CGIL – POLITICHE EUROPEE

 

Gianni Vinay
La strategia di Lisbona e il rapporto Kok

Roma, 3 febbraio 2005

  

Nel marzo del 2000, nel Consiglio europeo di Lisbona, i capi di stato e di governo dell'Europa a 15 decisero di fissare, per il 2010, un obiettivo comune di sviluppo economico e sociale di grande rilevanza: l'Europa doveva divenire, entro quel termine, "L’economia basata sulla conoscenza più dinamica e competitiva al mondo, in grado di garantire una crescita economica e sostenibile, con più e migliori posti di lavoro, una più grande coesione sociale e rispettando l'ambiente." Non è eccessivo dire che con quella decisione, che prese il nome di "strategia di Lisbona", si affermò in maniera irreversibile il concetto di una Unione Europea che inseriva il progetto originario di sviluppo economico in un contesto inscindibile di sviluppo sociale.

 

Negli obiettivi era, tra l'altro, specificamente indicato un livello medio di occupati del 67% (56% per le donne) per il 2003, mentre per il 2010 si dovrebbe arrivare ad un 70% complessivo, che includerebbe anche un 50% di occupazione per i lavoratori anziani. Inoltre si prevedeva che ogni Stato membro dovesse arrivare a destinare alla ricerca, in tempi brevi, almeno il 3% del PIL e le imprese almeno il 2% degli investimenti.

 

La strategia, nel suo insieme, doveva essere perseguita con una vasta, ma interdipendente, serie di riforme che coinvolgeva numerosi e vari ambiti sui quali l'Unione non aveva competenza istituzionale e che erano esclusivamente nei poteri degli Stati membri. Non si poteva, quindi, ricorrere, salvo in alcuni specifici campi, al cosiddetto metodo comunitario, basato sulle direttive della Commissione.

 

Ci si affidò, quindi, ad una miscela tra il metodo comunitario ed un metodo nuovo e informale, detto del "coordinamento aperto", in base al quale i vari Paesi decidevano di cooperare volontariamente negli ambiti di loro esclusiva competenza, utilizzando le migliori pratiche che si evidenziavano nell'ambito comunitario, adattandole, eventualmente, alle loro specificità nazionali.

 

A tutti sono note le circostanze dell'andamento economico internazionale dal 2000 ad oggi: in quello stesso anno si determinò una forte crisi derivante dal crollo delle speculazioni finanziarie sulla new economy; l'anno successivo, con l'attentato alle Torri gemelle ed la conseguente grave crisi di settori come il trasporto aereo, rese la situazione generale ancor più negativa. L'aumento del petrolio, la guerra in Iraq e le conseguenti tensioni tra USA ed Europa, la fortissima crescita di grandi paesi come l'India e la Cina, e, infine, in una qualche misura, alcuni aspetti dell'allargamento a 25 Paesi, hanno ulteriormente rallentato l'economia europea, allontanando il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Per valutare l'andamento della strategia di Lisbona ‑ che appariva comunque inferiore alle aspettative ‑ e per individuare i necessari correttivi, è stata commissionata una relazione ad un "gruppo di alto livello" costituito ad hoc, composto da qualificati esperti e presieduto da Wiin Kok, che verso la fine del 2004 ha prodotto un rapporto dal quale si deve ripartire perché la strategia di Lisbona venga rilanciata e portata a buon fine. Se, infatti, nel 2000 poteva apparire un po' ambiziosa, ora è divenuta strettamente necessaria: nell'economia mondiale, dove si levano o si confermano Paesi o Regioni fortemente competitivi, l'Europa deve trovare" una collocazione che le consenta di difendere e mantenere il suo modello sociale.

 

Il rapporto Kok esordisce elencando appunto tutti gli elementi congiunturali e strutturali che hanno notevolmente allontanato l'Europa dalla meta che doveva raggiungere e che tra l'altro non le hanno consentito di sfruttare pienamente la fase di ripresa economica degli ultimi due anni, di cui si sono invece giovate l'economia asiatica e quella americana. In Europa, ricorda il rapporto, la crescita di domanda pubblica e privata è stata più debole. Gli spazi di manovra fiscale sono stati limitati dalla debolezza della situazione di bilancio nella quale si sono trovati alcuni stati membri, che sono entrati nella fase di recessione senza aver consolidato le loro finanze nella precedente fase di crescita. Di conseguenza i limiti posti dal Patto di stabilità e crescita non hanno consentito di sostenere una ripresa attraverso politiche macroeconomiche che avrebbero potuto contrastare e limitare l'impatto recessivo del ciclo economico.

 

In definitiva, si afferma, molti stati membri si sono trovati in un vicolo cieco: per la debolezza strutturale e per la contrazione della domanda i risultati dell'economia nazionale sono stati negativi, ma con risultati economici negativi è diventato più difficile sostenere la strategia di Lisbona ed è stato più difficile per alcuni governi, in un contesto di bassa crescita, mantenere i propri impegni.

 

Tuttavia ‑ sottolinea il rapporto ‑ va detto prioritariamente che molti stati membri non hanno tenuto conto con la dovuta serietà della messa in atto delle misure concordate, ad esempio per quanto riguarda il completamento del mercato unico. E questo ha avuto non poco peso nel far sì che l'Europa si trovi molto più indietro di quanto fosse possibile.

 

Nel quadro complessivo vi sono, accanto alle ombre, anche delle luci: tra la metà degli anni '90 ed il 2003 si sono avuti progressi significativi. 1 governi europei hanno introdotto misure per rimuovere gli ostacoli all'occupazione di lavoratori a basso salario; hanno sviluppato politiche attive del lavoro e favorito la crescita dei contratti a termine. Il tasso di occupazione è passato dal 62,5 del '99 al 64.3 del 2003, sebbene non si tratti sempre di posti di lavoro a tempo indeterminato. Sette degli stati membri dell'Europa a 15 sono sulla strada di raggiungere l'obiettivo del 67% di occupati nel 2005, mentre il tasso complessivo di occupazione femminile è salito al 56% nel 2003 ed alcuni paesi sono riusciti a potenziare le politiche di occupazione di lavoratori anziani, con un tasso che ora raggiunge il 41,7%. In sette stati membri si sono avuti rilevanti progressi nell'introduzione delle tecnologie informatiche e di internet nelle scuole, mentre per quanto riguarda la diffusione dei computer domestici e di internet nelle famiglie, vi è stata una crescita notevole e già dodici stati membri hanno raggiunto gli obiettivi fissati.

 

Tuttavia, negli ultimi anni la creazione al netto di nuovi posti di lavoro ha registrato una forte caduta ed è forte il rischio che il tasso del 70% per il 2010 non venga raggiunto. Lo stesso vale per l'obiettivo del 50% di lavoratori anziani. Per quanto riguarda ricerca e sviluppo, solo due paesi spendono più del 3% del prodotto nazionale lordo e sono gli stessi paesi in cui le imprese investono in ricerca e sviluppo l'equivalente del 2% del PNL. Tutti gli altri sono molto indietro rispetto agli obiettivi. 1 progressi nel fornire a tutti gli insegnanti una formazione nel digitale sono del tutto insoddisfacenti; solo cinque paesi sono andati oltre gli obiettivi fissati per la trasposizione a livello nazionale delle direttive europee; per quanto riguarda l'ambiente la linea di uno sviluppo economico che si accompagni all'abbattimento dei rischi ambientali ha avuto un successo molto parziale: ad esempio in Europa il volume di traffico cresce più rapidamente del prodotto interno lordo, la congestione peggiora, così come l'inquinamento atmosferico e sonoro.

 

Infine, l'allargamento a 25, ancorché positivo, ha reso più difficile per la grande Europa il conseguimento degli obiettivi di Lisbona: i nuovi stati membri hanno tassi di occupazione e di produttività più bassi e nel campo di ricerca e sviluppo partono da una base più bassa, dovendo quindi affrontare difficoltà più ardue di quelle dei quindici stati che vararono la strategia di Lisbona.

 

Come si accennava più sopra, il rapporto ribadisce la necessità di rilanciare il processo e di mantenere la data fissata, non come un vincolo, ma come traguardo per galvanizzare gli stati membri a fare ogni serio sforzo possibile per raggiungere il traguardo nelle condizioni indicate. E' ovvio che comunque la strategia di Lisbona continuerà anche dopo questa data, ponendosi nuovi obiettivi.

 

Lo sviluppo in Asia, può apparire una minaccia ma è anche un'occasione. L'Europa deve cogliere l'opportunità dell'ampliamento dei mercati e deve avvantaggiarsi dotandosi di una appropriata base economica, prendendo atto del fatto che la competizione, nei prossimi decenni, specialmente nei settori con alti salari e tecnologie stabili, sarà formidabile in particolare da parte di Cina e India. L'Europa deve quindi sviluppare una sua area di eccellenza, comparativamente e competitivamente vantaggiosa, che inevitabilmente si colloca nel votarsi ad una economia della conoscenza, nel senso più ampio possibile. Qui la competizione è con gli USA che hanno una leadership consolidata.

 

L'Europa ha una protezione sociale che è la più avanzata al mondo. Per fare un esempio poco noto, ha addirittura risultati migliori degli Stati Uniti per tassi di mortalità infantile, durata della vita, tassi di povertà e divaricazione dei redditi.

 

L'obiettivo è difendere questi risultati in un contesto economico caratterizzato da grandi sfide. E' infatti presa tra due fuochi: gli USA, dove il primato nel settore della tecnologia e dell'informazione è testimoniato dalla presenza del 76% delle imprese leader, e dal 46% delle imprese mondiali che più investono in Ricerca e Sviluppo, e dove la produttività è elevata; sull'altro fronte la Cina, e anche l'India, che sono sempre più competitive nelle produzioni a basso valore aggiunto, dove il lavoro ha un costo bassissimo, e dove massicci investimenti stranieri sono all'opera per investire in settori in cui, in Europa, i salari sono elevati e le tecnologie stabili.

 

Ma l'Europa invecchia. Il rapporto dei pensionati rispetto ai lavoratori sarà nel 2050, in tutta l'Unione, al 50%, in Danimarca e in Italia al 61%. Diminuiranno le persone che contribuiscono a produrre ricchezza, aumenteranno i carichi pensionistici, di assistenza, di sanità. Solo questo farà sì che il tasso di crescita potenziale dell'Unione, attualmente del 2 ‑ 2,5% si riduca al 1,25% da qui al 2040, il che comporterà una diminuzione del prodotto lordo pro capite di circa il 20% rispetto a quello che ci si sarebbe potuto aspettare in altre condizioni. Già nel 2015 il tasso potenziale di crescita crollerà all'1,5% se la manodopera potenziale continuerà ad essere utilizzata come adesso.

 

Le spese per pensione e sanità passeranno, da qui al 2050, dal 4 all'8% del PIL. Nel 2020 la spesa pensionistica sarà del 2% nella maggior parte degli Stati membri; nel 2030 tra il 4 e il 5%. Il basso tasso di crescita economica avrà, dal 2010, una influenza negativa percepibile sulle finanze pubbliche.

 

L'allargamento dell'Unione ha accentuato ineguaglianze e problemi di coesione, ma contemporaneamente i nuovi Paesi hanno la possibilità di realizzare elevate crescite del

 

PIL, anche se le loro fiscalità vantaggiose ed i loro salari poco elevati, che attirano investimenti dal resto dell'Unione, potrebbero diventare fonte di continue frizioni. Tuttavia l'ampliamento ha anche allontanato alcuni obiettivi della strategia di Lisbona. Ad esempio, il tasso globale di occupazione è diminuito di circa un punto e mezzo per cento e la disoccupazione di lungo periodo è passata dal 3,3% al 4%. Alcuni obiettivi di tipo ambientale saranno più difficili da raggiungere e per settori come informatizzazione e ricerca e sviluppo i nuovi paesi dovranno fare sforzi notevolissimi.

 

Per decenni il tasso di produzione pro capite europeo ha avuto un andamento parallelo a quello USA, ma dal '96 la crescita annuale è invece inferiore dello 0.4%. Parallelamente è rallentata la produttività europea che si è attestata in media al 1,4% contro il 2,2% degli USA. Questi crescenti squilibri possono essere attribuiti, secondo il rapporto, in proporzioni più o meno equivalenti, ai minori investimenti per dipendente ed al rallentamento del progresso tecnologico.

 

Inoltre, nell'ultima parte degli anni '90 è aumentato, rispetto al decennio precedente, il numero complessivo delle ore lavorate in Europa, ma il Gruppo di alto livello ritiene che questo derivi dall' aumento di posti di lavoro, poiché la media annuale pro capite delle ore lavorate ha continuato a diminuire. Negli ultimi tempi, al contrario degli USA, sono poi calate sia l'occupazione sia la produttività oraria.

 

L'Europa deve quindi accelerare la crescita di occupazione e produttività perché in caso contrario, a medio e lungo termine, si rischia di compromettere la sostenibilità sociale dell'Unione. La strategia di Lisbona è tuttora la miglior risposta a questa sfida, ma può dare risultati ottimali solo se tutti gli stati membri opereranno di concerto e col massimo impegno. Nessun paese europeo può migliorare il contesto da solo.

 

Occorre quindi sbloccare la situazione ed il rapporto indica cinque settori prioritari in cui sia l'Unione, sia i singoli stati membri devono intervenire e progredire.

 

Il primo è la realizzazione della società della conoscenza ed in questo ambito, per la strategia di Lisbona, si indicano i seguenti obiettivi: va definito un quadro normativo per le comunicazioni elettroniche; va promossa la diffusione delle nuove tecnologie di comunicazione e informazione; vanno create condizioni favorevoli per il commercio elettronico; va mantenuto il primato europeo nelle tecnologie della comunicazione mobile. Va inoltre creato uno spazio di ricerca e innovazione, rendendo l'Europa più attraente per i suoi ricercatori ed in grado di attirarne anche da altri paesi; va, ovviamente, portata la spesa per ricerca e sviluppo al 3% del PIL; va dimezzato il numero di coloro che non terminano gli studi, adeguando sistemi di istruzione e formazione ai nuovi saperi e promovendo la formazione permanente per tutti. Si consiglia di creare un Consiglio Europeo per la Ricerca autonomo e in grado di finanziare e coordinare la ricerca fondamentale a lungo termine a livello europeo si richiama l'attenzione del Consiglio a raggiungere un accordo definitivo sul brevetto comunitario, che semplifichi la tutela della proprietà intellettuale e che abbia tempi e costi ragionevoli.

 

Il secondo punto che il rapporto indica è il completamento del mercato interno, che da ha subito un rallentamento, da un lato perché le iniziative per la libera circolazione dei beni e quelle per regolare la libera circolazione dei servizi sono al momento, arenate, da un altro perché troppi stati membri ritardano nel recepimento e nella messa in atto delle misure che vengono decise a Bruxelles e non rispettano gli impegni assunti. Nel rapporto si indica la necessità di un censimento dei testi legislativi non ancora recepiti nei 25 stati membri a la fissazione di un termine ultimativo nel consiglio europeo della primavera di quest'anno. Si deve poi giungere in tempi brevi ad un accordo sulla legislazione per la libera circolazione dei servizi evitando che gli stati membri invochino le normative nazionali per bloccare od ostacolare l'attività di prestatori di servizi con sede in altri stati membri. Tuttavia ‑ avverte il rapporto ‑nel cambiare questa situazione si devono tenere nella debita considerazione le preoccupazioni della società, poiché migliorare la competitività a prezzo di un dumping sociale sarebbe incompatibile con il modello di Lisbona. Una efficace integrazione dei mercati finanziari agevolerebbe l'accesso al credito in condizioni più favorevoli e competitive per i consumatori e per le PMI. Va quindi attuato integralmente e completato con ulteriori misure il Piano di azione per i servizi finanziari presentato nel 1999. Si dovrebbero adottare misure ‑ suggerisce ancora il rapporto ‑ per ridurre l'onere amministrativo delle imprese, armonizzando in tutta l'Unione la base di imposta sulle società.

 

Al terzo punto c'è la creazione di un contesto favorevole agli imprenditori, innanzitutto migliorando la qualità della legislazione, secondo l'impegno già assunto dalla Commissione, sviluppando anche lo strumento di analisi dell'impatto delle proposte legislative per integrarle con l'obiettivo dello sviluppo compatibile. Va poi aumentata la disponibilità di capitale di rischio e bisogna rendere meno penalizzante sul fronte legislativo e sociale la bancarotta non fraudolenta. Il rischio di fallimento è insito nell'attività imprenditoriale ed in genere gli imprenditori imparano dai loro errori, ma clienti e finanziatori sono troppo restii a fidarsi. Una raccomandazione principale è rivolta agli stati membri che dovrebbero, entro il 2005, ridurre radicalmente i tempi, gli sforzi e i costi necessari per costituire una società, avvicinandosi così alla media dei tre stati membri più efficienti da questo punto di vista.

 

La creazione di un mercato del lavoro basato sull'integrazione e sul rafforzamento della coesione sociale è il quarto punto. L'aumento del tasso di occupazione, sottolinea il rapporto, è indispensabile per eliminare la povertà all'interno dell'Unione, per mantenere la sostenibilità sociale e finanziaria, per assicurare il futuro sviluppo dei regimi previdenziali. Invecchiamento e globalizzazione sono elementi di forte e problematico peso. Sono necessarie riforme supplementari ed è un errore pensare ‑ afferma il rapporto ‑ che si miri ad una maggiore flessibilità a danno dei diritti e della tutela dei lavoratori. Flessibilità è sinonimo di elasticità, adattabilità e occupabilità: il che presuppone lavoratori che hanno la capacità di acquisire periodicamente nuove competenze e perfezionare quelle che già possiedono. In parallelo vanno sviluppate politiche attive riguardanti il mercato del lavoro, la formazione, il sostegno sociale, per agevolare al massimo il passaggio da un posto di lavoro all'altro. Tra i suggerimenti dei rapporto si segnala l'opportunità che tutti gli stati membri riferiscano, previa consultazione delle parti sociali, come siano state attuate praticamente le raccomandazioni della task force europea per l'occupazione, approvate nel marzo 2004, tra cui i risultati in materia di occupazione e la sostenibilità dei sistemi sociali. Il consiglio di primavera 2005 dovrebbe poi valutare questi dati e verificare i progressi; si consiglia poi di promuovere l'adattabilità dei lavoratori e delle imprese, conciliando flessibilità e sicurezza. L'idea ‑ specifica il rapporto ‑ non è più quella di garantire il posto di lavoro per tutta la vita, ma di permettere alle persone di rimanere e di progredire sul mercato del lavoro. Infine si raccomandano investimenti più proficui nel capitale umano. Ciò vale sia per i lavori poco o altamente qualificati che per i settori manifatturiero e terziario. Per procurare all'Europa una manodopera qualificata, creativa e mobile occorre migliorare i sistemi di formazione e promuovere la mobilità. Bisogna consentire ai lavoratori di rimanere più a lungo in attività elaborando, entro il 2006 una strategia globale in materia di invecchiamento attivo, abbandonando il concetto di prepensionamento. L'invecchiamento demografico richiede una analisi costruttiva e l'elaborazione di politiche orientate a soddisfare le future esigenze del mercato del lavoro. Si avrà comunque bisogno di una immigrazione selettiva dai paesi extra‑UE e gli stati membri sì devono preparare adeguatamente e per tempo perché l'esperienza ha già dimostrato che il processo di integrazione delle minoranze etniche, specialmente per l'inserimento nel mercato del lavoro, è lungo e laborioso.

 

L'ultimo punto è quello relativo all'ambiente che, si sottolinea, può essere per l'Europa fonte di vantaggi concorrenziali dato che politiche ambientali ben concepite promuovono innovazione, aprono nuovi sbocchi commerciali, aumentano la competitività attraverso un uso più oculato delle risorse ed aprono nuove possibilità di investimenti. Ovviamente l'Unione e gli stati membri devono promuovere le innovazioni ecoefficienti, definire un quadro normativo appropriato, sfruttare l'attuale supremazia europea sui mercati chiave dell'ecoindustria. Vanno elaborati piani d'azione per ecologizzare le commesse pubbliche entro la fine del 2006.  La Commissione dovrebbe diffondere le buone pratiche. In definitiva va preparato un futuro sostenibile in un contesto di giusto equilibrio tra l'economia sociale e quella ambientale.

 

Il rapporto si chiude con un breve capitolo su come far funzionare Lisbona che, sottolineando quanto abbia pesato sin qui la mancanza di impegno e di volontà politica, richiama consiglio e capi di stato ad attuare le riforme concordate e ad approvare, nella riunione di primavera gli indirizzi di massima per le politiche economiche e gli orientamenti in materia di occupazione, che devono riflettere pienamente gli obiettivi specifici della crescita e dell'occupazione. Gli orientamenti dovrebbero avere durata quadriennale garantendo, per un quadriennio, la massima coerenza e compatibilità possibile a livello interno. Naturalmente si sottolinea come sia importante suscitare, intorno alla strategia di Lisbona, una vasta campagna di comunicazione per rendere i cittadini europei più partecipi e consapevoli di ciò che essa significa per l'avvenire dell'Unione.

 

Sin qui il rapporto Kok, ma, al di là delle riflessioni che ciascuno ne può ricavare autonomamente, è importante conoscere quanto è stato elaborato e deciso in merito alla strategia di Lisbona dalla CES, nell'esecutivo del dicembre 2004.

 

In un documento di accompagnamento alla delibera finale, la CES ribadisce innanzitutto che il mandato politico dell'agenda di Lisbona proponeva una strada maestra strategica: invece di tagliare le retribuzioni ed avviare una competizione nel deterioramento delle condizioni di lavoro, si optava per una strategia di innovazione e di posti di lavoro ad alta produttività e di buona qualità, per fare dell'Europa la regione più competitiva del mondo. La CES, avendo aderito con entusiasmo alla strategia di Lisbona, ha sollecitato il consiglio, nel 2003 e nel 2004, ad operare per attivare politiche che consentissero una ripresa dell'Europa ed a rilanciare la strategia rafforzando il pilastro sociale.  La

revisione di medio termine della strategia di Lisbona è quindi un momento di vitale importanza per riprendere e potenziare l'approccio originale volto a perseguire contemporaneamente alta crescita, coesione sociale e sostenibilità.

 

L'analisi della CES parte da una premessa e da un caso concreto. La premessa è che il pensiero dominante sembra essere "Prima la crescita e la competitività, poi la coesione sociale e la sostenibilità". Questo è un ribaltamento dell'idea originale di Lisbona, per la quale le politiche economiche, sociali ed ambientali potevano reciprocamente rafforzarsi. Infatti, l'esperienza di svariati stati membri evidenzia che il successo economico e la coesione sociale possono camminare insieme e che le politiche sociali possono contribuire alla crescita ed alla competitività in maniera decisiva. Confrontando, nel quadro del mandato di Lisbona, i dati relativi all'andamento dell'Olanda, come anche dei paesi scandinavi e dell'Austria, si rileva che i risultati della crescita economica, dell'occupazione e della coesione sociale sono stati molto positivi

 

Svariati paesi europei hanno un tasso di occupazione elevato, molti hanno economie che possono essere definite innovative, ma tra questi solo Olanda, paesi scandinavi ed Austria hanno un basso tasso di povertà, ed altrettanto si verifica per la povertà infantile. Da ultimo, questi stessi paesi si caratterizzano per avere un differenziale molto basso tra i salariati a più alto reddito e quelli al più basso. Le statistiche arrivano fino al 2002, ma è noto che da allora sia la disoccupazione sia il contenimento del deficit sono risaliti e l'Olanda, in particolare, ha subito un arretramento più sensibile. Va sottolineato inoltre che l'attuale governo olandese sta tentando di dirigere il volante della politica in una direzione contraria a quella formula che si è dimostrata di successo negli anni passati, per inclinare verso forme di deregolamentazione. Ma il panorama sopra descritto dimostra in maniera incontrovertibile che, da un lato, il successo economico e l'elevato tasso di occupazione non implicano di per sé un progresso sociale. Il capovolgimento della logica di Lisbona non funziona. Per un altro verso si dimostra che non esiste necessità alcuna di mercanteggiare tra competitività e coesione sociale. 1 paesi analizzati hanno dimostrato che si può avere alte performance occupazionali e di innovazione insieme con l'esistenza di un sistema sociale ben sviluppato e ben funzionante. Ma quale è il segreto di questo risultato? Una analisi ravvicinata delle politiche strutturali di questo piccolo gruppo di paesi dimostra che tutti, senza eccezione, hanno investito massicciamente in politiche attive del lavoro, istruzione, formazione per tutto il corso della vita, partecipazione dei lavoratori, ricerca, sviluppo e politiche di riconciliazione della vita familiare e lavorativa. Essi conciliano ratei alti di sussidi per il ricollocamento e per lunghi periodi, con politiche attive del mercato del lavoro che offrono formazione, consulenze del lavoro o creazione diretta del lavoro per i disoccupati. In tal modo, da una parte un sistema generoso dà un senso di sicurezza ai lavoratori che quindi accettano con tranquillità il cambiamento ed i rischi che può comportare. Non è un caso che questi paesi, e in particolare quelli scandinavi, siano i più avanzati in tema di flessibilità della produzione. Da un'altra parte combinare un sistema di sussidi alla disoccupazione generoso con forti politiche attive del mercato del lavoro si dimostra un efficace antidoto contro i possibili effetti disincentivanti che potrebbero derivare da politiche esclusivamente di sostegno ed è anche uno strumento per accrescere le qualifiche dei disoccupati, cosa ugualmente importante per controllare una eventuale crescita delle disuguaglianze retributive e rendere più forti le capacità innovative dell'economia. La pietra di paragone di questi paesi è il regno unito, con elevata occupazione e buone performance di innovazione, ma con grandi disuguaglianze, oltre che maggior povertà.

 

Da questo "caso esemplare" la CES trae la conclusione che un particolare insieme di politiche sociali è cruciale per la filosofia di Lisbona che punta proprio sugli effetti sinergici tra politiche economiche e sociali. Purtroppo, rileva la CES, lo stato attuale del processo di Lisbona dimostra che queste politiche non hanno ricevuto, complessivamente, particolare attenzione. I dati complessivi disponibili sono scarsi e non consentono analisi dettagliate, ma può essere un buon esempio il fatto che, a livello dell'Europa a 15 la formazione per tutto il corso della vita, su una popolazione che va dai 25 ai 64 anni è aumentata solo dell'8 all'8,5%. 1 governi hanno invece dedicato importanti risorse e mezzi finanziari alla riduzione della pressione fiscale e dei contributi di sicurezza sociale per i lavoratori a bassa qualificazione. Certo questo aiuta la coesione sociale, ma è una scelta di basso profilo: invece di accrescere la qualificazione e la produttività dei lavoratori a basso salario, si è ridotto il costo dì un lavoro pagato poco. Il punto è che questo può avere, nel tempo, effetti negativi per esempio divenendo un disincentivo all'impegno nella formazione ed istruzione.

 

In definitiva, se l'Europa vuole essere seria sugli obiettivi di alta occupazione, alta produttività e coesione sociale di Lisbona, allora occorre che il processo della strategia sia focalizzato sulla sinergia di politiche fin qui descritte.

 

La CES analizza poi l'esigenza di riformare il regime di politiche macroeconomiche in Europa, sottolineando che la politica di stabilizzazione (stabilità), in particolare nell'area dell'euro ha dato risultati deludenti ed inoltre che i tempi di ripresa da una fase recessiva ad una positiva sono molto più lunghi in Europa che negli USA e in Gran Bretagna..

 

Da Maastricht, rileva la CES, politica monetaria e politica fiscale sono state focalizzate prioritariamente sull'obiettivo della stabilità. La Banca europea ha come obiettivo la stabilità dei prezzi, mentre la politica fiscale punta ad eliminare il deficit pubblico nel medio periodo, nel contesto del Patto di stabilità e crescita. Questo pone la domanda se vi siano altri attori nell'area dell'euro che vogliano o possano farsi carico di stabilizzare la domanda aggregata nell'economia. In realtà questo è delegato ad attori di macropolitica all'esterno dell'area. Ci si aspetta che una rivitalizzazione della domanda arrivi in particolare dagli USA, ma con una quota piuttosto limitata di entrate dall'export extra europeo (circa il 12 ‑ 15% del prodotto interno lordo globale, la strategia della ripresa attraverso le esportazioni è rischiosa, specialmente quando è accompagnata da una eccessiva strategia di moderazione salariale che deprime a sua volta la domanda interna, che copre tra l'80 ed il 90% del PME se la crescita americana non è molto forte l'economia europea resta pressocchè ferma.

 

Nessuno ‑ sottolinea la CES ‑ può seriamente dire che la stabilità dei prezzi non è necessaria, dimenticando la devastazione che l'iper inflazione ha prodotto in passato. Questo è un punto di forza della Banca europea. Chiunque avanzi una qualche ipotesi alternativa viene immediatamente bollato come un irresponsabile che vuole tornare alle politiche inflattive del passato. Così ogni dibattito sulla politica monetaria è diventato un dibattito proibito. La banca centrale ha infatti compiuto un passo ulteriore dichiarando che la stabilità dei prezzi non solo è necessaria, ma anche sufficiente per garantire una elevata crescita economica. Analizzando gli scenari operativi ed il mandato che il Trattato europeo ha affidato alla banca centrale, la CES, giunge però ad evidenziare che quanto il tasso di inflazione è fissato molto in basso ci sono poche probabilità che si sviluppi una forte spinta inflattiva, mentre esso può andare di pari passo con una crisi economica crescente. In definitiva la banca europea osserva una inflazione ormai stabilizzata, mentre l'economia è al collasso.

 

Le politiche fiscali potrebbero consentire margini di manovra per rendere più morbido l'impatto nelle fasi di caduta, ma c'è il patto di stabilità che fa da barriera.

 

Senza dilungarci ulteriormente sulle analisi della CES, si può completare questa breve relazione con le richieste che la confederazione ha deliberato di porre alle istituzioni europee per la revisione di medio termine della strategia di Lisbona.

 

Con una risoluzione che già dal titolo chiede di porre l'Europa sociale nel cuore della strategia di Lisbona, si elencano i punti fondamentali:

 

•           Chiudere col ritornello (mantra) ossessivo delle riforme strutturali; chiudere col ritornello della stabilità e nient'altro che la stabilità. Troppo si è puntato a deregolamentazione e flessibilità, troppo poco ad aiutare i lavoratori ad inserirsi nel cambiamento..

 

•           Impostare nel modo giusto l'agenda delle politiche strutturali. Mettere l'agenda sociale al cuore della strategia di Lisbona. Le riforme continuamente evocate ed invocate sono diventate un codice di deregolamentazione e di flessibilità illimitata, per indebolire i diritti dei lavoratori e smantellare lo stato sociale. Se riforme sono effettivamente da compiere, va però capovolto il corrente approccio politico. Per conseguire gli obiettivi di Lisbona è necessario un investimento massiccio nell'istituzione di un mercato positivo del lavoro attraverso politiche attive, uffici di collocamento efficaci che offrano anche giuda, formazione, consulenza; formazione per tutto l'arco della vita; migliori regimi sociali di sostegno per i disoccupati in cerca di lavoro; politiche di riconciliazione dei tempi di vita e di lavoro; iniziative per promuovere la partecipazione dei lavoratori nello sviluppo di luoghi di lavoro ad alte prestazioni; sviluppo di nuove forme di sicurezza per i lavoratori, senza che vengano annullati i principi delle forme già esistenti.

 

•           Rompere il tabù. Puntare agli obiettivi di Lisbona riformando il regime macroeconomico europeo.

 

•           Agire con la consapevolezza che lo sviluppo sostenibile è un pilastro della crescita economica, della competitività, della coesione sociale.

 

•           Usare le risorse finanziarie. Le buone intenzioni politiche non bastano. L'Europa deve investire di più per ricerca e sviluppo, per i sistemi di istruzione, per le strutture dì supporto al mercato del lavoro. Bisogna creare una linea di bilancio specifica per l'agenda di Lisbona.

 

•           "Lisbonizzare" il patto di stabilità e crescita. Così come è il patto non consente all'Europa di impegnarsi in una agenda di innovazioni. Non possiamo concederci il lusso dì aspettare altri cinque anni per l'eliminazione dei deficit per poter investire massicciamente in ciò che è necessario. Bisogna riformare il patto in modo che gli investimenti siano al centro delle priorità di Lisbona e non incidano più sul deficit pubblico, almeno per i prossimi cinque anni.

 

•           Mettere un freno alla competizione fiscale tra gli stati membri sulle entrate mobiliari. 1 governi europei non possono continuare sulla strada del dumping fiscale.

 

•           Sollecitare la banca europea di investimento perché usi appieno le sue possibilità finanziarie.

 

•           Non restringere l'obiettivo di Lisbona al campo limitato della competitività. No all'allungamento dell'orario di lavoro. E' una soluzione facile, ma nel medio periodo brucerebbe la forza lavoro, ridurrebbe le opportunità di lavoro, penalizzerebbe l'accesso delle donne, aumenterebbe gli incidenti. No ad un taglio generalizzato delle retribuzioni. La competizione con le economie a basso salario è un vicolo cieco. Ci saranno sempre paesi dove il lavoro costerà meno. No alla direttiva sui servizi, che, nell'impostazione attuale condurrebbe ad un dumping sociale e porterebbe le aziende a competere fra loro non solo sui bassi salari, ma anche sulla bassa protezione sociale e sulle malsane condizioni di lavoro. La direttiva in discussione va completamente cambiata.

 

•           Rivedere il concetto di competitività. Oltre che in ricerca e sviluppo, bisogna investire anche in un mercato del lavoro sicuro e nel dialogo sociale che può contrastare la paura dei lavoratori per ì cambiamenti strutturali, ed investire infine in quei settori dove ci si aspetta che si sviluppino i lavori del futuro: sviluppo sostenibile, servizi sociali e alle persone, settori di assistenza e cura.

 

•           Rafforzare il processo di verifica e controllo dei risultati. L'esempio di paesi che hanno saputo mantenere ed accrescere la coesione sociale deve essere una pietra di paragone. La coesione sociale dovrebbe essere aggiunta alle cinque priorità indicate dal rapporto Kok.

 

•           Assicurarsi che l'insieme di indicatori definito per la strategia di Lisbona venga utilizzato. Tra quelli indicati dal rapporto Kok sono completamente assenti indicatori fondamentali che riguardano l'Europa sociale come forza produttiva.

 

•           Accrescere il coinvolgimento delle parti sociali nella attuazione della strategia. Lisbona non potrà progredire se le decisioni verranno prese sulla testa dei lavoratori. Si apprezza che il rapporto Kok raccomandi di fare del programma di Lisbona una parte del comune programma di lavoro delle parti sociali europee.

 

•           La CES ribadisce che una partnership per il cambiamento deve segnare un vero cambiamento e non il ripetersi della continua deregolamentazione. La CES non può accettare un approccio in cui i sindacati, con la loro presenza o con la loro firma, vengano usati come alibi per indebolire o distruggere la dimensione sociale dell'Europa.