La pace e la guerra

XXIII Incontro del gruppo mediterraneo 

Mediterranean Conference Centre

Malta, La Valletta

25 ottobre 2002

Il movimento sindacale europeo ed internazionale non può restare in silenzio davanti alla prospettiva che la guerra si affermi come la modalità di soluzione dei problemi e delle crisi nazionali ed internazionali.

L’idea che una guerra possa essere usata addirittura come “prevenzione” trasforma poi in barbarie i nostri comportamenti e ci fa assomigliare a quel mondo da incubo che Philip Dick e recentemente Steven Spielberg hanno raccontato in Minority Report.

La guerra è stata, è e sarà il più grande nemico delle lavoratrici e dei lavoratori. E’ sicuramente la più importante delle questioni che abbiamo davanti a noi, che riguarda la politica internazionale, i rapporti politici, quelli economici e soprattutto la coscienza delle persone.

Paradossalmente, l’anniversario dell’11 settembre si è trasformato in un preannuncio di guerra, e il silenzio commosso di quanti hanno rinnovato il loro cordoglio per le vittime dell’ignobile attacco terroristico sferrato contro tutta l’umanità si è assurdamente confuso con lo stridore cinico degli annunci interventisti e con l’allarme per l’eventualità che nuove vittime innocenti si aggiungano presto a quella lista e proprio a causa dell’iniziativa di guerra che viene annunciata.

Sconfiggere definitivamente il terrorismo internazionale resta una delle priorità che tutto il mondo civile e democratico ha assunto e conferma senza condizioni, ma è del tutto inaccettabile, ripetiamo, l’idea che sia la guerra il mezzo per raggiungere tale obiettivo, e che possa essere la guerra il principio regolatore delle ingiustizie del mondo.

In Europa popoli, istituzioni e Governi stanno esprimendo un’avversione esplicita ed in alcuni casi totale ed incondizionata alla guerra verso l’Iraq. Negli Stati Uniti ex Presidenti e premi Nobel, ex Segretari di Stato, uomini politici e ed opinionisti di grande peso e prestigio, sindacati, richiamano l’Amministrazione americana alla più grande prudenza o a profonde correzioni di rotta.

Paradossalmente, ad un anno dall’eccidio delle torri e dopo l’intervento in Afghanistan, gli Stati Uniti rischiano di essere più soli.

Si prepara quindi l’attacco militare ad uno Stato sovrano e membro dell’ONU come l’Iraq senza, peraltro, basi solide di prova attorno ai pericoli effettivi di aggressione che da lì starebbero per provenire e al di fuori di ogni regola del diritto internazionale, dal momento che la decisione strategica viene dichiarata come già assunta e si dice – da parte dei Governi USA e britannico – di essere pronti a procedere anche “da soli”, se l’Onu non deciderà in fretta, allo scopo di abbattere comunque Saddam Hussein, probabilmente anche sulla base di miopi calcoli elettorali e di strategia economica attorno al controllo delle risorse petrolifere in quell’area.

Si dimentica, sembra, che – a suo tempo – il calcolo fu proprio quello di lasciare Saddam Hussein al suo posto, a conclusione della Guerra del Golfo, mentre si è dimostrata del tutto fallimentare la politica delle sanzioni e dell’embargo che ha provocato enormi sofferenze a quel popolo rafforzando invece il potere dispotico di Saddam Hussein, che oggi appare al massimo come la sostituzione di un obiettivo certo alla indeterminatezza sulla sorte di Osama Bin Laden.

In quest’anno appena trascorso, oltretutto, la situazione in Medio Oriente si è purtroppo aggravata benché tutti avessero riconosciuto che avviare a soluzione il conflitto israelo-palestinese fosse una delle condizioni fondamentali per infliggere un colpo decisivo all’area di consenso di cui il terrorismo internazionale può avvalersi in settori del mondo islamico che, nel suo complesso, segnala il rischio grave di una devastante destabilizzazione interna ed in tutta quell’area;

Noi pensiamo che sia necessario

• che all’ONU sia affidata la responsabilità effettiva, e non solo di facciata, di assumere la piena guida della soluzione politico-diplomatica del problema, imponendo al Governo iracheno, attraverso gli strumenti che saranno necessari, di accettare senza condizioni il ritorno degli ispettori, che vanno posti in grado di agire in piena libertà;

• che l’Europa esca dalla sua sostanziale marginalità, conquistando una posizione coordinata, unitaria ed incisiva sia in sede ONU che nei confronti degli Stati Uniti;

• che sia rispettato scrupolosamente il dettato costituzionale nei Paesi europei nei quali la guerra è ripudiata come strumento di soluzione dei conflitti, e sia data – in omaggio a tale inviolabile prescrizione ed alla responsabile coscienza dei singoli parlamentari - ai Parlamenti nazionali la condizione di poter discutere e decidere in piena autonomia e libertà anche rispetto agli orientamenti di quei Governi che, come quello italiano, eludono la responsabilità di operare perché l’Europa si faccia soggetto attivo ed autorevole di pace, e si preparano ambiguamente e passivamente ad assecondare comunque gli eventi;

• che le organizzazioni sindacali mediterranee europee e mondiali coordinino ai vari livelli le proprie responsabilità perché si eserciti con efficacia il loro peso unitario nei confronti delle sedi istituzionali e politiche, immaginando anche azioni comuni.

• e che stabiliscano rapporti di collaborazione e di unità d’azione con tutte le organizzazioni della società civile, laiche e religiose, che, su posizioni analoghe, ripudiano l’uso della guerra ed intendono impegnarsi per scongiurarlo; con il mondo della cultura, dell’informazione, e con tutti i movimenti che in questi anni hanno fatto della pratica non-violenta e dell’obiettivo della pace e della sconfitta del terrorismo il presupposto della loro iniziativa perché “un altro mondo sia possibile”.