Direzione Generale dei Rapporti di Lavoro

 

CIRCOLARE N. 46/2001

30 aprile 2001

PROT. 5/26335/70/SUB/PT

Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale
Direzione Generale Rapporti di Lavoro - Div. V -

OGGETTO: Attuazione della direttiva 97/81 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES. Decreto legislativo n. 61 del 25.2.2000. Decreto legislativo n. 100 del 26.2.2001.

 

 

ALLE DIREZIONI REGIONALI  DEL LAVORO
LORO SEDI

ALLE DIREZIONI PROVINCIALI  DEL LAVORO
LORO SEDI

Alla Regione Siciliana Assessorato Lavoro e Previdenza Sociale Ispettorato del lavoro
PALERMO

Alla Provincia Autonoma di Bolzano
Assessorato lavoro
BOLZANO

Alla Provincia Autonoma di Trento
Assessorato lavoro
TRENTO

Al Servizio Controllo Interno
SEDE

   Sulla Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20.3.2000 è stato pubblicato il decreto legislativo n. 61 del 25.2.2000 di attuazione della Direttiva CEE n. 97/81 del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES. In esito alla verifica prevista ai sensi dell’art. 12 del medesimo decreto, finalizzata a conoscere gli effetti di tali disposizioni, è stato emanato il decreto legislativo n. 100 del 26.2.2001, pubblicato sulla G.U. del 5.4. 2001, concernente "Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 25.2.2000, n. 61", composto da un unico articolo recante alcune, limitate, ma significative modificazioni al decreto legislativo n. 61 del 2000.

    La presente circolare, pertanto, fornisce elementi di chiarimento in ordine alla nuova disciplina del lavoro a tempo parziale, come definita dal decreto legislativo n. 61 del 2000, segnalando le modifiche ad esso apportate dal citato decreto legislativo n. 100 del 2001. Va, da subito, evidenziato che il legislatore in considerazione della necessità di adeguamento normativo della previgente normativa derivante dal recepimento della Direttiva europea n. 97/81/CEE, ha profondamente rivisitato l’intera disciplina, definendo un nuovo organico quadro normativo con conseguente abrogazione dell’art. 5 della legge 19 dicembre 1984, n. 863.


PREMESSA

    L’accordo-quadro, concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, recepito dalla direttiva n. 97/81 attesta il particolare rilievo che le Parti sociali a livello europeo assegnano, nell’ambito di una strategia globale per l’occupazione, al lavoro a tempo parziale quale notevole manifestazione della diversificazione e flessibilizzazione del rapporto di lavoro rispetto al modello tradizionale in grado di favorire nuove occasioni di lavoro, consentendo di corrispondere, da un lato, ad esigenze del mondo della produzione con assetti organizzativi più funzionali ed articolati e, dall’altro, ad esigenze di vita dei lavoratori.
    I punti salienti dell’accordo e, dunque, della direttiva sono in particolare: il rigoroso rispetto del principio di non discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo parziale; il miglioramento della qualità del lavoro part-time; la volontarietà della scelta di questa tipologia di rapporto di lavoro.
    Tali punti si rinvengono dalla disciplina di attuazione in esame, relativamente alla quale occorre preliminarmente mettere in evidenza che il legislatore, nella consapevolezza del ruolo della contrattazione collettiva in materia, affida, peraltro, alla contrattazione stessa ampi spazi regolatori, accentuati dalle disposizioni recate dal decreto correttivo n. 100 del 2001, attesa la duttilità dello strumento contrattuale per affrontare le diversificate esigenze dei vari settori produttivi.
    Coerenti con l’obiettivo della promozione di occupazione stabile appare la previsione di cui all’art. 3 comma 13, secondo cui "l’effettuazione di prestazioni lavorative supplementari o straordinarie, come pure lo svolgimento del rapporto secondo modalità di cui al comma 7 (c.d. clausole elastiche) sono ammessi esclusivamente quando il contratto di lavoro a tempo parziale sia stipulato a tempo indeterminato e, nel caso di assunzioni a termine, limitatamente a quelle previste dall’art. 1, comma 2, lett. b), della legge 18 aprile 1962, n. 230.
    Tale esclusione, tuttavia, non è assoluta: attraverso la pattuizione collettiva, anche aziendale, sarà possibile estendere il ricorso al lavoro supplementare ed a quello straordinario, ad altre ipotesi di assunzione con contratto a termine consentite dalla legislazione vigente.
    Tutto ciò porta a ritenere che lo sviluppo del part-time possa realizzarsi attraverso un giusto bilanciamento tra le già accennate esigenze di flessibilità dell’impresa e dei lavoratori, ai quali non deve essere reso impossibile programmare e svolgere altra occupazione, attendere ai bisogni familiari o comunque ad altre attività al di fuori del tempo impegnato nell’attuazione del rapporto di lavoro a tempo parziale.


DEFINIZIONE

    La normativa in esame introduce (art. 1) per la prima volta nel nostro ordinamento, in funzione della definizione del lavoro a tempo parziale, una chiara nozione di orario a tempo pieno richiamando la disciplina di cui all’art. 13 comma 1, della legge 24 giugno 1997 n. 196 e successive modificazioni, ovvero il minor orario normale fissato dai contratti collettivi applicati, dei quali non precisa livello e agente contrattuale.
    L’aver assegnato alla disciplina legale un ruolo prioritario rende, infatti, superflua per questo aspetto e solo in questo caso, l’individuazione puntigliosa degli agenti contrattuali, poiché il rispetto del limite inderogabile stabilito dalla legge, ai sensi della normativa vigente, risulta comunque garantito.
    Viene altresì normativamente riconosciuta la possibile articolazione tipologica del lavoro a tempo parziale, attraverso la definizione non solo del part-time orizzontale e di quello verticale, ma anche di quello "misto".
    Occorre in proposito rilevare, quale prima significativa novità recata dal decreto legislativo n. 100 del 2001, che tale rapporto di tipo misto è stato ora esplicitamente e direttamente ammesso dalla legge e non più previsto quale mera possibilità consentibile dai soli contratti collettivi come, invece, stabiliva originariamente l’articolo 1del decreto legislativo n. 61 del 2000. Alla contrattazione collettiva rimane, naturalmente, la possibilità di determinare condizioni e modalità di svolgimento della prestazione lavorativa in tutte le tipologie di part-time.
    Ovviamente i contratti di lavoro a tempo parziale di tipo "misto" in essere alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, continuano ad esplicare i propri effetti.
    Si evidenzia, altresì, che il decreto correttivo, nel rivisitare l’art. 1, comma 3 del decreto legislativo n. 61, ha poi previsto la possibilità per la contrattazione collettiva nazionale di individuare per specifiche figure o livelli professionali modalità particolari di attuazione delle discipline rimesse alla contrattazione collettiva dalle norme del decreto legislativo in questione, autorizzando, pertanto, l’intervento della contrattazione nazionale anche per qualifiche di alto livello professionale previste dalla legge (dirigenti) o dall’autonomia sindacale (funzionari).
    Il successivo comma 4, poi, accogliendo e razionalizzando i risultati di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, nonché dell’orientamento amministrativo (vedi circolare 102/86) prevede che le assunzioni a termine, di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 230 e successive modificazioni e integrazioni possano essere effettuate anche con rapporto a tempo parziale ai sensi del comma 2. In questo senso un contratto a tempo determinato può essere costituito da prestazioni di lavoro a orario ridotto nell’arco sia del giorno, sia della settimana, sia del mese, sia dell’anno. E’ appena il caso di precisare che, fra le modificazioni della legge n. 230/62 cui allude la disposizione in esame, va ricompresa quella di cui all’art.23 della legge n. 56/1987 (e, con essa, le ipotesi di assunzione a tempo parziale autorizzate dalla contrattazione collettiva).
    Sempre in merito a tipologie specifiche di rapporti di lavoro comunque a termine, quali l’apprendistato e il CFL, il decreto non ha affrontato il problema della loro compatibilità con il part-time; appare opportuno confermare l’orientamento amministrativo espresso con circolare n. 102/86, nella quale è stato chiarito che non esiste, in via di principio, inconciliabilità tra i suddetti istituti e il part-time. Tuttavia la valenza non è di carattere generale, ma va esaminata caso per caso e cioè con riferimento alla necessità, attese le caratteristiche e finalità proprie dei predetti istituti, di valutare se la durata della prestazione lavorativa sia tale da consentire, rispettivamente il conseguimento della qualifica professionale di cui si tratta e il soddisfacimento dell’esigenza formativa.


FORMA E CONTENUTI DEL CONTRATTO A TEMPO PARZIALE

    Pur ribadendo in ordine alla forma del contratto la necessità dell’atto scritto (art. 2), il legislatore ha operato un superamento dell’orientamento giurisprudenziale e amministrativo, secondo il quale la forma scritta nel rapporto in esame era richiesta ad substantiam, quale requisito di vera e propria validità del relativo contratto.
    Sulle conseguenze del vizio di forma nel contratto individuale di lavoro a tempo parziale vi era stata una notevole attività della giurisprudenza da cui è emersa una vasta e differenziata gamma di orientamenti (circa la conseguenza della mancanza dell’atto scritto nel caso concreto) talvolta in netto contrasto tra loro, peraltro, univoca sul valore costitutivo dell’atto scritto.
    In tale situazione il Ministero con circolare n. 37/93 aveva ritenuto che in presenza di contratti ad orario ridotto senza l’adozione della forma scritta il regime giuridico previsto dall’art. 5 delle legge 863/84 non poteva trovare applicazione, atteso che ad essi avrebbe potuto applicarsi solo la disciplina che scaturisce dal diritto comune.
    La nuova normativa, risolvendo definitivamente la vexata quaestio, ha dichiarato ora che la forma scritta del contratto è richiesta soltanto ai fini di prova per cui ove la scrittura risulti mancante, è ammessa la prova per testimoni, sia pure nei limiti di cui all’art. 2725 cod. civ., fermo restando che l’eventuale mancanza o indeterminatezza delle indicazioni circa la durata delle prestazioni e della collocazione temporale dell’orario "non comporta la nullità del contratto", (art. 8, comma 2).
    In un settore tradizionalmente dominato dal principio della libertà della forma e dell’autonomia delle parti, il legislatore ha voluto coerentemente stabilire la semplice forma del "documento" ossia del contratto, come strumento per raggiungere lo scopo che è quello di fissare in esso i contenuti del particolare rapporto di lavoro che lo stesso legislatore ha indicato (distribuzione dell’orario di lavoro) e quindi agevolarne l’accertamento in modo da evitare una utilizzazione non corretta dell’istituto. In definitiva la forma scritta è da considerare non più come condizione di validità dell’atto negoziale, bensì solo come requisito ai fini di prova, per cui oggi anche i contratti part-time stipulati senza l’adozione di tale forma sono assoggettati di conseguenza (al pari di quelli risultanti da atto scritto), al regime giuridico stabilito per il part-time dal nuovo decreto.
    Per altro verso, è da rilevare che in difetto di prova (sia documentale, sia per testimoni) la sussistenza fra le parti di un rapporto a tempo pieno e non già a tempo parziale potrà essere giudizialmente dichiarato su richiesta del lavoratore.
    Rispetto alla disciplina della legge 863/84 si aggiunge l’obbligo della comunicazione, da parte del datore, alle rappresentanze sindacali aziendali, ove esistenti e con cadenza annuale, sull’andamento delle assunzioni a tempo parziale, sulla relativa tipologia e sul ricorso al tempo supplementare; sono fatte salve le previsioni più favorevoli dei contratti collettivi di cui al precedente art. 1, comma 3. Si conferma la comunicazione dell’assunzione a tempo parziale alla Direzione provinciale del lavoro, nel termine di 30 giorni.
    Queste disposizioni sono volte, evidentemente, a garantire il controllo collettivo sulle concrete ipotesi di part-time, ma anche ad offrire al sindacato strumenti valutativi sul ricorso dell’istituto, utile anche ai fini della successiva rinegoziazione della materia.


LAVORO SUPPLEMENTARE

    La flessibilità dei sistemi di organizzazione degli orari, quale contributo importante allo sviluppo del part-time, risulta principalmente favorita oltre che dalle disposizioni sulle c.d. clausole elastiche anche dalla previsione della possibilità di richiedere lo svolgimento di prestazioni supplementari rispetto a quelle concordate nel contratto individuale mediante il riconoscimento in capo al datore di lavoro della relativa facoltà.
    Com’è noto il ricorso al lavoro supplementare in precedenza era escluso dal comma 4 dell’art. 5 della legge 863/84 con divieto peraltro rimovibile dai contratti collettivi (anche aziendali) con riferimento "a specifiche esigenze organizzative".
    Con la nuova normativa cade il divieto di ricorso alle prestazioni supplementari che possono essere svolte dal lavoratore part-time orizzontale assunto a tempo indeterminato e a tempo determinato nelle ipotesi previste dalla legge e dalla contrattazione sempre che, salvo quanto stabilito in via transitoria dall’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 3 in attesa delle discipline contrattuali, sia intervenuto al riguardo il contratto collettivo che il datore "effettivamente applichi".
    In tal senso, il decreto legislativo stabilisce, all’art. 3, comma 1, che il datore di lavoro possa richiedere l’effettuazione di lavoro supplementare (intendendo per tale quello che superi l’orario concordato ed entro i limiti dell’orario a tempo pieno) purché la contrattazione collettiva, alla quale pertanto resta affidato un compito essenziale, preveda il numero massimo di ore effettuabili nell’anno, nonché il numero massimo delle ore effettuabili nella giornata e le cause obiettive che ne giustificano il ricorso.
    Dal tenore della disposizione sopra illustrata appare evidente che, nella fattispecie, il potere direttivo del datore di lavoro subisce un bilanciamento ad opera della contrattazione cui il legislatore, come in altre ipotesi già normate, direttamente rinvia in funzione di controllo su uno strumento di gestione del personale altrimenti lasciato al potere discrezionale dell’imprenditore.
    In sostanza il legislatore delegato ha ritenuto che la sede più appropriata per tutelare il lavoratore ad orario ridotto, a fronte delle riconosciute esigenze di maggiore flessibilità del lavoro, è da individuare nell’autonomia collettiva, anteposta a quella individuale, oggettivamente più fragile nel conflitto con il contraente economicamente più forte nella risoluzione del relativo conflitto di interessi.
A tal fine, l’art. 3, comma 2, del decreto, stabilisce che:

1. deve trattarsi di contratti collettivi (nazionali, territoriali o aziendali) stipulati dai sindacati particolarmente qualificati sul piano rappresentativo ex art. 1, comma 3;

2. deve trattarsi di contratti effettivamente applicati dal datore di lavoro.

    E’ a tale contrattazione (lettere a), b) e c) art. 3, comma 2) demandata, nel concreto, l’individuazione, rispettivamente del numero massimo di ore di lavoro supplementare effettuabili nell’anno, del numero massimo di tale lavoro effettuabile nella singola giornata nonché delle obbiettive causali legittimanti tali prestazioni.
    In questo caso si può ritenere, in analogia alla giurisprudenza intervenuta sul lavoro straordinario nel contratto di lavoro subordinato a tempo pieno (Cass. n. 2073/1992; Cass. n. 1484/1989, etc.), che le previsioni in materia contenute nel contratto collettivo manifestino anche il preventivo assenso del lavoratore interessato all’effettuazione del lavoro supplementare, nei limiti stabiliti dallo stesso contratto collettivo. In mancanza di un’espressa indicazione della contrattazione collettiva in merito agli elementi di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 3, comma 2, deve ritenersi ammissibile che il consenso del lavoratore all’effettuazione di prestazioni supplementari possa manifestarsi anche tacitamente, attraverso l’accettazione in via di fatto della richiesta datoriale di svolgimento delle medesime. Nel contesto normativo delineato dal decreto in epigrafe, attento al bilanciamento fra esigenze di elasticità organizzativa delle imprese e salvaguardia di spazi di autodeterminazione del lavoratore part-time, la vera garanzia riconosciuta a quest’ultimo in materia di lavoro supplementare consiste, infatti, nella possibilità di rifiutare le relative prestazioni, avvalendosi di un diritto al cui eventuale esercizio (ex art. 3, comma 3, ) non può seguire nessuna implicazione di carattere penalizzante per il lavoratore medesimo, né in termini di sanzioni disciplinari, né di licenziamento (neppure per giustificato motivo oggettivo, come testimonia l’ampio e determinato riferimento al "giustificato motivo" utilizzato dal legislatore).
    Va da sé che le medesime regole in tema di lavoro supplementare si applicano anche a lavoratori non iscritti ai sindacati stipulanti, giacché nel caso in esame non è in discussione la questione di una applicazione erga omnes delle clausole dei contratti collettivi ma il ben diverso problema della procedimentalizzazione, ad opera della contrattazione collettiva, del potere organizzativo del datore di lavoro.
    Sulla regolazione del lavoro supplementare vanno registrate alcune modifiche di rilievo da parte del decreto legislativo correttivo n. 100/2001 al testo originario (art. 3, commi 4 e 6 novellati).
    Le ore di lavoro supplementare nel part-time orizzontale potranno essere liberamente determinate in sede negoziale sotto il profilo della quantità, dell’entità della retribuzione, dei tetti massimi e della maggiorazione nel caso di superamento dei tetti stessi, mentre alla legge restano spazi meramente residuali. In particolare, è significativa la modifica relativa al regime delle maggiorazioni in caso di superamento del tetto. Difatti, diversamente dalla disciplina prevista dall’originaria formulazione dell’art. 3, comma 6, del decreto legislativo n. 61, la maggiorazione del 50 per cento viene ora ad operare solo in mancanza di previsioni contrattuali, in quanto viene rimessa alla contrattazione collettiva la determinazione della misura della maggiorazione prevista in caso di superamento del tetto e non già la sola possibile elevazione della misura stessa del 50 per cento fissata dalla legge, come invece stabiliva la disposizione previgente. In definitiva, alla legge restano, dunque, anche su questo punto, spazi residuali, sicché in mancanza o in attesa di disciplina contrattuale varranno le regole di legge: un tetto massimo del 10% (c.d. franchigia) di lavoro supplementare e una retribuzione, all’interno di questo tetto, equiparata alle ore ordinarie, mentre scatta una maggiorazione del 50% se viene superato tale limite massimo.
    Si deve ancora aggiungere che le innovazioni in materia di lavoro supplementare, fatto salvo il principio del consenso del lavoratore nonché la disposizione sulla "franchigia" del 10 % (nel senso innanzi specificato), non sono tuttavia di immediata applicazione. Difatti, con disposizione di carattere transitorio (art. 3, comma 15), le clausole collettive in materia continuano a produrre effetti sino alla rispettiva scadenza, facendosi comunque carico alle parti sociali di provvedere al loro adeguamento entro il termine del 30 settembre 2001 (così differito dal decreto correttivo) in maniera da contemperare ragionevolmente il rispetto del principio di libertà sindacale con l’osservanza del principio di uguaglianza.
    La previsione, di cui al comma 5 dello stesso articolo, innovativa rispetto alla precedente normativa, estende poi al lavoro a tempo parziale verticale la disciplina ordinaria sul lavoro straordinario, anche con riferimento al tetto massimo previsto ai sensi della legge 409/98, comunque, da riproporzionare – salva diversa previsione collettiva – in relazione alla durata della prestazione lavorativa a tempo parziale.
    Quanto al consolidamento del c.d. "supplementare strutturale", va evidenziato che secondo la riformulazione del comma 6 dell’art. 3 operata dal decreto legislativo correttivo ne è rimessa la eventuale previsione nonché la disciplina interamente alla contrattazione collettiva che, in tal caso, dovrà provvedere fra l’altro, a specificare il concetto di lavoro supplementare svolto "in via non meramente occasionale", richiamato dal legislatore delegato.
   


CLAUSOLE ELASTICHE

    La nuova normativa al comma 7 dell’art. 3 introduce anche le c.d. clausole elastiche che consentono cioè al datore di lavoro di variare la collocazione dell’orario di un dipendente part-time originariamente stabilita nel contratto.
    Le previsioni normative sul punto vanno inquadrate nel contesto ordinamentale in cui assume particolare rilevanza la sentenza 11 maggio 1992, n. 210, della Corte Costituzionale. Infatti, sia pure con sentenza interpretativa di rigetto della previgente normativa, il giudice delle leggi ha escluso l’ammissibilità di qualunque forma di contratto c.d. a "chiamata" o "comando" nel presupposto che il rapporto a tempo parziale si distingue da quello a tempo pieno per il fatto che, in dipendenza della riduzione quantitativa della prestazione lavorativa, lascia al prestatore d’opera un largo spazio per le altre eventuali attività la cui programmabilità, da parte dello stesso lavoratore, deve essere salvaguardata.
    Nell’ambito di tali indirizzi della Corte Costituzionale va dunque collocato l’operato del legislatore in materia inteso anche ad evitare il rischio di discriminazioni indirette in dipendenza dell’esclusione dell’accesso al part-time che, clausole illimitatamente elastiche potrebbero determinare per un gran numero di soggetti, prevalentemente donne, che si verrebbero a trovare nell’impossibilità di conciliare la prestazione lavorativa con gli impegni familiari e, quindi, anche di integrare la propria retribuzione.
    Conseguentemente, il legislatore, in coerenza con la scelta di una "flessibilità normata" che contempera l’esigenza produttiva dell’impresa con adeguate garanzie per il lavoratore, introduce una serie di condizioni, cautele e limiti inderogabili.
    Peraltro, sulla questione, il Ministero del lavoro aveva già avuto modo di intervenire con nota prot. n. 5/26626/49/SUB/PT, del 1 giugno 1998 attraverso un chiarimento interpretativo richiesto da una società operante nel campo della ristorazione, che conteneva in nuce i principi sanciti ora nel decreto, nonché, in alternativa, la possibilità di variare la sola dislocazione temporale dell’orario di lavoro, attraverso l’acquisizione, di volta in volta e in forma scritta, del consenso del lavoratore. Pertanto, all’evidente scopo di realizzare il c.d. garantismo flessibile, il legislatore ha attribuito anche in questo caso, come in quello sul lavoro supplementare, all’autonomia collettiva, un ruolo assai incisivo demandando proprio ai contratti collettivi la possibilità (art. 3 comma 7) di modificare la distribuzione temporale della prestazione lavorativa rispetto a quella inizialmente stabilita nel contratto individuale con riferimento alla sola collocazione temporale dell’orario e di regolamentarne le modalità e le condizioni a fronte delle quali è consentito al datore di lavoro variare la collocazione dell’orario di un lavoratore part-time.
    Per altro verso, il legislatore ha ribadito il principio della volontarietà del lavoratore (comma 9), nel senso che la possibilità di far ricorso alle clausole elastiche è subordinata al consenso del lavoratore che deve essere espresso in questo caso in forma scritta, "ad substantiam" in un atto separato, anche successivo al contratto individuale o contestualmente a quest’ultimo, fatto salvo, comunque, l’obbligo del preavviso. Nel patto, oltre alla data di stipulazione, è fatta menzione della possibilità di denuncia che consente al lavoratore, una volta accettata la clausola, di esercitare il diritto di ripensamento, ma solo:

a. per motivi familiari;

b. per esigenze di tutela della salute;

c. per necessità di svolgimento di una seconda attività lavorativa (subordinata od autonoma che sia).

    Occorre, inoltre, segnalare l’intervento correttivo recato dal decreto legislativo n. 100, sempre in funzione di miglior raccordo fra l’istituto e le esigenze produttive che ha introdotto la possibilità che i contratti collettivi:

a. riducano il preavviso fino a 48 ore per l’esercizio da parte del datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa a tempo parziale, con possibilità di introdurre maggiorazioni in funzione compensativa; resta ferma, come è ovvio, la possibilità che il compenso dovuto per la maggiore disponibilità del lavoratore sia graduato dai contratti collettivi secondo modulazioni variabili, distinguendo, ad esempio, fra periodi di mera disponibilità e periodi del rapporto in cui l’elasticità nella variazione dei turni di lavoro è concretamente applicata.

b. stabiliscano un periodo superiore a 5 mesi per la denuncia da parte del lavoratore della disponibilità a svolgere lavoro a tempo parziale nel caso in cui tale denuncia sia determinata dalla necessità di attendere ad altre attività di lavoro subordinato o autonomo, prevedendo anche in tal caso una indennità compensativa. Deve ritenersi che, diversamente dai casi di esigenze di carattere familiare e di tutela della salute, si sia, nel caso citato, ravvisata la possibilità di operare sul terreno proprio delle compensazioni retributive.

    Le ragioni che consentono di esercitare il diritto di ripensamento devono essere semplicemente documentate, non comprovate: ciò vuol dire che è esclusa qualsiasi contestazione sull’intensità dell’esigenza prospettata dal lavoratore, purché questa sia riconducibile a quelle avvalorate dal legislatore (o, in aggiunta, dalla contrattazione collettiva).
    E’ fatta salva la facoltà, durante lo svolgimento del rapporto, di stipulare un nuovo patto scritto che preveda un’articolazione dell’orario secondo clausole elastiche.
    Quest’ultima soluzione già accolta nell’ambito dell’orientamento interpretativo dominante costituisce, insieme al diritto di ripensamento, un aspetto necessario e irrinunciabile ai fini dell’ammissibilità delle stesse clausole elastiche.
    Poiché la soluzione sopra prospettata non comporta, sostanzialmente, modificazioni della quantità complessiva dell’orario di lavoro si precisa, in via definitiva, che la variazione della sola collocazione temporale di detto orario non dovrà essere oggetto di comunicazione all’organo ispettivo ai sensi dell’art. 12 del regolamento per l’applicazione del RDL 15 marzo 1923, n. 692.
    D’altra parte la determinazione elastica della sola collocazione temporale della prestazione rientra in un programma di flessibilità di orario che si concreta nella possibilità accordata al datore di lavoro di modificare di volta in volta, con l’osservanza, ovviamente, delle condizioni di legge, tale collocazione temporale rispetto a quella inizialmente concordata.
    Infine, è appena il caso di aggiungere che ai sensi del decreto in esame, la durata della prestazione nel contratto di lavoro a tempo parziale deve essere rigorosamente predeterminata. Eventuali clausole elastiche riguardanti la durata della prestazione devono ritenersi assolutamente illegittime e comportano l’applicazione della sanzione di cui all’art.8, comma 2, del decreto.


PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE

    Secondo l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale prevalente il lavoro part-time si caratterizza solamente per la riduzione oraria della prestazione di lavoro, per il resto è un normale contratto di lavoro che presenta in sé tutti gli elementi strutturali del rapporto di lavoro in genere a cui, pertanto, si applicano, gli istituti di legislazione sociale e previdenziale.
    In questo quadro di riferimento, la previsione di cui all’art. 4, comma 1, della nuova normativa – secondo la quale il lavoratore a tempo parziale non può essere discriminato rispetto al personale che opera a tempo pieno – è il risultato di un riconoscimento normativo di una elaborazione dottrinale e giurisprudenziale e costituisce, sotto altro aspetto, puntuale attuazione della direttiva comunitaria.
    La valutazione va fatta, avendo quale parametro di confronto il contratto collettivo (anche aziendale) nella parte in cui disciplina il livello professionale in forza dei criteri di classificazione. Non discriminazione, quindi, non solo sotto l’aspetto economico ma anche sotto quello normativo.
    In particolare, l’articolo in esame, individua diritti che sono attribuiti in identica misura al dipendente a tempo parziale, introducendo in tal senso elementi di chiarezza e certezza giuridica in una materia così controversa.
    La possibilità di riproporzionare il trattamento dovuto con riguardo a determinati istituti non ha carattere particolarmente innovativo ma costituisce un importante consolidamento normativo atto ad introdurre, anche in questo caso, elementi di certezza in sede applicativa: ferma restando per i contratti collettivi di cui all’art.1, comma 3, nonché per quelli individuali, la possibilità di prevedere che la corresponsione di taluni emolumenti – e in particolare di quelli a carattere variabile -sia effettuata in misura più che proporzionale.


TUTELA

    L’art. 5 contiene una serie di disposizioni che istituiscono nei confronti dei datori di lavoro obblighi procedurali e sostanziali che attengono alla trasformazione del rapporto e al diritto di precedenza in caso di assunzione, sia esso a tempo pieno o a tempo parziale.
    Il 1° comma disciplina la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale conformemente all’art. 5 legge 863/84. Rispetto a questa, si specifica che il relativo accordo scritto delle parti può essere redatto, su richiesta dell’interessato, con l’assistenza di un componente della rappresentanza sindacale aziendale scelto dal lavoratore interessato e che, in caso di mancanza della suddetta rappresentanza ovvero qualora il lavoratore non intenda avvalersi di tale procedura, l’accordo dovrà essere convalidato, in sede amministrativa, dalla Direzione provinciale del lavoro (D.P.L.).
    Inoltre, si sottolinea che il rifiuto da parte del dipendente di trasformare il rapporto da tempo pieno a tempo parziale, e viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
    L’innovazione contenuta nella disposizione in esame va ravvisata nella possibilità che, alla trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale, possa farsi luogo anche percorrendo il canale sindacale. Contrariamente all’opinione ventilata in dottrina, infatti, è del tutto evidente che la trasformazione del rapporto attuata con l’assistenza di un rappresentante sindacale prefigura una modalità procedurale alternativa e non cumulativa rispetto a quella che prende corpo in sede amministrativa. Quanto a quest’ultima, ad integrazione e a maggior chiarimento del precedente orientamento espresso con lettera circolare n. 5/26805/SUB/PT del 5 giugno 2000, si ritiene opportuno precisare che qualora la reale volontà del lavoratore non possa in modo inequivoco essere desunta dalle risultanze dell’atto negoziale intervenuto tra le parti, la stessa potrà essere ovviamente verificata dalla D.P.L. competente per territorio anche attraverso una diretta acquisizione delle intenzioni del soggetto interessato.
    Si sottolinea, peraltro, che il provvedimento "di convalida" di cui al decreto legislativo n. 61/2000 non ha finalità di eliminare vizi di un atto precedentemente emanato, bensì di verificare se la volontà manifestata dalle parti nell’atto di trasformazione corrisponda o meno ad una volontà reale, manifestata cioè senza condizionamenti.
    Ne consegue che, una volta verificato – da parte della D.P.L. – che la volontà delle parti si sia liberamente determinata nell’atto negoziale fra le stesse intervenuto, la trasformazione, dispiega i suoi effetti fin dall’origine.
    Qualora, per contro, la prestazione lavorativa sia stata ridotta e l'Ufficio non abbia ritenuto di "convalidare" la trasformazione del rapporto, la prestazione stessa dovrà, ovviamente, ritornare a tempo pieno, con la conseguenza che il periodo intercorso tra l'accordo delle parti e il ripristino del full-time non potrà rientrare nella sfera di operatività del decreto legislativo 61/2000.
    Inoltre, al fine di soddisfare le esigenze organizzative dell’utenza si precisa che la convalida in via amministrativa possa essere effettuata oltre che presso la Direzione provinciale del lavoro nel cui ambito territoriale l’impresa ha sede, anche presso il medesimo organo Ministeriale che risulti territorialmente più agevole da raggiungere.
    Il decreto, poi, al comma 2 dello stesso articolo ridisciplina il diritto di precedenza dei lavoratori a tempo parziale - in via prioritaria nei confronti di quelli che avevano trasformato il rapporto da tempo pieno a tempo parziale – in caso di assunzioni a tempo pieno da parte del datore. Rispetto alla normativa previgente si specifica che il diritto opera solo con riferimento alle assunzioni relative a mansioni identiche o equivalenti a quelle a cui sia adibito il dipendente a tempo parziale, secondo le condizioni sancite dall’art.5, co.2. Inoltre, il decreto correttivo ridetermina l’ambito (50 km) entro il quale opera il diritto di precedenza del lavoratore a tempo parziale, in evidente analogia con altre situazioni previste dalla normativa allorchè si faccia riferimento ad ambiti spaziali.
    E’ da precisare che il diritto di precedenza, nel caso di assunzione a tempo pieno si applica solo ai lavoratori che svolgono lavoro part-time a tempo indeterminato.
    Il successivo comma 3 introduce una procedura di informazione del personale dipendente a tempo pieno per il caso di assunzione a tempo parziale; il rifiuto da parte del datore ad accogliere le conseguenti domande di trasformazione del rapporto deve essere - su richiesta - adeguatamente motivato.

CRITERI DI COMPUTO DEI LAVORATORI A TEMPO PARZIALE

    L’art. 6 detta il criterio di computo dei lavoratori a tempo parziale nell’organico ai fini dell’applicazione di istituti che a tale consistenza facciano riferimento.
    Il comma 1 dell’art. 6 come ridefinito dal decreto correttivo, stabilisce che in tutte le ipotesi in cui, per legge o per contratto collettivo, si rende necessario l’accertamento della consistenza dell’organico, i lavoratori a part-time si computano sommando l’orario concordato con ogni singolo lavoratore e raffrontando la somma con l’orario complessivo svolto dai lavoratori a tempo pieno, con arrotondamento all’unità superiore della sola frazione eccedente la somma come innanzi individuata e superiore alla metà dell’orario a tempo pieno; ad esempio, nel caso in cui 3 lavoratori siano assunti con contratto di part-time orizzontale con orari settimanali, rispettivamente, di 18, 20 e 24 ore, si procederà nel seguente modo: 18 + 20 + 24 = 62 ore : 40 ore (orario normale) = 1 unità con il resto di 22 ore e poiché 22 ore superano la metà dell’orario normale (40 ore), si computerà – come arrotondamento – una ulteriore unità; nella fattispecie, quindi, i 3 lavoratori part-time determinano 2 unità lavorative ai fini previsti dall’art. 6.
    Non è stata, invece, modificata dal decreto legislativo correttivo la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 6 del decreto legislativo n. 61 secondo cui ai soli fini dell’applicabilità della disciplina di cui al titolo III della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, i lavoratori a tempo parziale si computano come unità intere, quale che sia la durata della loro prestazione lavorativa.


INCENTIVI

    Per completezza di ricognizione va ricordato poi che in occasione della riforma dell’istituto del contratto di lavoro a part-time e per rafforzarne la capacità di creare nuova occupazione, il decreto legislativo n. 61 aveva opportunamente previsto (art. 5, comma 4) benefici di natura contributiva per i contratti di lavoro a tempo indeterminato e parziale stipulati entro il 31 dicembre 2000 ad incremento degli organici esistenti.
    In particolare, l’art. 5, comma 4, nel modificare la disciplina recata dall’art. 7, comma 1, lettera a), della legge n. 451 del 1994, demandava ad un decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale l’individuazione dell’entità e delle modalità di erogazione del beneficio. A seguito dell’autorizzazione della Commissione europea, il decreto, emanato il 18 aprile 2000 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 3 giugno 2000, ha disciplinato la concessione dei benefici previsti per i contratti di lavoro a tempo indeterminato e parziale stipulati fino al 31 dicembre 2000.


SANZIONI

    L’art. 8 indica le sanzioni civili e amministrative in caso di violazioni della disciplina legale. Al primo comma, come già detto, si chiarisce che la forma del contratto a tempo parziale è richiesta ai fini di prova e non ad substantiam, sostituibile da quella per testimoni di cui all’art. 2725 c.c., e che, in difetto di prova, il lavoratore potrà chiedere che sia dichiarata dal giudice – dalla data dell’accertamento giudiziale dell’assenza di prova – la sussistenza fra le parti di un rapporto a tempo pieno.
    Analogamente, la mancanza o l’indeterminazione della durata della collocazione temporale della prestazione lavorativa part-time non inficia di nullità il contratto bensì comporta, su richiesta del lavoratore interessato, la trasformazione del rapporto a tempo pieno a partire dalla data del relativo accertamento giudiziale oppure, rispettivamente, la determinazione ad opera del giudice delle modalità temporali di svolgimento della prestazione con riferimento alle previsioni dei contratti collettivi di cui all’art. 3, comma 7 ( che poi sono gli stessi di cui all’art.1, comma 3) od, in mancanza, con valutazione equitativa. In entrambi i casi, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno per il periodo antecedente alla data della pronuncia della sentenza. Va chiarito che le clausole dei contratti collettivi potranno essere di ausilio in sede giudiziale soltanto qualora contengano criteri atti a determinare coordinate temporali fisse di svolgimento della prestazione part-time. Ciò si desume dal fatto che la violazione da sanzionare, e per la quale il lavoratore agisce in giudizio, riguarda proprio la mancata puntuale indicazione nel contratto della collocazione temporale della prestazione; sia dal fatto che lo stesso art.8 precisa che , dopo la pronuncia giudiziale, resta ferma "nel corso del successivo svolgimento del rapporto la possibilità di concordare per iscritto una clausola elastica in ordine alla sola collocazione temporale della prestazione lavorativa a tempo parziale". Tale disposizione, come è evidente, non avrebbe senso alcuno se il contenuto della pronuncia giudiziale potesse riguardare una collocazione già di per sé elastica della prestazione.
    Le controversie di cui ai commi precedenti possono essere risolte oltre che dall’autorità giudiziaria, mediante procedure di conciliazione ed eventualmente di arbitrato previste dai contratti di cui all’art. 1 comma 3.
    Le ulteriori sanzioni di natura risarcitoria riguardano la violazione del divieto di precedenza nell’assunzione a tempo pieno o l’omessa comunicazione alla D.P.L. dell’assunzione a tempo parziale.

PART-TIME IN AGRICOLTURA

    L’art. 7 conferma il rinvio ai contratti collettivi nazionali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, per la definizione della modalità di applicazione al settore agricolo della normativa sul rapporto a tempo parziale. L’analoga norma – con l’unica differenza del riferimento ai sindacati "maggiormente" anziché "comparativamente" più rappresentativi – era posta dall’art. 13, comma 7 della legge 196 del 1997, attualmente abrogato dall’art. 11 del presente decreto.
    La scelta del legislatore delegato in favore del criterio della rappresentatività comparata è coerente con quella compiuta in tutto il corpo del decreto; ed è ulteriormente avvalorata dal convincimento che il tradizionale criterio della maggiore rappresentatività fosse ancor meno in grado di svolgere la propria funzione selettiva date le peculiari caratteristiche del settore agricolo.

 

                                                                                                        IL MINISTRO