei confronti della magistratura e, quindi, al tentativo di limitazione di un principio fondamentale, che è quello dei diritti dei cittadini ad essere giudicati dai propri giudici, del diritto elementare del principio della separazione dei poteri. Addirittura il nostro Presidente del Consiglio dice che non può assolutamente essere giudicato da persone che sono sostanzialmente vincitori di concorso, mentre il Presidente è votato, direi, dalle televisioni – ed è l’altro problema serio, netto che pone il professore Silvestri. Noi ci troviamo di fronte ad una Costituzione materiale che in questi anni è stata violata in tutto il suo ragionamento, sia per quanto riguarda i diritti formali, quelli dei cittadini, le libertà fondamentali, ma poi anche per la condizione materiale di vita. Quando si parla di riforme fiscali, che sostanzialmente dicono che non bisogna più pagare le tasse, si sta mettendo in atto un tentativo di aggressione del Mezzogiorno e della Sicilia, perché significa in modo molto netto che chi ha i soldi tira avanti e chi invece non ce li ha viene sostanzialmente cancellato da una serie di diritti. Il tentativo di modifica della Costituzione, quindi, è già in atto in una serie di questioni che riguardano il rapporto tra scuola pubblica e scuola privata. Questi ragionamenti fanno venire fuori anche un problema serio che  abbiamo in Sicilia., perché nelle ultime elezioni regionali in qualche modo, rispetto a questo tentativo di violazione, non solo della Costituzione materiale, c’è stata l’insurrezione da parte delle regioni meridionali. Il voto negativo al governo che c’è stato nel Mezzogiorno è sostanzialmente un voto contro la devolution. Invece in Sicilia assistiamo al paradosso che un progetto politico istituzionale culturale, quello di dittatura della maggioranza, il fatto sostanzialmente di alterare le regole a colpi di maggioranza  non mantenendo invece una base che vada bene a prescindere da quale sia il segno del Governo in quel momento, questo tentativo trova l’adesione netta da parte del governo Cuffaro. La devolution parte dalla spinta separatista di Bossi, dal tentativo un po’ di rivalsa di settori che sono legati a Berlusconi, compreso un tentativo non solo di premierato, ma anche di fare i conti con la magistratura rispetto ad una serie di questioni che riguardavano il premier e personaggi a lui vicini. Una devolution che oltre ad essere incardinata su una concezione autoritaria del potere, crea venti italie diverse. Allora, vorrei chiedere ai politici siciliani legati al centrodestra,  a Raffaele Lombardo ad esempio, come fa a conciliare il discorso delle liste autonomiste, e quindi di questa Sicilia dell’autonomia, con una devolution che sostanzialmente è finalizzata a valorizzare e far diventare più ricche le regioni ricche. Si pone, quindi, un problema politico in Sicilia, così come si pone nettamente la questione anche  di una serie di cose che credo siano passate negli ultimi tempi e che io non condivido fortemente, come la questione dello sbarramento, ad esempio, che cancella liste, partiti, movimenti. Io credo che tutte queste questioni, che riguardano le garanzie democratiche, non possono vederci mai in atteggiamenti di cedimento perché democrazia e libertà non  sono separabili. Ad un certo punto non si può rinunciare ad un po’ di libertà, ad un po’ di democrazia. Se lo facciamo progressivamente rinunciamo alla libertà, progressivamente rinunciamo alla democrazia. Per cui credo che ci sia anche una questione siciliana da ribadire, nel momento in cui facciamo questa riflessione a Messina, la riflessione siciliana su questa democrazia, su questa Costituzione mai attuata in Sicilia, in questo rapporto storico, netto, di continuità storica che si è realizzata rispetto alla gestione del potere fra mafia, politica, economia. Con l’unità d’Italia prima sono arrivati i Piemontesi che si sono alleati con la mafia, poi i fascisti che l’hanno inglobata, la mafia, quindi è arrivata la Democrazia Cristiana che ne abbia fatto, direi, un bell’uso, ora Forza Italia che non mi pare davvero ne sia estranea. Un presidente della Regione nettamente rinviato a giudizio per favoreggiamento di mafiosi non è certo un bell’esempio della necessità della Sicilia di liberarsi da una serie di cose che sono diventate il fulcro dei nostri problemi. In Sicilia la questione della lotta alla mafia non è la solita solfa, è la questione centrale dello sviluppo, perché quando assistiamo ad una economia totalmente controllata dai poteri mafiosi, è chiaro che noi o facciamo questo ragionamento oppure questa terra non avrà mai uno sviluppo. Quando ci troviamo di fronte ad una classe politica parte della quale ne è organica, una parte fa finta che non c’è e solo una sparuta minoranza si pone il problema serio di affiancare la lotta delle forze dell’ordine e della magistratura rispetto a questa questione che è centrale … quando, addirittura, non ci sono settori, come sembrerebbe venire fuori anche da queste recenti inchieste a Messina che anche della magistratura qualche occhiolino sembrerebbero averlo chiuso, allora dobbiamo pensare che veramente c’è una questione seria, netta, di uno scatto di orgoglio che debba venire da parte del popolo siciliano, da parte dei siciliani per avviare un processo di liberazione vera e propria sul piano dei diritti democratici, sul piano delle libertà, sul piano dei rapporti istituzionali corretti, ma anche sul piano più generale di una riforma della politica che deve interessare la Sicilia. Quindi la questione della Costituzione formale non può non legarsi alla questione della Costituzione materiale e alla questione della politica, perché io non credo che ci siano scorciatoie rispetto a queste questioni. Credo che il movimento dei lavoratori, i sindacati, le organizzazioni dei lavoratori possano avere una grande funzione, così come l’hanno avuta proprio nel portare avanti questa Costituzione repubblicana, la battaglia antifascista e, quindi, anche nella realizzazione di questa Costituzione repubblicana così come nacque da quell’accordo, da quell’incontro tra forze cattoliche, forze comuniste, socialiste, laiche e liberali e anche attraverso l’azione concreta della lotta del movimento dei lavoratori. Credo che noi abbiamo la necessità di chiarire esattamente in Sicilia, al popolo siciliano, che la riforma costituzionale che si propone è una riforma contro la Sicilia, contro il Mezzogiorno. L’antimeridionalismo di questa scelta della devolution consolida strumenti, metodi, poteri che aggravano non solo le condizioni materiali della Sicilia, ma anche le condizioni dei diritti, e quindi la possibilità concreta di battere la mafia. Quando si  attacca la magistratura, quando addirittura si pretende una Corte Costituzionale più politicizzata, quando si sbarra il sistema dei poteri, credo che si impedisca concretamente anche di avviare quei processi di giudizi che sono fondamentali per le garanzie democratiche. La questione che ricordava, per esempio, il procuratore Croce a proposito dei beni confiscati è drammatica. Tutti quanti sappiamo che le aste dei beni espropriati, confiscati, in Sicilia sono vinte dalla mafia. Ci sono stati anche illustri omicidi sulla questione di partecipazione ad aste a cui non si doveva partecipare. Allora confiscare i beni al mafioso e poi rimetterli sul mercato rivendendoli, invece di fare un ragionamento serio con i Comuni, con le associazioni antiracket, con i giovani che possono pensare di formare in un territorio una cooperativa per gestirli, per riportarli ad un uso sociale pubblico, allora ci troviamo fondamentalmente di fronte ad un tentativo più grave attraverso la riforma della Costituzione di negare libertà e diritti agli italiani. E credo che qui in Sicilia sia molto più grave che altrove. Un tentativo che dobbiamo sicuramente rigettare e combattere. Quello che vedo spesso è proprio questa logica della ineluttabile sconfitta in Sicilia. Io sono tra coloro che in Sicilia questo mito l’ha un po’  sfatato affrontando non solo una battaglia in termini politici ed elettorali, ma anche portandola su un piano giudiziario, e questo la dice anche un po’ lunga su come funzionano le elezioni in Sicilia, avendo io dovuto, per vincere, fare ricorso. Avevo perso per 107 voti, poi ne avevo in realtà 532 in più. Anche questo la dice lunga su quale Costituzione materiale reale viviamo in Sicilia.

 PIERO MAENZA

Ringraziamo Rosario Crocetta, coraggioso sindaco di Gela. Il professore Silvestri diceva che c’è una ricaduta, nel modificare questa parte seconda della Costituzione, su alcuni aspetti che al momento noi non vediamo, ma che sicuramente vedremo un minuto dopo che sarà attuata. Su alcuni di questi aspetti invito a parlare Antonio Crispi, segretario nazionale della Funzione Pubblica CGIL.

Cosa accadrà nel pubblico impiego?



 
ANTONIO CRISPI,Segretario nazionale Funzione Pubblica CGIL

 Prima di tutto vorrei ringraziare, a nome della Segreteria nazionale della Funzione Pubblica e personalmente, gli intervenuti per il contributo di analisi  e contenuto che hanno dato alla nostra riflessione, e i compagni di Messina che ci hanno consentito, organizzando l’incontro di oggi, di  dare continuità, concretamente, ad un percorso che abbiamo avviato da tempo sul tema della riforma costituzionale.

Quando iniziammo la nostra riflessione si poteva ancora chiamarla “riforma”.

Si parlava, allora, di adeguare la Costituzione, alle necessità, ai cambiamenti, della società che viviamo oggi, senza stravolgimenti sostanziali, soprattutto nei valori che l’avevano ispirata, rimanendo, anzi, saldamente ancorati a quelli e guardando al futuro. Allorquando la Costituzione fu modificata dal centro-sinistra al Governo, noi eravamo tra quelli,  che avvertirono il pericolo, come ricordava il professore Silvestri, di una riforma sbagliata nel metodo, (non vi era il coinvolgimento dell’opposizione) e nei contenuti, penso all’articolo V e alla conseguente legislazione concorrenziale tra le regioni, che avrebbe di certo potuto acuire la divaricazione tra le regioni del Nord e quelle del Sud. La continuità su questo tema, l’iniziativa d’oggi è quasi un obbligo poiché come ha sottolineato, Teodoro Lamonica, nella sua relazione che molti hanno ripreso, siamo di fronte allo sconvolgimento di qualsiasi idea di riforma Istituzionale, che tenga il paese unito e sia solidale tra regioni ricche e regioni povere, da parte dell’attuale Governo di centro-destra. In particolare come Funzione Pubblica vogliamo sottolineare che, di pari passo con lo sconvolgimento della costituzione questo governo sta smantellando lo Stato, negando tra l’altro ogni ruolo alle funzioni pubbliche da un punto di vista della coerenza sociale e dell’erogazione dei diritti di cittadinanza.

 In quanto sindacato del pubblico impiego la Fp Cgil, avverte, non solo, l’ingiustizia di un attacco immotivato e pretestuoso, da parte del Presidente del Consiglio Berlusconi, nei confronti dei lavoratori del pubblico impiego,  ma nello stesso tempo,  il pericolo di una  riduzione  dello stato a spettatore impotente di un mercato senza regole e senza indirizzi politici, se non, una solo legge quella del più forte;da una parte, regioni e persone ricche, sempre più ricche; dall’altra, poveri sempre più poveri.

A difesa dei lavoratori del pubblico impiego e della necessità che si continui ad erogare ed estendere diritti, abbiamo ascoltato poche voci e non tanto forti anche a sinistra.

 Così come, va sottolineato che, i governi regionali – anche di centro sinistra- nell’occasione dell’elaborazione della discussione degli statuti regionali e dei regolamenti, non hanno di certo brillato nel coinvolgimento delle parti sociali associazioni, sindacato, così che tutto si è svolto nel confronto dei partiti e all’interno dei palazzi. Questo significa che la riforma di cui stiamo parlando è figlia di una grande mediazione tra gl’interessi e di equilibri di carattere politico all’interno degli schieramenti,  che difficilmente salvaguardano, secondo noi, la concezione di uguaglianza, unità e libertà che ci ricordava il professore Silvestri. La mia opinione rispetto alla maggioranza che oggi ci governa, ma che sento non solo come ragionamento personale ascoltando il dibattito, è che ci troviamo di fronte,  ad un attacco totale al sistema Italia, in termini culturali,  politici, e termini sociali; un attacco che sradica i valori di uguaglianza,  solidarietà e libertà su cui si è fondata,per molti anni, la Repubblica italiana.

Questi valori, e soprattutto la cultura, o meglio, le culture che sottintendevano  a questi valori che per tanti anni hanno retto, quella laica, quella socialista, quella cattolica, sono oggi vissute, come un ostacolo da parte del governo all’affermarsi degli egoismi, dei personalismi, degli interessi particolari di cui questa maggioranza e il suo leader sono portatori al punto che “la violazione della Costituzione” – diventa un passaggio necessario, per una identificazione del paese a loro e ai disvalori di cui sono portatori, che riguardano il  deficit morale, etico e politico che li caratterizza. Non c’è  autorevolezza da parte del Governo, da parte di chi guida  questo Paese.Oggi, la  maggioranza degli elettori- nel momento in cui il Paese si esprime- rimette in discussione il precedente riconoscimento popolare a cui,spesso, si richiama  Berlusconi. Guardando alle ultime votazioni, Catania sembra davvero un incidente di percorso. Nel paese non c’è più lo stesso apprezzamento per le forze di governo;eppure  credo davvero che, immediatamente dopo la discussione sui problemi di natura economica e sociale, di confronto, che ci vengono riproposti dall’Europa; questa stessa maggioranza  ormai delegittimata- indipendentemente da quello che i costituzionalisti e non solo loro dicono- andrà con determinazione avanti nel suo progetto di riforma. Credo che abbiano quasi una necessità di modifica della Costituzione, di identificazione, perché altrimenti non avrebbero diritto all’esistenza “politica” e al riconoscimento dei  valori che hanno propugnato, espresso e rivendicato in questi anni nel nostro Paese. E qui , nel momento in cui si va al rapporto tra riforma costituzionale e territori,avvengono le cose gravi. Faccio un esempio pratico, sulla sanità. Il diritto alla salute viene messo in discussione, non c’è solidarietà, ma non stiamo parlando del futuro. Andando a fare una iniziativa a Campobasso ho trovato un accordo tra la Regione Lombardia e quella Regione, in cui la Regione Lombardia già si pone in un rapporto  diretto come sostegno a quella regione e, pur essendo dello stesso segno politico; la Regione Lombardia ha chiesto ovviamente a quella regione di adeguarsi ai valori che esprime la Regione Lombardia. C’è quasi un “io ti sostengo, ti do le risorse che ti mancano, tu però devi seguire me”. Ma questa non è la negazione della libertà, dell’autonomia, della possibilità di decidere secondo le esigenze di carattere territoriale? Di rispondere alle domande e ai bisogni che nascono in un determinato territorio, che le regioni italiane sono diverse tra di loro? E non è questa una delle semplificazioni di come è possibile già da oggi individuare, immaginare il Paese che verrà e che non ci piace? Non ci piace anche perché in queste ore, proprio per tornare alla Funzione Pubblica, c’è una negazione di un altro diritto: quello per i pubblici dipendenti di avere un contratto. Ma anche qui non è un incidente di percorso. Non è che Berlusconi, padrone di questa Casa delle Libertà, non vuole scrivere il contratto e dice a suoi quattro ministri che non sono in grado di fare una trattativa con i sindacati -  lo dice apertamente, non li riconosce da questo punto di vista- ma è perché c’è una idea precisa del pubblico impiego,  una concezione che strumentalizza i limiti presenti nel pubblico impiego. Alllora mettiamoci insieme  e vediamo in che termini dobbiamo mettere- dal punto di vista delle risposte- la Pubblica Amministrazione in grado di darle in termini più veloci, di ampliare, diffondere i diritti e la possibilità di usufruire di quei diritti. No, non c’è purtroppo questa idea. C’è invece l’idea, come per la magistratura, per i giornali, così come per la cultura, e quella dell’illegalità; c’è una idea che noi siamo un ostacolo alla riduzione della possibilità di diritti, perché noi questo ostacolo rappresentiamo. Se ci sono meno risorse comuni, se ci sono meno dipendenti pubblici  capaci di erogarli questi diritti, ci sono meno diritti, c’è più privatizzazione, ci sono più risorse che vanno ai privati. Se i cittadini/lavoratori non avranno a disposizione una corposa assicurazione, non potranno più ricoverarsi all’ospedale. Si mira a questo. È  inutile che alcune volte, non volendo accentuare le questioni, stendiamo quasi un velo sulla capacità di questa maggioranza di disegnare e  proseguire nel lavoro di mutazione genetica del Paese che sta mettendo in piedi. Al contrario,noi pensiamo che dobbiamo restare in campo, che dobbiamo non solo sottoscrivere il contratto, non solo difendere il diritto alla legalità, il diritto alla salute; ma  dobbiamo fare in modo, attraverso la solidarietà, di estendere questi diritti perché in questa nostra Italia,  ci sono ancora lavoratori, cittadini, che non hanno né diritti al lavoro né diritti di cittadinanza.Riteniamo,invece, che dobbiamo estenderli, vogliamo evitare assolutamente che possa succedere il contrario di quello che ci ricordava Scalfaro, sottolineando il fatto che dopo il fascismo la Costituzione rendeva,tutti,  cittadini, trasformava il popolo italiano da suddito in cittadino dotato di diritti. Vogliamo nel modo più assoluto, e lotteremo con tutte le nostre forze perché non avvenga il contrario, che i cittadini diventino di nuovo sudditi e i poteri dello stato siano soggiogati completamente a chi governa il Paese.

 

PIERO MAENZA

E’ stata una mattinata proficua di interventi e credo anche di riflessioni che ci sono state affidate, di cui tutti porterete come testimoni in giro la responsabilità di diffonderle perché credo che mai come in questo momento ci sia bisogno un po’ di tutti nei rispettivi ruoli, quello di un sindacato è importante. In questo momento c’è la politica, intesa come senso generale, che ha bisogno di aiuto perché credo che abbia perso gli orientamenti giusti. Vi saluto e cedo il microfono per le conclusioni a Maria Troffa, responsabile delle riforme costituzionali della Cgil, che saprà certo trarre le conclusioni di questa intensa mattinata di lavori.



 
MARIA TROFFA, Responsabile nazionale Dipartimento riforme costituzionali  CGIL

Cercherò di non dilungarmi. Vorrei solo ricordare alcune cose. Molte qui ne sono state dette e mi sembra che i problemi insiti alla riforma e quelli connessi siano stati sviscerati abbondantemente. Io vorrei ripartire da quello che è stato l’inizio dei nostri lavori questa mattina, dalla relazione introduttiva che faceva Teodoro Lamonica. Perché la CGIL si preoccupa di discutere di queste tematiche, perché abbiamo fatto questa discussione molto bella questa mattina? Teodoro Lamonica ricordava  che la CGIL su queste tematiche fa un lavoro da un po’ di anni e che già nel 2001, con un convegno nazionale, si espresse con un documento su quella che era la nostra visione del federalismo. Che cosa intendevamo noi, organizzazione sindacale e nello specifico CGIL, per una riforma in senso federale dello Stato? Veniva ricordato anche questa mattina che noi fummo attenti soprattutto a mettere in evidenza che a noi interessava una riforma che, lavorando ad integrare le istituzioni tra di loro, a tutti i livelli, dal livello nazionale ai livelli regionali e locali, potesse governare meglio, ma soprattutto - dicemmo- doveva essere una riforma che mantenesse la solidarietà e l’unitarietà del Paese e che quindi partisse dal dettato dell’articolo 5. D’altra parte era necessario, a nostro parere, approfondire queste tematiche, tematiche che anche nei temi congressuali avevano una parte rilevante, perché la discussione sulla Costituzione nel nostro Paese era in corso da parecchi anni, già dall’VIII legislatura. Qualcuno ricorderà i lavori della Commissione Iotti, della Commissione Bozzi, e le altre, sino ad arrivare, nella XIII legislatura ai lavori della Bicamerale che, come sapete, fallì il suo scopo. Sul titolo V e, quindi, sulla riforma voluta in conclusione di legislatura dal Centrosinistra, noi che cosa dicemmo allora come CGIL? Mi sembra utile ripercorrere un po’ la nostra posizione per arrivare all’oggi: noi dicemmo che, per quanto riguardava il merito – anche questo è stato già ricordato – avevamo delle riserve, soprattutto per quanto riguardava la riscrittura del 117 nella parte che elencava le materie di legislazione concorrente e specificammo, anche, che eravamo contrari al fatto che venisse assegnata alla legislazione concorrente la tutela e la sicurezza del lavoro, e la previdenza complementare e integrativa. Villone prima ci ricordava che, invece, questa materia è stata messa nello Statuto delle regione Sicilia.  E’chiaro che noi, per essere coerenti con una posizione già espressa, dobbiamo ostacolare anche quella dizione, per quanto riguarda il merito della riforma del titolo V. Per quanto riguarda il metodo noi dicemmo che era un metodo sbagliato e questo l’avevamo detto con molta franchezza – ci tengo a ricordarlo-. Perché dicemmo che era sbagliato? Purtroppo fummo cattivi profeti. Dicemmo che era sbagliato perché poteva costituire un precedente, e purtroppo si è andati esattamente in quella direzione. C’è da ricordare, però, per onestà di posizione, che a quella riforma si arrivò con una richiesta pressante di tutte le Regioni, comprese quelle di centrodestra, e che sino ad un certo punto la discussione era stata assolutamente bipartisan. Solamente alla fine c’era stata questa posizione di chiusura del centrodestra. Un metodo, quindi, comunque, anche nel suo essere sbagliato, che però era stato diverso da quello che si è seguito questa volta. Quando ci fu il referendum sul titolo V, nell’ottobre del 2001, noi ci pronunciammo per la conferma della legge dicendo che comunque, con una applicazione accurata, e quindi con leggi di applicazione che fossero scritte in concorso, potevano essere evitati quei pericoli che avevamo individuato nella definizione delle attribuzioni legislative. Questo perché bisogna ricordare che in una parte di quella riforma, peraltro ricorderete che era di dieci articoli, non ci trovavamo di fronte ad una imponenza così, come questa volta. Una parte di quegli articoli erano anche necessari, a nostro parere, per dare una copertura costituzionale a quelle che erano le riforme amministrative che già c’erano state nel nostro Paese. Dopo, ovviamente, non ci fu una applicazione accurata di quella riforma, ma preciso che noi con questa posizione, quella di votare sì, dicevamo anche che a nostro parere c’era necessità comunque di fare alcune correzioni e di fare alcuni interventi. Ricordo che a nostro parere era necessario rafforzare le funzioni di garanzia esistenti, quelle di cui occorreva tener conto, in relazione al nuovo contesto determinato dalle legge elettorale del maggioritario e, quindi, per esempio, prevedere diversi quorum per quanto riguarda sia il 138, quindi la stessa procedura di revisione costituzionale, sia l’elezione del Capo dello Stato e  del Presidente delle Camere, ecc.  E dicemmo anche che, a nostro parere, andavano determinate e definite le questioni riguardanti il conflitto di interessi, la determinazione dell’informazione, gli istituiti di democrazia partecipativa e lo  statuto delle opposizioni. Ribadimmo,  perché se vi ricordate già se ne parlava - se ne cominciò a parlare come ricordava Villone, ma d’altra parte era proprio tra gli impegni di legislatura - la nostra assoluta contrarietà, unitamente a CISL e UIL, a una possibile differenziazione territoriale dei diritti, ponemmo un allarme in anticipo rispetto a quello che poteva succedere con le intenzioni di devolution. Rispetto poi al titolo V, l’applicazione fu ritardata il più possibile, prima ancora di fare la legge di applicazione, cioè la legge La Loggia nel 2003, aveva già avuto una prima lettura completa il disegno di legge di devolution che conteneva solamente però quell’articolo, e la legge di attuazione del titolo V prevede una attuazione solo parziale. Voglio ricordare che infatti non prevede assolutamente l’attuazione dell’articolo 119, che questa mattina è stato citato con forza dal Segretario generale di Assindustria, ma voglio ricordare che l’attuazione del 119 viene rinviata di 3 anni anche nella riforma costituzionale che stiamo esaminando oggi. Questo la dice lunga rispetto a quello che vogliono fare nel concreto rispetto a dare più potere alle Regioni. Successivamente fu partorita questa proposta e ci furono i Saggi riuniti nell’agosto a Lorenzago, e poi nacque questa proposta che contiene, anche questo è già stato detto, al suo interno quelle che erano le esigenze di tutte le forze che costituiscono l’attuale maggioranza, che non sono esigenze neppure omogenee tra di loro. Per questo la gran parte dei costituzionalisti ha anche riaffermato che è una riforma pasticciata e contraddittoria al suo interno. Non mi soffermo sui contenuti dei quali si è già parlato, la messa in discussione serissima dei diritti con gli articoli sulla devoluzione, con le proposte di nuova forma di governo, in assenza, non dico di rafforzamento, ma con l’indebolimento delle attuali garanzie, con un iter legislativo complicatissimo, con un Senato federale che non risponde assolutamente alle esigenze per le quali gran parte del mondo politico e anche delle forze sociali lo richiedevano. Insomma si tratta di un intervento così esteso che, a nostro parere, va ad incidere anche sulla prima parte della nostra Carta, cioè su quelli che sono i principi e i diritti fondamentali che non dovrebbero essere assolutamente messi in discussione. Quindi nel complesso, proprio per questi risvolti, questa riforma è a nostro parere pericolosa  per la democrazia. Per queste motivazioni noi, insieme a CISL e UIL, abbiamo aderito al Coordinamento nazionale “Salviamo la Costituzione. Aggiornarla non demolirla” di cui come sapete presidente è il presidente Scalfaro, e abbiamo invitato a fare questi coordinamenti dappertutto, per poter iniziare da subito una campagna di spiegazione sui contenuti di questa riforma e poter arrivare, quindi, al referendum avendo preparato e avendo discusso dei suoi contenuti. Questa Costituzione, un punto che si è toccato questa mattina, la consideriamo ancora attuale? Questo è il primo punto che io credo ci si porrà nella discussione che affronteremo nei prossimi mesi. Noi riteniamo di sì, noi riteniamo che i valori e i contenuti della nostra Costituzione siano ancora attuali, noi riteniamo che questi valori vadano riaffermati anche il 2 giugno, quando sarà festa della Repubblica, che proponiamo sia anche la festa della Costituzione repubblicana. Io  vorrei leggere solo l’articolo 1 della nostra Costituzione, esattamente la prima riga, “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Non è solo attuale, ma direi che è essenziale e assolutamente rilevante. Sapete che la nostra è l’unica Costituzione dei Paesi europei che esordisce esattamente in questo modo e questo è uno degli elementi caratterizzanti della sua originalità, ma anche della sua attualità ancora oggi? Io credo che questo la CGIL, ma il sindacato e i lavoratori non possono ignorarlo, quindi anche a chi ci dice perché il sindacato deve occuparsi di queste cose, abbiamo dei motivi abbastanza pregnanti con cui rispondere, perché anche questa è una litania che da qualche tempo si sta diffondendo perché il sindacato sta intervenendo sulla Costituzione. Io direi che la Costituzione è più nostra che di tanti altri . Io credo che noi dobbiamo lavorare perché la Costituzione sia sentita propria da tutti e su questo credo che ci sia un gran lavoro da fare perché molto in questi anni si è dimenticato, perché molto in questi anni si è perso. Io credo che questi 4 anni di governo Berlusconi siano stati terribili per il nostro Paese, e  sono stati terribili sotto tutti i punti di vista. Credo che nel  nostro Paese in questi 4 anni si sia determinata una situazione di questo tipo: c’è stata una progressiva assuefazione al peggio, c’è stata una progressiva demolizione dello stato di diritto … qualcuno dice che c’è stata una progressiva demolizione dello Stato tout court, si è diffuso un progressivo disprezzo per la giustizia, un progressivo disprezzo per la giustizia sociale, si è iniziato attaccando i diritti del lavoro. Noi in qualche modo abbiamo posto uno stop all’inizio della legislatura, però la cosa è continuata, si è diffusa una progressiva indifferenza per quello che era lo stato sociale e poi ritengo che ci sia stata una evoluzione di questo affondo nel nostro Paese. Credo che il culmine del degrado sia la demolizione della Costituzione che, non a caso, è arrivata nella fase finale della legislatura, demolizione della Costituzione e svuotamento dei suoi valori per dare in qualche modo una sanzione a quello che, nel frattempo si sta portando avanti,  la diffamazione dell’antifascismo e della Resistenza, l’affermazione dell’uguaglianza tra i partigiani e i cosiddetti ragazzi di Salò. Si vuole insomma cercare di sanzionare la costruzione di un Paese diverso da quello che noi abbiamo conosciuto in questi anni, diverso da quello che hanno costruito dopo la lotta di liberazione i nostri padri costituenti. Si è, quindi, creata una tale situazione per cui si porta l’affondo alla stessa identità del Paese. Io penso che questo determini una situazione di emergenza democratica. Penso che questo  Paese, oltre ad essere in una situazione di emergenza economica - poco fa mi è arrivato sul telefonino un sms dell’OCSE che dice che l’Italia è in recessione, zavorra per l’Europa, previsto un deficit del 4,4% nel 2005- abbia una crisi sociale e una crisi di valori. Credo che ci sia una forte crisi democratica, credo che sia necessario reagire, qualcuno diceva che probabilmente si sta iniziando a reagire, forse gli stessi risultati delle elezioni hanno questo segno. Si è anche detto che quel segno è stato dovuto in gran parte all’attacco alla Costituzione, questo va valutato, va ponderato, credo che  si debba continuare questo lavoro, però non considero  che i risultati elettorali, a parte quello che è successo in Sicilia, siano una risposta acquisita, credo che il lavoro vada continuato e che debba essere sollecitata una capacità di reazione. Su questo noi dobbiamo incidere. Credo che a noi, come sindacato, spetti una parte importantissima perché noi possiamo diffondere la conoscenza di contenuti, il ragionamento su quello che sta succedendo proprio a partire da tutti i posti di lavoro .