CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

ANTONIO SAGGIO

presentate il 16 dicembre 1999 (1)

Causa C-303/98

Sindicato de Médicos de Asistencia Pública (SIMAP)

contro

Consellería de Sanidad y Consumo de la Generalidad Valenciana

(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Tribunal Superior de Justicia de la Comunidad Valenciana)

«Politica sociale - Protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori - Orario di lavoro - Direttiva 93/104/CE - Ambito di applicazione - Medici di équipe di pronto soccorso - Inclusione nell'orario di lavoro del turno di guardia e del periodo di reperibilità - Applicazione al turno di guardia e al periodo di reperibilità delle disposizioni sul lavoro notturno e sul lavoro a turni»

Oggetto dei quesiti pregiudiziali

1.

Con il presente rinvio pregiudiziale il Tribunal Superior de Justicia de la Comunidad Valenciana vi propone più quesiti aventi ad oggetto l'interpretazione della direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro (2) (in prosieguo: la «direttiva 93/104» o la «direttiva»).

Al centro delle questioni poste dal giudice di rinvio vi è l'attività dei medici che fanno parte di équipe di pronto soccorso. Il giudice nazionale in particolare intende sapere se il tempo dedicato all'attività di guardia, con presenza fissa nel centro sanitario o in regime di reperibilità, vada considerato «orario di lavoro» ai sensi e per gli effetti della direttiva e quindi se tale tempo vada computato nel calcolo delle ore di lavoro ai fini dell'applicazione della norma che fissa in 48 ore la durata massima settimanale di lavoro (art. 6 della direttiva) e se, per l'innalzamento del tetto massimo, il consenso espresso dai rappresentanti sindacali nel quadro di un accordo o di un contratto collettivo possa far venir meno il divieto del datore di lavoro, previsto dall'art. 18, n. 1, lett. b), primo trattino, della direttiva, di chiedere al lavoratore di prestare la propria attività per un periodo superiore alle 48 ore settimanali senza aver ottenuto «il consenso» del medesimo.

Quadro giuridico

Normativa comunitaria

2.

L'art. 118 A del Trattato attribuisce al Consiglio la competenza a stabilire, mediante direttiva, le prescrizioni minime volte a «promuovere il miglioramento in particolare dell'ambiente di lavoro per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori» (nn. 1 e 2).

3.

La direttiva di base in materia è quella adottata dal Consiglio il 12 giugno 1989, 89/391/CEE, la quale verte appunto sull'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (3) (in prosieguo: la «direttiva di base») e definisce i principi generali in materia di sicurezza e di salute dei lavoratori, principi che sono stati in seguito sviluppati da una serie di direttive specifiche, tra le quali figura appunto la direttiva 93/104.

4.

Quest'ultima direttiva contiene, così come indicato all'art. 1, n. 1, «prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell'orario di lavoro».

5.

Inoltre essa precisa che ai sensi della direttiva si intende per «orario di lavoro» «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali» e per «periodo di riposo» «qualsiasi periodo che non rientra nell'orario di lavoro».

6.

La direttiva stabilisce poi una serie di regole quanto alla durata massima settimanale di lavoro (art. 6), ai periodi minimi di riposo giornaliero (art. 3), settimanale (art. 5) e annuale (art. 7) e quanto alla durata e alle condizioni del lavoro notturno (artt. 8, 9, 10, 11 e 12).

Per ciò che concerne, in particolare, l'orario settimanale di lavoro, l'art. 6 dispone che «Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori (...), la durata media dell'orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario» (n. 2).

7.

L'art. 16 fissa i periodi di riferimento che occorre prendere in considerazione per l'applicazione delle regole sopramenzionate e stabilisce segnatamente che per l'applicazione dell'art. 6 il «periodo di riferimento» non deve essere «superiore a quattro mesi».

8.

La direttiva prevede, nel contempo, la facoltà per le autorità nazionali di derogare alle norme sull'orario di lavoro ivi contenute. In particolare l'art. 17 attribuisce agli Stati membri la competenza a derogare (per via legislativa, regolamentare o amministrativa o mediante contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali) agli artt. 3, 4, 5, 8 e 16 della direttiva «per le attività di guardia, sorveglianza e permanenza caratterizzate dalla necessità di assicurare la protezione dei beni e delle persone, in particolare, quando si tratta di guardiani o portinai o di imprese di sorveglianza»; nonché «per le attività caratterizzate dalla necessità di assicurare la continuità del servizio o della produzione, in particolare, quando si tratta: i) di servizi relativi all'accettazione, al trattamento e/o alle cure prestati da ospedali o stabilimenti analoghi, da case di riposo e da carceri». Inoltre, l'art. 18 prevede che ogni Stato membro può non imporre il rispetto del tetto massimo delle 48 ore settimanali, sempre che esso subordini la deroga a specifiche condizioni tra le quali l'obbligo del datore di lavoro di chiedere e ricevere il consenso del lavoratore interessato [n. 1, lett. b) i), primo trattino].

9.

L'art. 18 fissa al 23 novembre 1996 il termine per l'attuazione della direttiva negli Stati membri. Tale disposizione prevede, tra l'altro, che al più tardi entro tale data, «le parti sociali applichino consensualmente le disposizioni necessarie, fermo restando che gli Stati membri devono prendere tutte le misure necessarie per poter garantire in qualsiasi momento i risultati imposti dalla (...) direttiva».

Normativa nazionale

10.

L'art. 6 del regio decreto n. 137 dell'11 gennaio 1984 (4) prevede quanto segue alla rubrica «Orario di lavoro»: «Le prestazioni del personale facente parte dell'équipe di pronto soccorso hanno una durata di 40 ore settimanali, fatte salve le prestazioni che possano essere richieste per la partecipazione agli orari di guardia, le richieste di soccorso a domicilio nonché quelle che presentano un carattere d'urgenza, conformemente a quanto prevedono gli statuti legali del personale medico e ausiliario della sanità che rientrano nella sicurezza sociale e le loro regole d'applicazione (...)».

11.

La Resolución del 15 gennaio 1993 (5) contiene la decisione del Consiglio dei Ministri con la quale è stato approvato l'accordo concluso, il 3 luglio 1992, tra il Ministero della Sanità e le organizzazioni sindacali più rappresentative nel settore del pronto soccorso in Spagna. L'allegato della predetta decisione dispone, alla rubrica B, che reca il titolo «Atención continuada» (guardia), quanto segue: «In via generale, il numero massimo di ore di guardia è fissato a 425 ore all'anno. Per le équipe di pronto soccorso stabilite nelle zone rurali, che superano inevitabilmente le 425 ore all'anno fissate in via generale, il massimo è fissato a 850 ore all'anno, tenendo presente che l'obiettivo è di ridurre progressivamente il numero di ore di guardia (...)».

12.

Il 7 maggio 1993 l'amministrazione della Regione Autonoma di Valencia ha ugualmente concluso, con i sindacati più rappresentativi (6), un accordo che, tra l'altro, fissa i tetti massimi di ore lavorative sul modello di quelli stabiliti nell'accordo generale del 1992 (7).

Fatti e quesiti pregiudiziali

13.

Il Sindacato de Médicos de Asistencia Pública de la Comunidad Valenciana (sindacato dei medici dell'assistenza pubblica della Regione di Valencia; in prosieguo: il «SIMAP») introduceva, contro l'amministrazione della Generalidad Valenciana - Consellería de Sanidad (Ministero della Sanità della Regione di Valencia), un ricorso collettivo che riguardava tutto il personale medico (medici generici e medici specialisti in medicina familiare e pediatria), assegnato alle équipe di pronto soccorso dei Centros de Salud (unità sanitarie) della Regione di Valencia. Con tale ricorso il SIMAP, invocando le disposizioni della direttiva, chiedeva che venisse riconosciuto ai predetti medici il diritto di svolgere una giornata lavorativa che non eccedesse le 40 ore o, in subordine, le 48 ore, ivi incluse le ore straordinarie, per ogni periodo di 7 giorni, nonché lo status di medici notturni (con conseguente applicazione ai medesimi delle disposizioni della direttiva) e di lavoratori a turni e che la giornata lavorativa notturna non eccedesse le 8 ore per ogni periodo di 24 ore o che, in caso di superamento, venissero concessi periodi equivalenti di riposo compensativo.

14.

Nella sua ordinanza di rinvio il giudice a quo precisa che il SIMAP fa valere essenzialmente che, in virtù dell'art. 17, n. 3, del regolamento di organizzazione e funzionamento delle équipe di pronto soccorso della Comunità di Valencia (regolamento abrogato a seguito della sentenza n. 1323/93 del Tribunale Superior de Justicia de la Comunidad Valenciana), che riproduce l'art. 6 del citato regio decreto n. 137/84, i medici che prestano servizio nelle dette équipe di soccorso sarebbero costretti a svolgere giornate lavorative indefinite, senza un termine, sia esso giornaliero, settimanale, mensile o annuale, in quanto la giornata lavorativa ordinaria si salderebbe al turno di guardia continuata e questa, a sua volta, alla giornata lavorativa del giorno successivo.

15.

La giurisdizione di rinvio fa presente inoltre che, secondo una prassi interpretativa nazionale della normativa statutaria (di diritto pubblico) applicabile ai medici sopramenzionati, il tempo di lavoro dedicato alle guardie o ai periodi di reperibilità continuativi non costituirebbe lavoro ordinario né lavoro straordinario, bensì speciale. Quest'ultimo tipo di lavoro, secondo la regolamentazione spagnola, viene retribuito globalmente a prescindere dell'intensità dell'attività svolta, ciò significa che, per la categoria di medici di cui è causa, soltanto le ore di assistenza effettive, prestate durante i periodi di guardia o di reperibilità, verrebbero computate nell'orario di lavoro.

16.

Secondo il giudice a quo, infine, la direttiva non sarebbe stata trasposta, o almeno non lo sarebbe stata nella sua integralità. Il regio decreto del 21 settembre 1995, n. 1561 (8), relativo agli orari di lavoro di particolari settori di attività, è infattilimitato ai rapporti di lavoro privati e non contiene comunque alcuna disposizione relativa al settore della sanità.

17.

Muovendo da queste premesse, di diritto e di fatto, il giudice a quo si rivolge alla Corte nelle forme del procedimento pregiudiziale per sapere se la direttiva trovi applicazione nei confronti dei medici che fanno parte delle équipe di pronto soccorso e, in caso affermativo, come vadano interpretate talune sue disposizioni. Egli formula in questa prospettiva i seguenti quesiti:

«1) Questioni relative all'applicabilità generale della direttiva

A) Per effetto del tenore dell'art. 118 A del Trattato istitutivo della Comunità europea e del riferimento contenuto nell'art. 1, n. 3, della direttiva a tutti i settori di attività, privati o pubblici, nel senso di cui all'art. 2 della direttiva 89/391/CEE, a termini del quale la direttiva stessa non è applicabile quando particolarità inerenti ad alcune attività specifiche del pubblico impiego (...) vi si oppongono in modo imperativo (...), se debba intendersi che l'attività dei medici delle Equipos de Atención Primaria (équipe di pronto soccorso), interessate dalla presente controversia, rientri nella detta esclusione.

B) L'art. 1, n. 3, della menzionata direttiva richiama parimenti il successivo art. 17 con la locuzione fatto salvo. Malgrado non esista, come precedentemente indicato, una normativa di armonizzazione statale autonoma, se tale silenzio debba essere interpretato quale deroga al disposto di cui agli artt. 3, 4, 5, 6, 8 e 16, quando, in considerazione delle specifiche caratteristiche dell'attività svolta, l'orario di lavoro non preveda una durata media e/o preventivamente determinata.

C) Se l'esclusione di cui all'art. 1, n. 3, in fine, della direttiva, relativa alle attività dei medici in formazione, induca a contrario a ritenere che le attività degli altri medici siano comprese nella sfera di applicazione della direttiva medesima.

D) Se il riferimento alla piena applicazione delle disposizioni della direttiva 89/391/CEE alle materie indicate nel n. 2 della direttiva medesima presenti una rilevanza particolare con riguardo ai suoi effetti ed alla sua applicazione.

2) Questioni relative all'orario di lavoro

A) L'art. 2, n. 1, della direttiva definisce l'orario di lavoro come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali. In considerazione della prassi nazionale descritta al punto 8 della parte in fatto della presente ordinanza e considerata l'inesistenza di norme di armonizzazione, se debba essere applicata la prassi nazionale che esclude dalle 40 ore settimanali il tempo dedicato alla guardia continuativa o se debbano applicarsi, in via analogica, le disposizioni generali e speciali in materia di orario di lavoro della normativa spagnola riguardante i rapporti di lavoro di diritto privato.

B) Quando i medici interessati prestino turni di guardia continuativa mediante il sistema della reperibilità e non mediante la presenza fisica nel centro sanitario, se tali periodi debbano essere interamente considerati quali periodi di lavoro ovvero se debba essere considerato periodo di lavoro solo il tempo effettivamente impiegato nello svolgimento dell'attività per la quale i medici siano chiamati in base alla prassi nazionale descritta al precedente punto 8 della parte in fatto di questa ordinanza.

C) Quando i medici interessati svolgano turni di guardia continuativa con presenza fisica nel centro sanitario, se tali periodi debbano essere interamente considerati quali periodi di lavoro ordinario ovvero quale orario speciale in base alla prassi nazionale descritta al precedente punto 8.

3) Con riguardo alla durata media del lavoro

A) Se i periodi di lavoro dedicati alla guardia continuativa debbano essere presi in considerazione ai fini della determinazione della durata media del lavoro per ogni periodo di 7 giorni, conformemente al disposto di cui all'art. 6, n. 2, della direttiva.

B) Come debbano essere considerate le ore straordinarie di guardia continuativa.

C) Se, malgrado l'inesistenza di norme di armonizzazione, il periodo di riferimento di cui all'art. 16, n. 2, della direttiva possa ritenersi applicabile al pari, eventualmente, delle deroghe a tale norma previste dall'art. 17, nn. 2 e 3, in riferimento al n. 4.

D) Se, per effetto della possibile disapplicazione dell'art. 6 della direttiva, prevista all'art. 18, n. 1, lett. b), della medesima, malgrado l'inesistenza di una normativa di armonizzazione, l'art. 6 della direttiva possa essere disapplicato in caso di consenso del lavoratore ad effettuare tale attività lavorativa; se equivalga al consenso del lavoratore, sotto tale profilo, il consenso espresso dai rappresentanti sindacali in un accordo o contratto collettivo.

4) In relazione al carattere notturno del lavoro

A) Considerato che l'orario di lavoro normale non è notturno, essendo notturni solo parzialmente i turni di guardia continuativa che possono ciclicamente ricadere su alcuni dei medici interessati, e a fronte dell'assenza di norme di armonizzazione, se possa ritenersi che tali medici vadano considerati lavoratori notturni ai sensi del disposto di cui all'art. 2, n. 4, lett. b), della direttiva.

B) Se, agli effetti della facoltà di cui all'art. 2, n. 4, lett. b), sub i), della direttiva, possa applicarsi ai medici interessati il cui rapporto di lavoro èdisciplinato dal diritto pubblico la normativa nazionale in materia di lavoro notturno dei lavoratori il cui rapporto di lavoro è disciplinato dal diritto privato.

C) Se l'orario di lavoro normale di cui all'art. 8, n. 1, della direttiva includa anche i turni di guardia continuativa in regime di reperibilità o di presenza fisica.

5) In relazione al lavoro e ai lavoratori a turni

Considerato che, per quanto attiene alla guardia continuativa, il lavoro viene svolto solamente a turni e in assenza di norme di armonizzazione, se l'attività dei medici possa considerarsi lavoro a turni e questi possano essere considerati lavoratori a turni ai sensi dell'art. 2, nn. 5 e 6, della direttiva».

Sulla ricevibilità

18.

La Commissione contesta in via preliminare la ricevibilità del rinvio pregiudiziale sotto un duplice profilo. Fa valere, in primo luogo, che l'ordinanza del giudice a quo non descriverebbe il quadro fattuale e normativo del giudizio principale e, in secondo luogo, che il ricorso del SIMAP e l'ordinanza di rinvio non si riferirebbero alla pertinente normativa nazionale attualmente in vigore, bensì a quella abrogata (abrogata, si sottolinea, ben cinque anni prima dell'introduzione del ricorso). A questo proposito la Commissione osserva che il giudice a quo, pur facendo presente tale circostanza nell'ordinanza di rinvio, si sarebbe limitato a menzionare l'accordo concluso il 7 maggio 1993 tra i sindacati e l'amministrazione nonché le istruzioni dell'amministrazione della Regione di Valencia che avevano dato esecuzione allo stesso, senza richiamare espressamente tale normativa nella formulazione dei quesiti pregiudiziali, ma anzi sottolineando l'assenza di una regolamentazione nazionale applicabile alla fattispecie.

19.

Entrambi i profili della dedotta irricevibilità sono senza fondamento. Quanto al primo, ritengo che il giudice a quo abbia descritto in maniera sufficientemente chiara il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni pregiudiziali e che quindi l'ordinanza offra tutti gli elementi necessari per permettere alla Corte di pronunciarsi sui quesiti ivi contenuti.

Quanto al secondo profilo, occorre considerare che il giudice del rinvio precisa, al punto quarto della sua ordinanza, che i quesiti rilevano sostanzialmente in riferimento all'applicazione del regime nazionale che distingue l'orario lavorativo settimanale (pari a 40 ore) dai turni continuativi di guardia e che il regime ivi richiamato è quello previsto dal citato accordo locale del 7 maggio 1993, attualmente ancora in vigore. Il giudice a quo richiama, inoltre, la prassi nazionale relativa all'interpretazione ed applicazione delle norme statutarie che disciplinano i rapporti tra i medici per cui è causa e l'amministrazione, prassi, questa, che non risulta essere stata sino ad oggi modificata. La circostanza che nel ricorso delSIMAP (cioè in un atto di parte del giudizio principale) venga richiamata unicamente la normativa abrogata (9) non può comportare l'irricevibilità del rinvio; è noto infatti che, secondo la vostra consolidata giurisprudenza, «l'art. 177 del Trattato istituisce, tra la Corte di giustizia e i giudici nazionali, un procedimento di cooperazione diretta nel corso del quale le parti sono solo invitate a presentare osservazioni nell'ambito giuridico tracciato dal giudice a quo», con la conseguenza che «nei limiti fissati dall'art. 177 del Trattato spetta (...) ai soli giudici nazionali decidere del principio e dell'oggetto di un eventuale rinvio alla Corte» (10).

Per tutte queste considerazioni vi suggerisco di rigettare l'eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione.

Nel merito

Sull'ambito di applicazione della direttiva 93/104 (quesiti 1A-1D)

20.

Il giudice a quo si domanda, e domanda alla Corte, se le disposizioni della direttiva siano applicabili al «lavoro speciale» dei medici di guardia.

- Argomenti delle parti

21.

Secondo la Consellería de Sanidad de la Generalidad Valenciana (parte resistente nel giudizio principale), l'attività dei medici delle équipe di pronto soccorso esulerebbe dal campo di applicazione della direttiva 93/104 (definito mediante rinvio alla direttiva di base), in quanto sarebbe riconducibile all'eccezione prevista all'art. 2, n. 2, della direttiva di base. Essa fonda tale assunto sulla constatazione che l'attività in parola presenta talune peculiarità, quali il fatto che il relativo servizio deve essere assicurato in maniera ininterrotta e che lo stesso costituisce un tipo di prestazione tradizionale all'interno della professione medica.

22.

Il governo spagnolo sostiene, invece, che la predetta attività dei medici rientrerebbe nell'ambito di applicazione della direttiva di base. Tuttavia, in considerazione della specificità di tale attività e in particolare del fatto che la sua durata non è predeterminata, a tali medici si applicherebbero le eccezioni previstedall'art. 17 della direttiva [tale attività sarebbe, infatti, riconducibile a quella cui fa riferimento il n. 2.1, lett. c), sub i), di tale articolo] (11).

23.

Il governo finlandese esclude che i medici delle équipe di pronto soccorso possano rientrare nelle esclusioni dall'ambito di applicazione sia della direttiva 93/104 che della direttiva di base. Per quanto concerne la prima, tale governo osserva che le esclusioni relative ad alcuni settori, previste all'art. 1, n. 3, avrebbero carattere esaustivo, come risulterebbe dal fatto che solo i medici «in formazione» ne sono espressamente esclusi. Riguardo alla direttiva di base lo stesso governo sostiene che l'esclusione prevista al suo art. 2, n. 2, riguarderebbe unicamente talune attività specifiche nel pubblico impiego, aventi la finalità di preservare l'ordine pubblico e la pubblica sicurezza. Tale finalità non sarebbe riconducibile, o almeno non lo sarebbe nei casi normali, all'attività della categoria di medici per cui è causa.

24.

Anche la Commissione sostiene che l'attività dei medici delle équipe di pronto soccorso non rientrerebbe nel campo di applicazione delle esclusioni previste nelle predette direttive. In particolare, la circostanza che all'art. 2, n. 2, della direttiva di base sia menzionato a titolo esemplificativo il personale delle forze armate e della polizia, nonché quello impiegato in attività specifiche nei servizi di protezione civile, dimostrerebbe che le esclusioni si applicano soltanto a quelle attività che, per loro natura o in ragione degli obiettivi che perseguono, presentano una componente di rischio; questa circostanza giustificherebbe il fatto che le stesse vengano sottoposte ad una regolamentazione differenziata.

- Valutazione dell'avvocato generale

25.

Per stabilire se l'attività dei medici che fanno parte delle équipe di pronto soccorso rientri o meno nell'ambito di applicazione delle norme di diritto derivato oggetto del quesito pregiudiziale occorre muovere dall'esame della direttiva di base del 1989. In effetti, la direttiva 93/104, per la determinazione del suo campo di applicazione, si limita a rinviare a quanto previsto nella direttiva di base. Ciò equivale a dire che gli ambiti di applicazione delle due direttive coincidono, con la sola variante che la direttiva 93/104 prevede una serie di eccezioni per attività specifiche, che non si ritrova nella direttiva di base.

26.

La direttiva di base ha un campo di applicazione molto ampio dal momento che si applica indistintamente a tutti i settori di attività, tanto privati quanto pubblici (art. 2, n. 1). Il legislatore comunitario ha tuttavia previsto che alcuneattività possano essere escluse dal suo campo di applicazione; essa infatti non è applicabile «quando particolarità inerenti ad alcune attività specifiche nel pubblico impiego, per esempio nelle forze armate o nella polizia, o ad alcune attività specifiche nei servizi di protezione civile vi si oppongono in modo imperativo» (art. 2, n. 2).

27.

Per rispondere al quesito 1A occorre stabilire se l'attività medica che viene in rilievo nella specie ricada o meno nel campo di applicazione delle esclusioni previste dalla direttiva di base. Il rinvio alla direttiva di base, attraverso il quale la direttiva 93/104 individua il proprio campo di applicazione, non può, infatti, non comprendere anche le esclusioni previste nella direttiva cui viene fatto rinvio.

Ritengo innanzi tutto che le esclusioni sopra indicate non possano essere interpretate in maniera estensiva, ché altrimenti si rischierebbe di compromettere l'obiettivo che il legislatore comunitario intende conseguire, conformemente all'art. 118 A del Trattato CE, adottando le norme di tutela dei lavoratori oggi in discussione (12). Condivido dunque quanto rileva al riguardo la Commissione, e cioè che possono essere ricondotte a tali esclusioni soltanto quelle attività nel pubblico impiego che, per loro natura o per gli obiettivi che perseguono, sono svolte in situazioni tali da rendere impossibile l'esclusione del rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori, nel senso che l'applicazione delle norme della direttiva, la quale riguarda appunto la salute e la sicurezza, comprometterebbe il regolare esercizio dell'attività lavorativa (13). Questa tesi trova conferma nella scelta del legislatore comunitario relativamente alle attività che sono espressamente escluse dall'ambito di applicazione della direttiva di base. Si tratta delle attività svolte dal personale delle forze armate, della polizia e dei servizi di protezione civile, e quindi, in sostanza, di attività che per loro natura comportano un'apprezzabile percentuale di rischio in quanto sono connesse a fattori umani o naturali non prevedibili. Conviene aggiungere che talune attività, come ad esempio quelle di pronto soccorso, le quali, se vengono svolte in condizioni di normalità, ricadono nell'ambito di applicazione della direttiva di base, quando viceversa vengono svolte in situazioni eccezionali, come ad esempio in occasione di terremoti, calamitànaturali o catastrofi tecnologiche, possono rientrare nei servizi di protezione civile e restare, quindi, fuori del campo di applicazione della direttiva di base. Ciò comporta che, in questa seconda ipotesi, qualora le disposizioni della direttiva di base si oppongano allo svolgimento di tali attività, queste possono essere escluse dal campo di applicazione della detta fonte comunitaria.

Per tutti i rilievi sin qui svolti suggerisco di rispondere al quesito sub 1A affermando che i medici delle équipe di pronto soccorso, ove svolgano la loro attività in situazioni normali, rientrano nel campo di applicazione della direttiva di base.

28.

Passo ora ad esaminare la possibilità che l'attività dei medici delle équipe di pronto soccorso rientri in una delle specifiche esclusioni contemplate nella direttiva 93/104, esclusioni, queste, che si aggiungono, con riferimento all'organizzazione dell'orario di lavoro, a quelle di carattere generale, sopra esaminate, contenute nella direttiva di base (quesito 1C).

Ricordo al riguardo che l'art. 1, n. 3, della direttiva 93/104 esclude dal suo campo di applicazione alcuni settori di attività: si tratta dei trasporti aerei, ferroviari, stradali e marittimi, della navigazione interna, della pesca e di altre attività in mare, nonché dell'attività dei medici in formazione. Dalla formulazione letterale di tale disposizione risulta che queste esclusioni, a differenza di quelle previste nella direttiva di base, hanno carattere esaustivo (14).

E' agevole constatare che l'attività dei medici delle équipe di pronto soccorso non rientra in alcuno dei sopraindicati settori. Anzi, la presa in conto nell'art. 1, n. 3, della direttiva 93/104 dell'attività dei medici in formazione fra quelle escluse dal suo campo di applicazione induce, a contrario, a ritenere che le attività degli altri medici, ivi comprese quelle dei medici delle équipe di pronto soccorso, debbano considerarsi comprese nel campo di applicazione della direttiva. Si aggiunga, nello stesso senso, che né nella proposta di modifica rivolta ad estendere il campo di applicazione della direttiva ad altri settori di attività, presentata dalla Commissione il 24 novembre 1998 (15), né nella relativa posizionecomune (16) vi è traccia, fra le categorie escluse, di medici diversi da quelli in formazione (17).

Suggerisco pertanto di rispondere al quesito che figura sub 1C nell'ordinanza di rimessione nel senso che il riferimento ai medici in formazione presente nella direttiva 93/104 induce a ritenere che le attività dei medici delle équipe di pronto soccorso siano comprese nel campo di applicazione della direttiva.

29.

Per quanto concerne poi il problema interpretativo di cui al quesito sub 1B, riguardante la possibilità di applicare ai medici per cui è causa, in considerazione soprattutto delle specifiche caratteristiche della loro attività, il regime derogatorio previsto dall'art. 17 della direttiva 93/104, rilevo che tale disposizione prevede la possibilità per gli Stati membri di derogare alle disposizioni di cui agli artt. 3, 4, 5, 6, 8 e 16. Solo nel caso in cui esista una normativa nazionale la quale deroghi espressamente a tali disposizioni nelle forme indicate (legislativa, regolamentare, amministrativa o mediante contratti collettivi) e alle condizioni previste dall'art. 17, si deve ammettere l'applicabilità di norme di diritto nazionale che abbiano contenuto differente rispetto a quello delle disposizioni della direttiva in esame. L'inesistenza di una normativa nazionale generale o di settore non può produrre effetti sulla portata e sull'applicabilità della fonte comunitaria in esame.

30.

Sempre in relazione alla definizione dell'ambito di applicazione ratione materiae della direttiva, l'art. 1, n. 4, prevede che «le disposizioni della direttiva 89/391/CEE si applicano pienamente alle materie contemplate al paragrafo 2» dello stesso art. 1 (riposo giornaliero, riposo settimanale, ferie annuali, pausa, durata massima settimanale del lavoro, lavoro notturno, lavoro a turni, ritmo di lavoro), «fatte salve le disposizioni più vincolanti e/o specifiche» ivi contenute.

Con il quesito 1D il giudice spagnolo chiede se il riferimento alla direttiva di base contenuto nella disposizione testé riportata presenti una rilevanza particolare rispetto agli effetti e all'applicazione di questa direttiva.

A mio parere, con tale disposizione il legislatore comunitario ha voluto semplicemente precisare che le regole della direttiva di base si applicano congiuntamente a quelle sull'orario di lavoro contenute nella direttiva 93/104, riconoscendo però prevalenza alle disposizioni di quest'ultima direttiva, nel caso in cui esse abbiano contenuto più vincolante e/o specifico rispetto a quelle della direttiva di base. Ne deriva che, in via di principio, l'applicazione della direttiva 93/104 non è esclusa nei casi in cui, così come nella fattispecie in esame, il giudicenazionale sia chiamato a decidere della legittimità degli orari di lavoro fissati con un contratto collettivo nazionale.

La nozione di orario di lavoro ed il computo delle ore di lavoro (quesiti 2A-2C e 3A)

31.

Con il quesito sub 2A il giudice a quo chiede, da un lato, se, tenuto conto della definizione di orario di lavoro contenuta nell'art. 2, n. 1, della direttiva 93/104, debba essere applicata la prassi nazionale che esclude dalle 40 ore settimanali il tempo dedicato alla guardia medica continuativa e, dall'altro, se alla stessa attività debbano applicarsi, in via analogica, le disposizioni in materia di orario di lavoro del settore privato esistenti nell'ordinamento spagnolo.

Chiarisco subito che la Corte potrà rispondere soltanto alla prima parte del quesito, in quanto la seconda riguarda l'interpretazione di norme di diritto interno, interpretazione questa che evidentemente non rientra nelle competenze della Corte.

La prima parte del quesito verte sull'obbligo di computare tra le ore di lavoro i turni di guardia medica e i periodi di reperibilità dei componenti delle équipe di guardia medica, materia disciplinata dall'ordinanza spagnola oggetto della presente causa. Risulta dall'ordinanza di rinvio che, secondo la prassi nazionale, le ore di reperibilità dei medici di guardia sono considerate come «ore di lavoro speciale»: esse non costituiscono quindi ore di lavoro straordinario e vengono remunerate in modo forfettario cioè senza tener conto della quantità di lavoro effettivamente reso. In particolare, il servizio di guardia che comporta la presenza sul posto di lavoro è considerato come orario ordinario e non straordinario, anche se riguarda un lavoro svolto in condizioni diverse da quelle proprie del lavoro nei periodi di orario ordinario. Ai fini del calcolo dell'orario di lavoro, sono prese in considerazione solo le ore di assistenza effettiva, prestate durante le guardie o i periodi di reperibilità.

Il quesito in esame assorbe quelli di cui ai punti 2B, 2C e 3A. Infatti, con il quesito 2B il giudice a quo intende sapere se debbano essere comprese nell'orario di lavoro tutte le ore di guardia in regime di reperibilità oppure se debba essere considerato orario di lavoro solo il tempo effettivamente impiegato nello svolgimento di quelle attività cui sono destinati i medici di pronto soccorso. Con il quesito 2C il giudice spagnolo chiede se i turni di guardia con presenza fisica nel centro sanitario debbano essere presi in considerazione nel computo dell'orario di lavoro ordinario o speciale. Infine il quesito 3A riguarda la possibilità di prendere in considerazione i periodi di lavoro dedicati alla guardia continuativa ai fini della determinazione della durata media del lavoro per ogni periodo di 7 giorni, conformemente al disposto di cui all'art. 6, n. 2, della direttiva.

32.

Si desume dal contenuto dei quattro quesiti che essi si risolvono in una domanda di carattere generale, e cioè: il tempo di reperibilità di un medico el'orario di guardia con presenza fisica nella struttura sanitaria possono rientrare nella nozione di orario di lavoro di cui all'art. 2, n. 1, della direttiva, e come devono essere computati al fine del calcolo delle ore lavorative?

- Argomenti delle parti

33.

Tutti gli Stati intervenuti, al pari della Commissione, sostengono che, anche ove il medico si trovi all'interno del centro sanitario, i periodi di guardia continuativi non sarebbero riconducibili all'orario di lavoro di cui all'art. 2 della direttiva. Solo i periodi di lavoro effettivo durante i turni di guardia potrebbero infatti essere computati ai fini della determinazione dell'orario di lavoro massimo. In sostanza, le dette parti, ivi compresa la Commissione, propendono per la compatibilità con la direttiva della normativa o prassi spagnola che non include nell'orario di lavoro i periodi di guardia dei medici delle équipe di pronto soccorso, fatta eccezione per il tempo in cui l'attività lavorativa sia effettivamente svolta.

In particolare, il governo del Regno Unito sostiene che l'art. 2, n. 1, deve essere interpretato nel senso che, per potersi applicare ad una data attività il regime dell'«orario di lavoro», devono essere presenti contemporaneamente tre requisiti: che il lavoratore sia al lavoro, che sia a disposizione del datore di lavoro e che eserciti la sua attività o le sue funzioni. Secondo lo stesso governo, tenendo conto delle finalità della direttiva quali risultano dai suoi 'considerando, specialmente dall'ottavo, l'orario di lavoro dovrebbe essere inteso come un periodo la cui durata limitata è tale da garantire la salute e la sicurezza del lavoratore. I turni di guardia non sarebbero riconducibili a tale nozione dal momento che durante gli stessi il lavoratore avrebbe modo di riposarsi. Lo stesso governo sostiene, inoltre, che il rinvio alle legislazioni e/o prassi nazionali, che figura nella definizione di «orario di lavoro» di cui all'art. 2, n. 1, impedirebbe una interpretazione di tale disposizione che avesse l'effetto di limitare oltre misura la possibilità per gli Stati di intervenire su questo terreno.

Secondo la Commissione, il servizio di guardia dei medici, che è al centro dei quesiti pregiudiziali, consiste essenzialmente nel fatto che i medici devono essere disponibili per l'eventualità che il loro intervento venga richiesto, e ciò sia che le guardie vengano effettuate nei centri sanitari sia che si tratti di guardie a domicilio. Secondo la Commissione, questo tipo di attività risponde unicamente al secondo requisito previsto all'art. 2, n. 1 (cioè il fatto di essere il lavoratore a disposizione del datore di lavoro), ma non certamente ai rimanenti due requisiti. Ne segue che all'attività di guardia non potrebbe applicarsi la nozione di «orario di lavoro», anche se gli Stati membri hanno la facoltà di includerla in detto orario per assicurare al lavoratore una migliore protezione.

Il SIMAP, per sorreggere la tesi secondo cui l'attività dei medici delle équipe di pronto soccorso deve essere ricondotta nel quadro dell'«orario dilavoro», fa valere che la tesi opposta avrebbe come conseguenza che il lavoratore dovrebbe considerarsi tenuto a lavorare anche per 30 ore consecutive.

- Valutazione dell'avvocato generale

34.

Per rispondere ai quesiti in esame bisogna partire dall'interpretazione dell'art. 2, n. 1, della direttiva, il quale detta la nozione di «orario di lavoro», nozione cui si ricollegano in particolare, e per quanto rileva nella presente causa, le norme che fissano i periodi minimi di riposo di cui ogni lavoratore deve beneficiare nonché la norma sulla durata massima settimanale di lavoro.

Si legge all'art. 2 che per orario di lavoro si intende, nel sistema della direttiva, «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».

La formula, sicuramente di non chiara lettura, condurrebbe a ritenere, così come mostrano di ritenere gli Stati membri intervenuti e la Commissione, che, ai fini del computo delle ore di lavoro, debbano essere presi in considerazione unicamente i tempi in cui si è in presenza di tutti i criteri ivi indicati, cioè che per orario di lavoro si debba intendere il periodo in cui il lavoratore è presente sul posto di lavoro, è a disposizione del datore di lavoro ed esercita effettivamente le sue attività e funzioni. L'assenza di particelle disgiuntive nel testo dell'articolo porterebbe, infatti, a considerare cumulativo l'elenco dei tre criteri. Tuttavia, quando si dà corpo alle generiche espressioni che si ritrovano all'art. 2, n. 1, si giunge, a mio parere, al risultato opposto. Si conclude, cioè, nel senso che i tre criteri ivi indicati devono essere considerati come fattispecie autonome di prestazioni lavorative.

In effetti, una prima perplessità sorge quando si confrontano, e soprattutto si sommano, le due nozioni di «disposizione» e di «esercizio [effettivo] della sua attività» (rispettivamente secondo e terzo criterio di cui al n. 1 dell'art. 2), nozioni queste che presentano un contenuto manifestamente antitetico, e quindi non possono essere cumulate.

A ciò si aggiunga che l'applicazione congiunta dei tre criteri mal si concilia con gli scopi e quindi con la ratio della direttiva, che è appunto quella di assicurare ai lavoratori un tempo ragionevole di riposo. Ritenere infatti necessario che, perché scatti il conto delle ore di lavoro, il lavoratore sia al lavoro (formula questa ambigua che, visto il contenuto degli altri criteri, parrebbe richiedere che il lavoratore sia fisicamente sul posto di lavoro), eserciti effettivamente l'attività e sia a disposizione del proprio datore significherebbe escludere dall'orario di lavoro tutti quei periodi in cui il lavoratore esercita la propria attività pur non essendo presente sul posto di lavoro ovvero tutte le ore in cui - ed è ciò che rileva nella presente causa - il lavoratore è sul posto di lavoro ma non esercita la propria attività puressendo a disposizione del datore di lavoro. Ritenere che la direttiva escluda dall'orario di lavoro il tempo in cui il lavoratore è obbligato ad essere presente sul posto di lavoro e ad essere a disposizione del proprio datore significherebbe a mio parere ammettere che, con la direttiva in esame, il Consiglio abbia volutamente deciso di operare un regresso nella politica sociale comunitaria rispetto all'evoluzione delle politiche interne degli Stati membri.

Ricordo infatti che in alcuni ordinamenti nazionali la nozione cui si fa ricorso per definire l'orario di lavoro è quella del lavoro effettivo, o comunque una nozione riconducibile solo ad uno dei criteri indicati all'art. 2, n. 1, della direttiva (18). Conferma, inoltre, questa interpretazione la Convenzione OIL del 28 agosto 1930 sulla durata del lavoro (commercio ed uffici), il cui art. 2 recita «le temps pendant lequel le personnel est à la disposition de l'employeur; seront exclus les repos pendant lesquels le personnel n'est pas à la disposition de l'employeur» (19). Secondo tale Convenzione OIL, quindi, un lavoratore, che sia a completa disposizione del datore di lavoro non è da considerare a riposo: in altritermini, il tempo in cui egli è a disposizione del datore deve essere computato tra le ore di lavoro.

35.

Consideriamo quali sarebbero le conseguenze pratiche del cumulo dei tre criteri con riguardo all'applicabilità delle due disposizioni che rilevano nella causa oggi in discussione, cioè dell'art. 3 della direttiva, riguardante il riposo giornaliero, e dell'art. 6 [in particolare punto 2)], riguardante la durata massima settimanale del lavoro. E' evidente che, se si ammette in via di principio che una normativa nazionale possa prevedere che, ai fini del computo dell'orario di lavoro, si prendano in considerazione le sole ore in cui il lavoratore esercita effettivamente la sua attività ed è a disposizione del datore di lavoro, non potrà essere assicurato il rispetto dell'obbligo di garantire al medesimo lavoratore un periodo di riposo giornaliero di 11 ore consecutive e la durata massima di lavoro settimanale entro il limite delle 48 ore, in quanto non rientrerebbero nel calcolo tutti quei periodi in cui di fatto il lavoratore non svolgerebbe attività lavorativa ma sarebbe comunque «a disposizione», e quindi non a riposo, con la conseguenza che i tempi di intervallo effettivo sarebbero inferiori al minimo imposto dalla direttiva.

36.

Ritengo dunque che l'art. 2, n. 1), della direttiva debba essere interpretato nel senso che i tre criteri ivi indicati per definire «l'orario di lavoro» sono autonomi e non devono essere presenti contestualmente, con la conseguenza che le ore di disponibilità con presenza fisica sul posto di lavoro, quali le guardie mediche per cui è causa, devono essere considerate ore di lavoro e rientrare quindi nel computo dell'orario lavorativo giornaliero e settimanale.

37.

Differente è il caso in cui il lavoratore sia a disposizione del proprio datore di lavoro in regime di reperibilità. In tale ipotesi l'impegno è eventuale e discontinuo e il lavoratore ha una possibilità, seppur limitata, di gestire il proprio tempo non essendo obbligato alla presenza sul posto di lavoro. Così stando le cose non è possibile assimilare il lavoratore in regime di reperibilità a quello in stato di disponibilità, considerato che quest'ultimo assicura la sua presenza continua sul posto di lavoro. Ne segue dunque che le ore di mera reperibilità non possono essere prese in considerazione nel calcolo dell'orario di lavoro, nel senso che vanno computate nell'orario solo quelle di lavoro effettivo (terzo criterio di cui all'art. 2, n. 2) prestate nell'arco di tempo in cui il lavoratore è tenuto alla reperibilità (20).

Questa interpretazione a mio avviso si impone in base alla considerazione che l'impegno del lavoratore derivante dal fatto di essere tenuto alla reperibilità e di essere disponibile ad eventuali interventi è manifestamente molto minore rispetto a quello del lavoratore che deve essere disponibile sul posto di lavoro.Mentre il primo può eventualmente, anche durante il tempo in cui è obbligato alla reperibilità, dedicarsi ai propri interessi e alla propria famiglia nonché, in qualche caso, anche al riposo, il secondo è sottratto alla famiglia, non ha modo di dedicarsi ai propri interessi dal momento che è tenuto a rimanere nel centro sanitario ove eventualmente presterà la propria opera professionale. La marcata differenza tra le due situazioni esclude che il trattamento delle stesse ai fini del computo delle ore di lavoro possa essere il medesimo. Tuttavia, come meglio si dirà qui di seguito, nel quadro di un'interpretazione corretta ed equilibrata del sistema, si tiene conto del periodo di reperibilità ad altri fini, e precisamente per la determinazione delle ore di riposo.

38.

La differenza fra le due nozioni di disponibilità e di reperibilità non consente, tuttavia, di considerare orario di riposo il tempo in cui il lavoratore è in regime di reperibilità e non esercita alcuna attività lavorativa. In effetti, la circostanza che il lavoratore reperibile non possa comunque avere la disponibilità totale e assoluta del proprio tempo rende infondata una interpretazione delle norme in esame che conduca a includere i periodi di reperibilità nell'orario di riposo.

Contro tale tesi si potrebbe obiettare che, secondo l'art. 2, n. 2, della direttiva, per orario di riposo si deve intendere «il periodo che non rientra nell'orario di lavoro» e che pertanto, se il tempo di mera reperibilità non è preso in conto ai fini del calcolo delle ore di lavoro, esso dovrebbe essere considerato come periodo di riposo. A mio parere, questa intrepretazione non è fondata. Le nozioni di orario di lavoro e di riposo non possono, infatti, essere interpretate in modo da condurre necessariamente il regime di reperibilità alla nozione di riposo. In proposito, occorre tener conto della circostanza che l'art. 2, n. 1, nel definire il tempo di lavoro, oltre ad indicare i tre criteri generali prima commentati, rinvia agli ordinamenti nazionali (con la formula generica «conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali»), permettendo così agli Stati membri, sempre nel rispetto dei criteri generali ivi indicati, di definire le modalità in cui viene offerta la prestazione lavorativa. Ne segue che, nel caso in cui un soggetto offra le sue prestazioni in regime di reperibilità, non è possibile escludere dalla nozione di «lavoro» lo stato di reperibilità, e ciò anche se, per le ragioni di indole generale prima esposte, nel computo delle ore lavorative sono prese in considerazione unicamente le ore di lavoro effettivo e non invece quelle di mera reperibilità. Sono dunque del parere di considerare che le ore di reperibilità in cui il lavoratore non esercita alcuna attività non rientrino nell'orario di riposo, con la conseguenza che i lavoratori che sono in regime di reperibilità, come i componenti di una équipe di guardia medica, hanno comunque titolo, al termine di questo periodo, alle ore di riposo minimo, previste alla sezione II della direttiva (su cui mi soffermerò qui di seguito).

In ogni caso, sulla base dell'art. 17 della direttiva, con atti interni di natura legislativa o amministrativa, con contratti collettivi e con accordi conclusi fra le parti sociali, è possibile derogare alle norme della direttiva che riguardano il riposogiornaliero (art. 3), il riposo settimanale (art. 5), la durata del lavoro notturno (art. 8) e la durata del periodo di riferimento da prendere in considerazione per il calcolo della settimana media lavorativa (art. 16), e ciò anche con riguardo ai periodi di reperibilità dei lavoratori.

39.

Sulla base delle considerazioni sin qui svolte ritengo dunque che le ore in cui un medico presta servizio di guardia in una struttura ospedaliera siano da considerarsi ore di lavoro ai sensi e per gli effetti della direttiva. Nel caso in cui il lavoratore sia in regime di reperibilità, rientra invece nel computo delle ore di lavoro solo il tempo di effettivo esercizio dell'attività e che tuttavia le restanti ore non possono considerarsi ore di riposo.

40.

La direttiva è dunque di ostacolo ad una prassi nazionale, quale quella descritta nell'ordinanza di rinvio, che esclude dalle 40 ore settimanali di lavoro il tempo dedicato alle guardie mediche continuative (21).

La nozione di orario ordinario e straordinario di lavoro (quesito 3B)

41.

Il quesito 3B riguarda la qualificazione delle ore di guardia medica (in regime di disponibilità e di reperibilità) come ore di lavoro ordinario estraordinario. Al riguardo ritengo che, poiché la direttiva fissa un limite unico dell'orario di lavoro prescindendo da una eventuale distinzione tra le differenti «ore di lavoro», i parametri relativi alla durata massima in essa contenuti (in particolare quelli relativi alla giornata e alla settimana lavorativa) non siano modificabili (se non nei limiti in cui agli artt. 17 e 18 della direttiva) con il ricorso allo straordinario.

Ne segue che gli Stati membri sono liberi di definire i limiti dell'orario ordinario, ai fini della limitazione dell'orario di lavoro e del calcolo della retribuzione delle prestazioni. Tuttavia, l'orario di lavoro complessivo, ordinario e straordinario, non deve comunque superare la durata massima fissata nella direttiva, sempre che non venga adottata a livello nazionale una disciplina di deroga ai sensi e alle condizioni previste dalla direttiva stessa (artt. 17 e 18).

Il regime delle deroghe di cui agli artt. 17 e 18 della direttiva (quesiti 3C e 3D)

42.

Quanto ai regimi nazionali di deroga ammessi dalla direttiva, il giudice spagnolo chiede se, in assenza di normative comunitarie specifiche relative al computo delle ore di lavoro, sia da considerare applicabile il criterio di cui all'art. 16, n. 2, ovvero i criteri definiti sulla base di normative nazionali di deroga come quelli espressamente previsti dall'art. 17 (quesito 3C) e se, ai fini dell'applicazione dell'art. 18, n. 1, lett. b), sia sufficiente il consenso espresso dai rappresentanti sindacali in un accordo o contratto collettivo (quesito 3B).

43.

Ricordo che l'art. 16 fissa a quattro mesi il periodo di riferimento per il computo delle ore di lavoro settimanali e quindi per l'applicazione del tetto massimo di 48 ore di cui all'art. 6. L'art. 17 definisce le condizioni ed i settori in cui le autorità nazionali possono derogare a tale periodo di riferimento; in particolare esso prevede che «si può derogare per via legislativa, regolamentare o amministrativa o mediante contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali, a condizione che vengano concessi ai lavoratori interessati equivalenti periodi di riposo compensativo oppure, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, a condizione che venga loro concessa una protezione appropriata (...) agli articoli 3, 4, 5, 8 e 16». Tra i vari settori in cui è possibile introdurre deroghe a livello nazionale figurano i «servizi relativi all'accettazione, al trattamento e/o alle cure prestate da ospedali o stabilimenti analoghi» [lett. c), sub i)] nonché i «servizi di ambulanza» [lett. c), sub iii)].

Risulta dai termini della disposizione che le regole riguardanti il calcolo delle ore ai fini del rispetto del tetto massimo di lavoro settimanale di cui all'art. 6, n. 2, devono in linea di principio essere prese in considerazione nella fissazione degli orari di lavoro e ciò con riferimento ad un periodo complessivo di quattro mesi. Qualora poi, per un settore come quello di specie, che è annoverato tra quelliin cui è possibile adottare un regime nazionale derogatorio, la normativa nazionale abbia previsto, alle condizioni indicate all'art. 17, disposizioni di contenuto differente rispetto a quello proprio delle norme della direttiva, le autorità nazionali possono attenersi alla normativa interna e ciò sempre entro i limiti fissati dal n. 4 dell'art. 17 (22).

44.

L'art. 18, n. 1, lett. b), della direttiva, oggetto del quesito pregiudiziale 3D, prevede che «ogni Stato membro ha la facoltà di non applicare l'articolo 6 [quindi di derogare alla norma sulla durata massima di lavoro settimanale] nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, a condizione che assicuri, mediante le misure necessarie prese a tale scopo, che (...) nessun datore di lavoro chieda ad un lavoratore di lavorare più di 48 ore nel corso di un periodo di 7 giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all'articolo 16, punto 2, a meno che non abbia ottenuto il consenso del lavoratore all'esecuzione di tale lavoro» [in particolare sub i)].

Il giudice chiede se ai fini della detta deroga possa considerarsi equivalente al consenso del lavoratore l'accordo espresso dai rappresentanti sindacali in un accordo o contratto collettivo.

45.

Il governo spagnolo e la Consellería de Sanidad de la Generalidad Valenciana suggeriscono di rispondere affermativamente a quest'ultimo interrogativo. Il governo spagnolo richiama al riguardo la legislazione spagnola sulla rappresentanza dei lavoratori attraverso gli organismi sindacali. Il governo finlandese e quello del Regno Unito propendono, invece, per la tesi opposta. Essi fanno valere che il testo dell'art. 18, n. 1, lett. b), sub i), della direttiva lascerebbe intendere che l'applicazione della deroga ivi prevista esige che il datore di lavoro ottenga il consenso espresso del lavoratore ad effettuare delle ore aggiuntive alle 48 ore massime. Un accordo collettivo, pertanto, non potrebbe sostituire tale consenso.

46.

Va a mio avviso accolta la tesi sostenuta dai governi finlandese e del Regno Unito. La lettera della disposizione pertinente non lascia adito a dubbi. Si aggiunga che, come è stato rilevato dal rappresentante del Regno Unito, se l'intenzione del legislatore comunitario fosse stata quella di riconoscere agli accordi collettivi la possibilità di derogare all'art. 6, n. 2, della direttiva, quest'ultimo articolo sarebbe stato incluso nella lista di quelli cui si può derogare mediante contratti collettivi, lista che figura all'art. 17, n. 3. Si consideri che l'art. 18 subordina la facoltà degliStati membri di «non applicare l'articolo 6» all'adozione delle «misure necessarie» a garantire diverse condizioni, tra cui la previsione dell'obbligo del datore di lavoro di chiedere e ricevere il consenso del lavoratore e l'adozione di misure atte ad assicurare che nessun lavoratore possa subire pregiudizi per non essere stato disposto ad accettare le condizioni imposte dal suo datore.

In sostanza, ritengo che la possibilità di derogare all'art. 6 debba essere subordinata al consenso espresso del lavoratore e all'adozione di appropriate misure legislative o amministrative di tutela della libertà del medesimo di rifiutare un aumento (oltre il tetto massimo) dell'orario settimanale di lavoro.

Il lavoro notturno (quesiti 4A-4C)

47.

Con il quesito sub 4A il giudice a quo vuol sapere se i medici dei turni di guardia possano essere qualificati come «lavoratori notturni». Tale problema interpretativo deriva dal fatto che l'orario lavorativo normale di questa categoria si svolge solo parzialmente durante la notte. Con il quesito sub 4B il giudice chiede se le disposizioni in materia di lavoro notturno si applichino anche al settore privato e infine, con il quesito sub 4C, se il limite di 8 ore, fissato dall'art. 8, n. 1, riguardi anche il lavoro prestato dalle guardie mediche in regime di reperibilità o con presenza fisica nelle strutture ospedaliere.

48.

La Consellería de Sanidad de la Generalidad Valenciana, il governo spagnolo, il governo finlandese e la Commissione sostengono che i detti medici non possono essere considerati lavoratori notturni in quanto non svolgono quotidianamente un lavoro di notte e conseguentemente non possono rientrare nel campo di applicazione dell'art. 2, n. 4, lett. a), della direttiva. La Consellería rileva inoltre che tale attività non sarebbe comunque riconducibile alla nozione di lavoro notturno, considerato che l'art. 2, n. 4, lett. b), lascia alla legislazione nazionale e ai contratti collettivi conclusi a livello nazionale o regionale il compito di definire la stessa nozione di «lavoratore notturno».

49.

Per rispondere ai quesiti in esame occorre, innanzi tutto, ricordare che la direttiva contiene la duplice nozione di «lavoro notturno» (o «periodo notturno») e di «lavoratore notturno». Il «periodo notturno» viene definito all'art. 2, n. 3, come «qualsiasi periodo di almeno 7 ore, definito dalla legislazione nazionale e che comprenda in ogni caso l'intervallo fra le ore 24 e le ore 5». Lo stesso art. 2, alla lett. a) del n. 4, definisce poi lavoratore notturno «qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno 3 ore del suo tempo di lavoro giornaliero, impiegate in modo normale» e, alla successiva lett. b), «qualsiasi lavoratore che possa svolgere durante il periodo notturno una certa parte del suo orario di lavoro annuale», determinata dagli Stati membri attraverso la contrattazione collettiva o mediante interventi legislativi.

Ora, per stabilire se i medici delle équipe di pronto soccorso, che svolgono il loro servizio in turni eventualmente anche «notturni», possono essere qualificati lavoratori notturni, occorre modulare la risposta al quesito 4A tenendo conto delle modalità in cui il predetto servizio di guardia viene in concreto svolto. In altri termini, ai fini dell'accertamento del carattere notturno di un lavoro, occorre stabilire se l'attività prestata dal lavoratore sia eseguita durante il «periodo notturno» e se, considerati i termini di cui all'art. 2, n. 4, il lavoratore sia (o sia anche) notturno.

50.

Sulla base delle precedenti osservazioni relative all'interpretazione della nozione di orario di lavoro di cui all'art. 2, n. 1, e in particolare alla possibilità di includere i periodi in cui il lavoratore è a disposizione della struttura ospedaliera con presenza fisica o in regime di reperibilità, ritengo che se il medico è a disposizione della struttura ospedaliera, nel senso che è ivi presente, il computo delle ore di lavoro, riconducibili alla nozione di lavoro notturno, debba includere tutto il periodo di guardia comprese le ore (notturne) in cui il medico non ha esercitato alcuna attività. Pertanto, ai sensi dell'art. 2, n. 4, è da considerare lavoratore notturno il medico che svolge quotidianamente, tra le ore 24 e le ore 5, una guardia medica continuativa di almeno tre ore [lett. a)] ovvero una guardia, sempre tra le ore 24 e le ore 5, per un totale di ore su base annua che equivale a quello fissato a livello nazionale perché un lavoratore sia considerato notturno [lett. b)].

51.

Ne segue, per rispondere al quesito di cui alla lettera 4C, che l'orario notturno di guardia medica non deve superare le 8 ore di lavoro giornaliero (art. 8, n. 1). Non ritengo, infatti, che il riferimento al «lavoro normale», che figura in tale disposizione, possa escludere che un lavoratore «a disposizione» ai sensi e per gli effetti dell'art. 2, n. 1, sia escluso dall'ambito di applicazione della norma che fissa il tetto massimo di lavoro notturno quotidiano. Infatti, una tale esclusione avrebbe dovuto figurare espressamente nelle disposizioni relative alla tutela del lavoro notturno in quanto comporta una considerevole limitazione del campo di applicazione delle medesime. A mio parere, la nozione di «normalità» del lavoro notturno, di cui all'art. 8, n. 1, deve essere interpretata nel senso che è riconosciuta agli Stati la possibilità di derogare alla disposizione della direttiva sul tetto massimo del lavoro notturno in ordine a specifiche categorie di lavoro. Possibilità, questa, che è espressamente prevista e regolata all'art. 17 della stessa direttiva.

52.

Nel caso in cui invece il medico abbia trascorso le ore di reperibilità all'esterno della struttura ospedaliera, si deve ritenere che solo le ore di effettivo lavoro rientrino nel computo e che quindi possa applicarsi il regime del lavoro notturno unicamente nel caso in cui queste raggiungano o superino le tre ore e nel caso in cui il totale di ore notturne raggiunga, nell'arco di un anno, l'ammontare complessivo fissato a livello nazionale perché il lavoratore sia considerato notturno. Ne deriva che il divieto di imporre un orario di lavoro notturno superiore ad una media di otto ore si applica solo se l'attività effettiva sia riconducibile ad un totale di ore di lavoro corrispondente a quello indicato all'art. 2, n. 4.

53.

Inoltre, quanto alla previsione di cui all'art. 2, n. 4, lett. b), che consente agli Stati membri di introdurre una nozione differente di lavoratore notturno sulla base del calcolo delle ore di lavoro svolte annualmente durante la notte, rilevo che le disposizioni adottate su questa base legale non possono comunque derogare alla regola delle tre ore contenuta alla lett. a) dell'art. 2, n. 4. La disposizione che riconosce questa competenza statale non figura, infatti, nella parte della direttiva che riguarda le materie e le condizioni in cui vi può essere deroga a livello nazionale. Ciò comporta che l'intervento dello Stato membro sull'orario di lavoro notturno, con riferimento alle modalità di calcolo delle ore su base annua, non può escludere l'applicazione delle relative disposizioni della direttiva, relative ai lavoratori notturni, nel caso in cui questi prestino quotidianamente tre ore del loro lavoro fra le ore 24 e le ore 5.

54.

Il giudice nazionale vi chiede, con il quesito 4B, se ai fini e per gli effetti degli artt. 8-13 della direttiva siano applicabili, ai dipendenti pubblici, le disposizioni di diritto privato in materia di lavoro notturno. Detto quesito, come quello sub 2A, riguarda l'interpretazione di norme interne e quindi non rientra nella competenza della Corte. Tuttavia, ricordo che l'applicazione della direttiva si concilia con quella di disposizioni nazionali destinate a disciplinare rapporti di lavoro di diritto privato. Infatti, l'art. 1, n. 3, prevede espressamente l'applicabilità della stessa fonte «a tutti i settori di attività, privati e pubblici».

La nozione di lavoro a turni (quesito n. 5)

55.

Con il quinto quesito pregiudiziale il giudice nazionale chiede se il lavoro delle équipe spagnole di guardia medica sia da considerare «a turni» e se quindi tali medici che ne fanno parte siano dei «lavoratori a turno», secondo le nozioni contenute rispettivamente ai nn. 5) e 6) dell'art. 2 della direttiva.

Secondo il n. 5 dell'art. 2, si intende per lavoro a turni, «qualsiasi metodo di organizzazione del lavoro a squadre in base al quale dei lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo o discontinuo, ed il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro ad ore differenti su un periodo determinato di giorni o settimane». Secondo il n. 6 dell'art. 2 si intende per lavoratore a turni «qualsiasi lavoratore il cui orario di lavoro sia inserito nel quadro del lavoro a turni».

56.

La Consellería, il governo spagnolo, il governo finlandese e la Commissione suggeriscono di dare una risposta negativa al quesito in considerazione del fatto che il tempo dedicato alle guardie non costituirebbe un «orario di lavoro» effettivo secondo la prassi nazionale. La Consellería fa altresì valere, a ulteriore giustificazione di una risposta negativa al quesito, che i turni di guardia dei medici delle équipe di pronto soccorso vengono svolti sempre alle stesse ore e che l'orariodi lavoro «ordinario» dei medesimi è costruito secondo uno schema fisso, mentre il «lavoro a turni», così come viene definito nella direttiva, presuppone un'attività prestata in ore differenti su un periodo determinato di giorni o settimane.

57.

A mio parere, i componenti di un'équipe di pronto soccorso, quali quelli della causa oggi in discussione, possono essere dei lavoratori a turni, visto che risulta dall'ordinanza di remissione che le loro prestazioni sono distribuite sulla base di un regime di rotazione. A nulla rileva in proposito il fatto che il lavoro è offerto da ogni componente a ore fisse o che in alcuni casi consiste nella semplice reperibilità dei medici. In effetti, si ricava dalla lettera della citata disposizione della direttiva che la nozione di lavoratore a turni prescinde dalle modalità con cui è offerta la prestazione lavorativa e, inoltre, il ritmo di lavoro può essere continuo o discontinuo.

Sarei quindi dell'avviso che i componenti delle équipe spagnole di guardia medica siano da considerare lavoratori a turni e che quindi la loro attività sia da far rientrare nella nozione di cui all'art. 2, n. 5, della direttiva.

Conclusioni

58.

Per tutte le considerazioni sin qui svolte propongo alla Corte di rispondere nel modo che segue ai quesiti posti dal Tribunal Superior de Justicia de la Comunidad Valenciana:

«1) Quanto all'applicabilità della direttiva in generale (quesiti 1A-1D)

i) L'attività dei medici di équipe di pronto soccorso rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, in particolare:

- l'art. 1, n. 1, della direttiva 89/391/CEE, cui rinvia l'art. 2, n. 1, della direttiva 93/104, deve essere interpretato nel senso che la natura di tali attività non è di ostacolo all'applicazione della direttiva;

- l'art. 1, n. 3, della direttiva 93/104 deve essere interpretato nel senso che tali attività non rientrano tra quelle dei medici in formazione;

- con riguardo a tali attività, la direttiva 89/391 non prevede alcuna norma specifica in ordine al computo e ai limiti dell'orario di lavoro.

ii) Gli artt. 3, 4, 5, 6, 8 e 16 della direttiva 93/104 non si applicano solo in presenza di una normativa nazionale derogatoria adottata nei limiti e alle condizioni di cui all'art. 17 della medesima direttiva.

2) Quanto alla nozione di orario di lavoro e sul computo delle ore di lavoro (quesiti 2A-2C e 3A-3B)

L'art. 2, n. 1, della direttiva 93/104 deve essere interpretato nel senso che devono considerarsi comprese nell'orario di lavoro: a) il tempo di disponibilità dei medici di guardia con presenza fisica nei centri sanitari; b) i periodi di tempo in cui i medici sono in regime di reperibilità, sono cioè disponibili ad intervenire ma si trovano all'esterno dei centri sanitari, e ciò limitatamente al tempo di effettivo esercizio della loro attività lavorativa. Tutti i periodi che rientrano nell'orario di lavoro devono essere presi in conto nel computo della durata complessiva delle prestazioni lavorative e ciò ai fini e per gli effetti della stessa direttiva 93/104.

Pertanto, la direttiva è di ostacolo ad una prassi nazionale che esclude dalle 40 ore settimanali di lavoro il tempo dedicato alla guardia continuativa.

La direttiva deve essere interpretata nel senso che gli Stati membri possono distinguere le ore di lavoro in ordinarie e straordinarie, sempre che il totale delle ore lavorative non superi i tetti massimi fissati dalla stessa direttiva.

3) Quanto alle deroghe previste dalla direttiva 93/104 (quesiti 3C-3D)

L'art. 17 della direttiva 93/104 deve essere interpretato nel senso che, è possibile derogare all'art. 16, n. 2, per via legislativa, regolamentare, amministrativa e con contratti collettivi o con accordi conclusi fra le parti sociali e ciò unicamente nei limiti e alle condizioni ivi previste.

L'art. 18 della direttiva 93/104 deve essere interpretato nel senso che non consente una deroga nazionale alle disposizioni sulla durata massima settimanale del lavoro, di cui all'art. 6, n. 2, della medesima direttiva, nel caso in cui non sia fatto obbligo al datore di lavoro di chiedere e ricevere il consenso del lavoratore, ma sia considerato sufficiente il consenso espresso dai rappresentanti sindacali in un accordo o contratto collettivo.

4) Relativamente alle questioni sul carattere notturno del lavoro dei medici delle équipe di pronto soccorso (quesiti 4A-4C)

L'art. 2, n. 4, della direttiva 93/104 deve essere interpretato nel senso che può essere considerato lavoratore notturno il componente di una équipe di pronto soccorso che presti il proprio lavoro alle condizioni indicate in tale disposizione, e ciò, in particolare, nel caso in cui svolga guardie mediche continuative con presenza nei centri ospedalieri o presti la sua attività effettiva in regime di reperibilità (stando all'esterno della struttura ospedaliera) per un totale di ore equivalente a quello indicato alle lett. a) e b) dello stesso art. 2, n. 4.

Devono essere computati ai fini dell'art. 8, n. 1, della direttiva, cioè con riguardo alla determinazione in concreto della durata massima del lavoro notturno dei componenti di una équipe di pronto soccorso che sono a disposizione o in regime di reperibilità, solo i tempi riconducibili all'orario di lavoro ai sensi e per gli effetti dell'art. 2, n. 1, come è stato interpretato sub 2.

5) Quanto alla qualificazione dei medici delle équipe di pronto soccorso come lavoro a turni (quesito 5)

L'art. 2, nn. 5) e 6), deve essere interpretato nel senso che i componenti di una équipe di pronto soccorso, che prestano il loro lavoro a rotazione, possono essere considerati lavoratori a turni indipendentemente dal carattere continuo o discontinuo delle loro prestazioni».

1: Lingua originale: l'italiano.

2: - GU L 307, pag. 18.

3: - GU L 183, pag. 1.

4: - BOE del 1° febbraio 1984, n. 27.

5: - BOE del 2 febbraio 1993, n. 28.

6: - Tale accordo è stato concluso conformemente alla legge n. 7/90 del 19 luglio 1990, relativa agli accordi collettivi e alla partecipazione alla determinazione delle condizioni di lavoro del personale dei servizi pubblici (BOE del 20 luglio 1990).

7: - A seguito di tale accordo sono state adottate il 12 maggio e l'8 luglio 1993, dall'amministrazione della Regione Autonoma di Valencia, due istruzioni congiunte, con le quali si dà applicazione ad alcune disposizioni dell'accordo riguardanti vari aspetti della guardia continuativa. Il 25 marzo 1998 la Dirección General de Atención Primaria y Farmacia de la Conselleria de Sanidad de la Generalitad Valenciana ha adottato nuove istruzioni, complementari a quelle dell'8 luglio 1993, su differenti aspetti dell'attività di guardia. Queste prevedono che i turni di guardia continuativa non diano diritto a riposo da godere nel giorno successivo con conseguente la riduzione della giornata lavorativa ordinaria, «ancorché il personale interessato nello svolgimento della guardia continuativa possa richiedere, per periodi mensili completi, che la giornata lavorativa da svolgere dal mattino successivo al turno di guardia continuativa venga sostituita con altra da svolgersi nelle ore serali, previa autorizzazione da parte del coordinatore della squadra di pronto soccorso e del nullaosta del direttore di area, sempreché a suo giudizio siano soddisfatte le esigenze di assistenza del servizio».

8: - BOE del 25 e 26 settembre 1995 (nn. 229 e 230).

9: - Non risulta, inoltre, che tale circostanza abbia determinato la conclusione del giudizio dinanzi al giudice a quo.

10: - Ordinanza 28 aprile 1998, causa C-116/96 REV, Reisebüro Binder (Racc. pag. I-1889, punti 7 e 8).

11: - Il n. 2.1, lett. c), sub i), dell'art. 17 della direttiva del 1993 dispone che la deroga è possibile «per le attività caratterizzate dalla necessità di assicurare la continuità del servizio o della produzione, in particolare, quando si tratta: i) di servizi relativi all'accettazione, al trattamento e/o alle cure prestati da ospedali o stabilimenti analoghi, da case di riposo e da carceri».

12: - Al riguardo è opportuno ricordare che, nella sentenza 12 novembre 1996 (causa C-84/94, Regno Unito/Consiglio, Racc. pag. I-5755, punto 15), la Corte ha affermato che i termini impiegati in tale articolo depongono a favore di un'interpretazione ampia della competenza attribuita al Consiglio in materia di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. La Corte precisa, al punto 17 di detta sentenza, che «l'art. 118 A, nell'attribuire al Consiglio il potere di adottare prescrizioni minime, non pregiudica l'intensità dell'azione che questa istituzione può ritenere necessaria per assolvere il compito che la disposizione controversa le assegna espressamente, che consiste nell'adoperarsi per promuovere il miglioramento - in una prospettiva di progresso - delle condizioni relative alla sicurezza e alla salute dei lavoratori».

13: - Basti pensare all'obbligo per il datore di lavoro di combattere i rischi alla fonte [art. 6, n. 2, lett. b), della direttiva di base]. E' evidente che un siffatto obbligo potrà essere difficilmente osservato, ad esempio, nelle attività svolte dalle forze di polizia.

14: - A conforto di tale interpretazione sta il rilievo che, come ha affermato la Corte nella sentenza Regno Unito/Consiglio, citata, la direttiva considera «l'organizzazione del lavoro essenziale nell'ottica di una sua possibile incidenza favorevole sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori».

15: - GU 1999, C 43, pag. 1. Le modifiche proposte hanno lo scopo di estendere il campo di applicazione della direttiva a tutte le categorie di lavoratori che non rientrano attualmente nella disciplina della stessa. Fuori del suo campo di applicazione resterebbe soltanto la «gente di mare». Riguardo a quest'ultima categoria, il Consiglio ha adottato, in data 21 giugno 1999, la direttiva 99/63/CE, relativa all'accordo sull'organizzazione dell'orario di lavoro della gente di mare, accordo, questo, concluso tra l'Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e la Federazione dei sindacati dei trasportatori dell'Unione europea (FST) (GU L 167, pag. 33).

16: - Posizione comune (CE) n. 33/1999 del 12 luglio 1999 (GU C 249, pag. 17).

17: - Ad esempio, all'art. 17, n. 2, punto 2.1, lett. c), sub i), della direttiva verrebbe inserito il seguente testo: «comprese le attività dei medici in formazione» (art. 1, n. 5, della proposta).

18: - In diritto francese la nozione di orario di lavoro si trova all'art. L. 212-4 del code du travail (L. n° 82-957, del 13 novembre 1982, art. 28) che recita: «la durée du travail ci-dessus fixée s'entend du travail effectif à l'exclusion du temps nécessaire à l'habillage et au casse-croûte ainsi que des périodes d'inaction dans les industries et commerces déterminés par décret. Ces temps pourront toutefois être rémunérés conformément aux usages et aux conventions ou accords collectifs de travail». In diritto italiano, la stessa nozione si ritrova all'art. 1 del R.D.L. 15 marzo 1963, n. 692 (GU 10 aprile 1923, n. 84, convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 473), riguardante le limitazioni di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali o commerciali di qualunque natura. Secondo l'art. 1, «la durata massima normale della giornata degli operai ed impiegati nelle aziende industriali e commerciali di qualunque natura (...) non potrà eccedere le 8 ore al giorno o le 48 ore settimanali di lavoro effettivo». In diritto tedesco, l'art. 2, n. 1, dell'Arbeitszeitgesetz (legge relativa all'orario di lavoro) del 6 giugno 1994, Bundesgesetzblatt 1, pag. 1242, detta la seguente definizione: «per orario di lavoro si intendono le ore dall'inizio alla fine del lavoro senza considerare i periodi di riposo (...)». Nel Regno Unito, The Working Time Regulations 1998 (Statutory Instruments 1998, No. 1833) prevede, all'art. 2, che per orario di lavoro si intende: «a) ogni periodo di lavoro durante il quale il lavoratore presti attività lavorativa, a disposizione del suo datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni; b) ogni periodo durante il quale riceva una formazione (...); c) ogni ulteriore periodo da considerarsi come orario di lavoro ai sensi di queste disposizioni sulla base di un accordo applicabile (...)». In diritto svedese, l'Arbetstidslag (legge relativa all'orario di lavoro) n° 673 del 1982, in Svensk författningssamling, 6 luglio 1982 dispone all'art. 6 che: «Se a causa della natura dell'attività è necessario che un lavoratore stia a disposizione del datore di lavoro nel luogo di lavoro per svolgere attività lavorative, tale disponibilità (jourtid) può prolungare l'orario sino a 48 ore per lavoratore su un periodo di 4 settimane o 50 ore al mese di anno di calendario. Non è considerato come disponibilità il tempo durante il quale il lavoratore svolge attività lavorativa per conto del datore di lavoro».

19: - Il corsivo è mio.

20: - Una tale interpretazione non avrebbe comunque alcun effetto sull'obbligo degli Stati di assicurare il pagamento del lavoratore per tutto il periodo in cui è in regime di reperibilità; la direttiva infatti riguarda unicamente la sicurezza e la salute dei lavoratori ed ha lo scopo di limitare l'orario di lavoro dei medesimi senza però disciplinare il computo delle ore ai fini della retribuzione del medesimo lavoratore.

21: - Il giudice nazionale, nel motivare l'ordinanza di rinvio, sembra porre (e soprattutto porsi) il quesito circa l'applicabilità, nella causa principale, delle disposizioni interne contrarie alla direttiva 93/104 - in particolare dell'accordo stipulato il 7 maggio 1993 tra i sindacati e l'amministrazione della Generalidad Valenciana - ovvero della fonte comunitaria oggetto del quesito pregiudiziale. Non risulta con evidenza dall'ordinanza di rinvio e dalle dichiarazioni delle parti se la direttiva sia stata attuata nell'ordinamento spagnolo integralmente o solo parzialmente. E' persino inutile ripetere che il mancato o parziale recepimento è il presupposto che rende pertinente prendere posizione sul problema dell'applicabilità della fonte comunitaria. Mi limito dunque qui a ricordare che secondo il vostro orientamento giurisprudenziale sull'efficacia delle direttive non attuate, inaugurato con la sentenza 5 aprile 1979 nella causa 148/78, Ratti (Racc. pag. 1629), «il giudice nazionale cui il singolo amministrato che si sia conformato alle disposizioni di una direttiva chieda di disapplicare una norma interna incompatibile con detta direttiva non recepita nell'ordinamento interno dello Stato inadempiente deve accogliere tale richiesta, se l'obbligo di cui trattasi è incondizionato e sufficientemente preciso» (punto 23). Il singolo può dunque invocare, dinanzi al giudice nazionale e ai fini della disapplicazione delle norme interne contrastanti, le disposizioni di una direttiva di contenuto preciso e incondizionato. Le disposizioni della direttiva 93/104, che rilevano nella specie, hanno a mio parere un tale contenuto; mi riferisco segnatamente agli artt. 3, 5, primo comma, 6, n. 2, 8, n. 1, e 16, nn. 1 e 2. Ricordo, inoltre, che il singolo può invocare le disposizioni di una tale fonte di diritto derivato nei confronti dello Stato e di tutti gli organi della pubblica amministrazione, ivi compresi quelli degli enti territoriali, alla cui tipologia è riconducibile la convenuta nella causa principale (v., in particolare, sentenza 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo, Racc. pag. 1839).

22: - Il n. 4 dell'art. 17 stabilisce, ai primi due commi, che «la facoltà di derogare all'articolo 16, punto 2, (...) non può avere come conseguenza la fissazione di un periodo di riferimento superiore a sei mesi», e inoltre che «gli Stati membri hanno la facoltà, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, di consentire che, per ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro, i contratti collettivi o gli accordi conclusi tra le parti sociali fissino periodo di riferimento che non superino in alcun caso i dodici mesi».