Raoul Marc Jennar                                             2.

RINVIARE O EMENDARE

LA DIRETTIVA BOLKESTEIN *

Signor presidente, signore e signori, ringrazio i componenti di questa Commissione che hanno voluto che un ricercatore al servizio del movimento sociale partecipasse a questa audizione su una proposta di Direttiva che può stravolgere completamente il paesaggio socio-economico europeo e rimettere radicalmente in discussione il cosiddetto ‘modello europeo’.

Il mio intervento si dividerà in tre parti: in primo luogo, alcune riflessioni generali sulla Direttiva proposta, quindi un confronto tra la proposta di Direttiva e il Libro bianco sui Servizi d’interesse generale (Sig); infine, non potendo sperare in un rifiuto di questa Direttiva, concluderò presentando un certo numero di emendamenti che mi sembrano indispensabili se si vuole che l’Unione europea pratichi una nuova coerenza tra il messaggio che trasmette all’opinione pubblica e la sua legislazione. 

 

A. Riflessioni generali 

a.1

Le circostanze in cui è presentata questa proposta 

Questa proposta è presentata ed esaminata in un contesto in cui l’allargamento provoca fortissime disparità in seno all’Unione europea e crea de facto due diverse zone: una zona in cui esiste un certo grado di redistribuzione della ricchezza prodotta dal sistema fiscale, in cui esistono leggi sociali e leggi ambientali e una zona in cui questi elementi, che sono consustanziali dell’idea stessa di Europa, vi si ritrovano poco o nulla.

Mentre l’armonizzazione è stata, per più di quaranta anni, la tecnica di base dell’integrazione europea, proprio nel momento in cui essa sarebbe più che mai necessaria, vi si rinuncia al fine di rendere legale il dumping fiscale, il dumping sociale e il dumping ambientale. Noto, tra l’altro, che la preoccupazione per l’armonizzazione si mantiene solamente per abrogare, là dove esista, il divieto di pubblicità commerciale per le professioni regolamentate (architetti, avvocati, medici, notai, farmacisti…).

Sarà molto difficile far credere alle decine di milioni di europei, che, nella partecipazione al voto nelle recenti elezioni per il Parlamento europeo, lo scorso giugno hanno mostrato fino a che punto dubitano dei benefici dell’attuale modello d’integrazione europea, che l’abbandono della tecnica dell’armonizzazione sia una decisione presa nell’interesse generale.

Vorrei far notare, inoltre, che questa proposta di Direttiva sui servizi è presentata in assenza di una Direttiva-quadro sui servizi cosiddetti d’interesse generale, vale a dire in assenza di un dibattito sul principio del servizio pubblico. Dopo anni, le autorità politiche dell’Unione europea, quelle la cui legittimità democratica è indiscutibile, richiedono la presentazione di una tale Direttiva. La Commissione europea fa orecchi da mercante.

 

a.2

L’interazione con l’Agcs 1 

In occasione delle consultazioni organizzate, nel quadro del Coreper, tra gli Stati membri e i servizi del signor Bolkestein, questi ultimi hanno dichiarato (riunione del 23 marzo 2004) che «la Direttiva non ha alcun effetto sui negoziati internazionali (Agcs…)».

Al Punto 5 dell’esposizione dei motivi della proposta di Direttiva, dal titolo Coerenza con le altre politiche comunitarie, vi si trova una sottosezione (p. 17) interamente dedicata ai negoziati nel quadro dell’Agcs ed è espressamente indicato che tale proposta punta a «rafforzare la posizione negoziale» dell’Unione europea.

In fondo, vi sono numerose similitudini tra l’Agcs e la proposta di Direttiva. Così come l’Agcs, la Direttiva proposta dà una definizione estremamente ampia dei servizi dal momento che essa copre tutti i servizi. Così come l’Agcs, la Direttiva proposta si applica alle stesse modalità di fornitura dei servizi: servizi forniti dal paese di origine (prima modalità dell’Agcs), servizi che fanno appello alla mobilità del cliente (seconda modalità), servizi forniti in un altro paese (terza modalità), servizi che fanno appello alla mobilità del personale (quarta modalità).

Un esame comparativo delle disposizioni dell’Agcs e della proposta di Direttiva consente di affermare, senza alcuna contestazione possibile, che si tratta di una proposta che tende a imporre ai 25 Stati membri dell’Unione le disposizioni dell’Agcs. Ci si potrebbe chiedere per quale ragione, dal momento che le regole dell’Omc sono vincolanti. La risposta, però, sta negli effetti della proposta. Se sarà adottata, questa proposta avrà due effetti diretti sul funzionamento dell’Unione europea e sui negoziati di attuazione dell’Agcs:

a. la Direttiva comporta ipso facto un trasferimento di competenze dagli Stati membri alla Commissione, dal momento che quest’ultima non sarà più tenuta, come avviene attualmente, a coinvolgere gli Stati nell’elaborazione delle offerte di liberalizzazione di servizi, nel quadro dei negoziati Agcs, poiché la liberalizzazione dei servizi sarà regolata dalla Direttiva. L’adozione della Direttiva mette fine alla libera scelta degli Stati che l’Agcs concede loro formalmente.

b. La posizione negoziale della Commissione europea per l’attuazione dell’Agcs sarà così rafforzata, poiché essa disporrà a suo piacimento della quasi totalità dei settori dei servizi europei.

La conseguenza di tutto ciò sarà che il potere, già assai limitato, del vostro Parlamento di svolgere una funzione di controllo sui negoziati dell’Agcs diventerà assolutamente inesistente.

Si può dunque concludere che, contrariamente a quanto afferma la Commissione, questa Direttiva avrà per effetto quello di infliggere ai popoli d’Europa una più pesante applicazione dell’Agcs

 

a.3

la messa in discussione della democrazia:

il governo dei giudici  

Per giustificare la pertinenza delle disposizioni che essa contiene, la proposta si basa sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee. È legittimo porsi la seguente domanda: a chi tocca procedere alle scelte politiche? A chi tocca, ad esempio, definire i servizi? Ai giudici o ai legislatori?

La Direttiva proposta richiama sistematicamente (Paragrafi 11, 15, 19, 29, 31, 49, 51, 53, 54, 55, 56, 57) «la giurisprudenza della Corte» per andare al di là di ciò che è stabilito nei Trattati, rimettere in discussione il diritto degli Stati e arrogarsi poteri supplementari.

La libertà di stabilimento e di circolazione dei servizi compare nei Trattati sin dal 1957. Essa è addirittura eretta al rango delle «libertà fondamentali» dell’Unione europea –  faccio riferimento all’Articolo 4 della Costituzione sottoposta a ratifica. Questa consacrazione non priva il legislatore della sua piena libertà di applicare tali principi.

Bisogna forse ricordare a dei legislatori che è la legge che afferma il diritto? Il magistrato lo applica. Tutto qui. Questo è il fondamento della democrazia nella stragrande maggioranza dei paesi europei. Noi non abbiamo scelto il governo dei giudici. Non è il nostro modello di società. La Commissione europea non è autorizzata ad imporcelo.

a.4

La messa in discussione della democrazia locale e regionale 

In una nota di presentazione di un rapporto che è all’origine della proposta di Direttiva (documento Ip. 02.1180 del 31 luglio 2002), tra gli ostacoli che penalizzerebbero i servizi, si cita «il potere discrezionale delle autorità locali». Questa aggressione nei confronti dei poteri locali – i più democratici, i più vicini alla gente – da parte di una Commissione europea, la cui legittimità democratica è più che dubbia, è assolutamente intollerabile. Ed è proprio così che la vede il Consiglio comunale di Bruxelles, giacché, il 21 giugno di quest’anno, ha adottato all’unanimità, con il coinvolgimento di tutte le tendenze politiche, una risoluzione che afferma la sua «totale opposizione» a questa Direttiva che, a suo avviso, costituisce «un attacco frontale ai servizi pubblici locali». Come ha affermato qualche giorno fa W. Taminiaux, presidente dell’Union des Villes et Communes de Wallonie (Unione delle città e dei Comuni valloni), «il servizio pubblico comunale rappresenta uno dei pilastri della tradizione europea comune». Attaccare i servizi pubblici comunali, come fa la proposta di Direttiva, vuol dire attaccare la democrazia locale e la capacità operativa delle autorità locali.

In diversi Stati membri (Art. 82 della Legge fondamentale tedesca, Art. 162 della Costituzione belga, Art. 72 della Costituzione francese), la Costituzione consacra l’autonomia comunale e garantisce agli enti territoriali la libertà di gestire i propri problemi. La Direttiva Bolkestein ignora queste realtà.

Allo stesso modo, la proposta di Direttiva ignora le realtà costituzionali di diversi Stati membri e, così facendo, intende modificarle. L’Unione europea è composta da un certo numero di Stati – penso in particolare alla Germania, all’Austria, al Belgio, alla Gran Bretagna – che conferiscono alle Regioni poteri legislativi e di regolamentazione nei settori interessati dalla Direttiva proposta. Essa semplicemente ignora queste realtà costituzionali e pretende così di non tenere conto della forma di governo che questi paesi hanno democraticamente scelto. Col pretesto della semplificazione amministrativa, la Direttiva sopprime elementi importanti di questa autonomia regionale. Essa, infatti, non permetterà più alle Regioni di esercitarla in un certo numero di ambiti legati al rilascio dell’autorizzazione.

Al riguardo, desidero evidenziare che l’assemblea rappresentativa degli Stati federati tedeschi, il Bundesrat, ha appena affermato che le disposizioni relative ai servizi pubblici sono di competenza degli Stati membri e che si opporrà a ogni tentativo di rimettere in discussione questo principio. Ritiene che l’attuale possibilità di fornire servizi concessa agli enti locali non possa essere toccata dalla Direttiva proposta.

Bisogna aggiungere che la proposta di Direttiva concede alla Commissione un potere di controllo su ogni decisione degli Stati e delle autorità locali (Art. 15), dal momento che questi ultimi hanno a disposizione tre mesi per sottoporre alla Commissione le disposizioni legislative, amministrative e di regolamentazione che potrebbero prendere e che potrebbero interessare la libertà di stabilimento e circolazione dei servizi. Questa disposizione viola il principio di sussidiarietà contenuto nei trattati.

Senza rafforzare in alcun modo un’armonizzazione fortemente necessaria sul piano fiscale, sociale e ambientale, questa Direttiva rafforza un centralismo tecnocratico europeo che riduce la capacità di azione delle istituzioni più democratiche e più vicine alla gente.

 

a.5

La messa in discussione della Direttiva sul distacco dei lavoratori 

L’Articolo 16 crea un’innovazione giuridica di assoluta importanza: il principio del paese di origine. Un altro relatore ha appena mostrato i pericoli di questa innovazione, della quale si coglie bene tutto il vantaggio che possono trarne i datori di lavoro mentre le disparità create dall’allargamento dell’Unione sono evidenti in campo fiscale, sociale ed ambientale. Come dichiarava un responsabile sindacale, questo principio consacra la «legalizzazione di una bandiera di comodo per i datori di lavoro».

La Commissione si difende affermando che la sua proposta non modifica in alcun modo la Direttiva 96/71/Ec sul distacco dei lavoratori. Gli Stati conservano il diritto di effettuare ispezioni e realizzare controlli per verificare il rispetto delle norme relative all’assunzione e alle condizioni di lavoro. Tuttavia, nello stesso tempo, la Direttiva proposta (Art. 24) vieta alle autorità del paese in cui il personale è distaccato di esigere dal datore di lavoro e dal suo personale distaccato di sottoporre le proprie attività ad autorizzazione e registrazione, di disporre di un rappresentante sul suo territorio e di mettere i documenti sociali a disposizione delle autorità del paese di distacco.

Inoltre, invece di proporre un’armonizzazione in materia di norme di qualità, di difesa dell’ordine pubblico, di formazione professionale minima, di criteri di qualifica professionale e di meccanismi di controllo, la Direttiva finisce per non garantire l’attuazione di un sistema effettivo ed efficace di cooperazione amministrativa tra lo Stato d’origine e lo Stato di distacco.

Infine (Art. 25), quando il personale distaccato proviene da uno paese terzo, la Direttiva vieta allo Stato di distacco di sottoporre il datore di lavoro e il suo personale a controlli preventivi, in particolare in merito a documenti di ingresso e di soggiorno, permessi di lavoro; essa vieta inoltre allo Stato di distacco di imporre un contratto di lavoro a tempo indeterminato o di fornire la prova di un impiego precedente nello Stato di origine del datore di lavoro. Solamente l’obbligo di un visto di breve durata nei confronti di cittadini provenienti da paesi terzi che non sono assimilati ai paesi della zona Schengen non è messo in discussione. Con queste premesse saranno così in realtà vanificati tutti gli sforzi fatti per combattere il traffico di esseri umani, il lavoro clandestino e le nuove forme di schiavitù.

Pertanto, la Direttiva proposta rende inapplicabile la Direttiva sul distacco dei lavoratori e mette decisamente fine al potere degli Stati membri di verificare, e quindi garantire, il rispetto delle legislazioni e delle regolamentazioni intese a tutelare i lavoratori contro le diverse forme di abuso che possano essere messe in atto da parte dei datori di lavoro.
 

a.6

La messa in discussione della protezione sociale 

Nella sua esposizione dei motivi, la Direttiva afferma (Punto 16) che essa non copre «le attività svolte dallo Stato senza corrispettivo economico nell’esercizio delle sue funzioni in ambito sociale, culturale, educativo e giudiziario». Formulazione ambigua, che non lascia intendere se essa protegga o meno il sistema di previdenza sociale in vigore nei diversi Stati, dal momento che la proposta non esclude esplicitamente dal suo campo di applicazione né il settore sanitario, né la previdenza sociale (Art. 2), mentre l’organizzazione del settore della sanità pubblica è una materia che rimane di competenza degli Stati membri (Art. 152 del Trattato dell’Unione).

Invocando ancora una volta la giurisprudenza della Corte di Giustizia, la Direttiva pretende di elaborare «una concezione comune dei modi in cui il mercato interno può sostenere i sistemi sanitari nazionali» e mette in discussione (Art. 23) i criteri imposti negli Stati per l’assunzione degli oneri finanziari delle cure ospedaliere e non ospedaliere. In questo modo, la Direttiva provoca la deregolamentazione e la privatizzazione dei servizi sanitari e riduce il rapporto tra il paziente e coloro che lo curano a un semplice rapporto cliente-fornitore. Infatti, la Direttiva intende eliminare gli strumenti che permettono di pianificare l’offerta, fissare i prezzi, regolamentare l’accesso alle professioni del settore sanitario, l’apertura o l’installazione di strutture sanitarie ed evitare la commercializzazione dell’offerta. Ora, gli Stati hanno bisogno di questi strumenti per regolare la qualità, l’accessibilità per tutti e la sostenibilità del sistema delle cure sanitarie.

Le esigenze in materia di limiti quantitativi o territoriali, di forma giuridica imposta al prestatario, del minimo di personale richiesto, di tariffe obbligatorie minime o massime sono i pilastri fondamentali della maggior parte dei sistemi sanitari nazionali. Sono proprio queste esigenze che le disposizioni orizzontali della Direttiva vogliono vietare.

Da questa Direttiva risulta che la Commissione si arroga poteri di regolamentazione dei sistemi di previdenza sociale e va ben oltre le responsabilità affidatele dai trattati. Non c’è da stupirsi se diversi governi hanno espressamente chiesto che la sanità sia tolta dal campo di applicazione di questa Direttiva. 

 

B. Il concetto di servizio pubblico 

Utilizzando l’espressione ‘servizio pubblico’, sono assolutamente consapevole di non esprimermi nel linguaggio convenzionale della Commissione europea che, appellandosi a una sorta di principio ideologico, ha bandito questi termini. Lo faccio a proposito e in modo assolutamente legittimo, poiché, finora, nessuna decisione presa in virtù delle regole della democrazia ha messo fine a ciò che, in diversi paesi e in particolare nei sei paesi fondatori, si è soliti definire servizi pubblici.

Il principio su cui si fonda il servizio pubblico è l’uguaglianza di tutti nell’esercizio di un certo numero di diritti fondamentali. Per garantire l’effettività di tali diritti, le autorità devono disporre di strumenti che non siano limitati da considerazioni di redditività, ma piuttosto dalla preoccupazione per il servizio reso, vale a dire per il diritto effettivamente esercitato.

Solamente le autorità pubbliche, nate da suffragio universale, possono pretendere di rappresentare l’interesse generale e sono pertanto investite del dovere di soddisfarlo. Il mercato, spinto esclusivamente dalla ricerca della redditività e del profitto, non ne è capace. Ci si trova di fronte a una vera e propria scelta di società. Le autorità, a tutti i livelli, possono continuare in Europa, come fanno da decenni, a esercitare una funzione operativa o devono limitarsi, come sembra volere la commissione europea, a svolgere un ruolo regolatore minimo?

Tra la drastica riduzione del ruolo dei servizi pubblici, sottoposti alle norme della concorrenza, da una parte, e, dall’altra, la creazione di un quadro giuridico europeo di base per i servizi pubblici, la Commissione europea tenta d’imporre una scelta senza che vi sia stato alcun dibattito democratico, né al livello nazionale, né al livello europeo. Questa è la scelta di coloro che pretendono che l’interesse generale scaturisca spontaneamente dal libero gioco della concorrenza. Tuttavia, questa affermazione è smentita dai fatti. L’economia di mercato non garantisce né l’uguaglianza dei diritti, né la parità di accesso e di trattamento, né la coesione sociale.

Ci si trova di fronte a due obiettivi: da una parte la costruzione di un mercato europeo aperto che intende sottoporre le attività di pubblico servizio alla libera concorrenza e, dall’altra, il mantenimento di servizi pubblici il cui costo è sostenuto dalla collettività al fine di permettere a tutti di accedervi. Questi due obiettivi sono compatibili?

La Direttiva Bolkestein risponde negativamente. La Commissione presenta questa proposta di Direttiva sulla liberalizzazione dei servizi senza aver presentato una Direttiva sui servizi d’interesse generale. Per questi ultimi, essa si è accontentata di un Libro bianco (Com. 2004) 374 fin – 12 maggio 2004) che è solo letteratura. Mentre quest’ultimo afferma (p. 4) «la necessità di garantire una combinazione armoniosa di meccanismi di mercato e funzioni di servizio pubblico», la Direttiva presentata al Parlamento europeo sottopone le funzioni di servizio pubblico ai rischi del mercato.

In questo stesso Libro bianco (p. 12), la Commissione considera che una Direttiva quadro sui servizi d’interesse generale non sia opportuna e che non convenga creare, per il momento, un quadro orizzontale nel diritto europeo su tale questione. Allo stesso tempo, la Commissione sottopone al vostro Parlamento un quadro orizzontale sulla liberalizzazione dei servizi.

Da una parte, in un documento che non ha portata giuridica, si afferma che «i servizi d’interesse generale rimangono essenziali per garantire la coesione sociale e territoriale» e che essi costituiscono «una componente essenziale della cittadinanza europea» (p. 4), dall’altra, in una Direttiva che diventerà legge comune, si propone di eliminare gli ostacoli alla libera concorrenza in una Direttiva quadro orizzontale che dà dei servizi una definizione estremamente generale senza scartare assolutamente i servizi pubblici.

La Direttiva abbraccia tutti i servizi considerati economici dalla Corte di Giustizia: «sono considerati servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci‚ dei capitali e delle persone». Solamente i servizi forniti gratuitamente dalle autorità nazionali o locali non sono contemplati. Definire i servizi sulla base della contropartita economica significa optare decisamente per una concezione mercantile dei servizi che nega il principio di uguaglianza dei diritti.

Se la proposta afferma che «la Direttiva non compromette la libertà degli Stati membri di definire quali essi ritengano essere servizi di interesse generale e le modalità del loro funzionamento», la lunga enumerazione fornita dalla Direttiva (Artt. 9-15 e 20-23) degli ostacoli esplicitamente citati in materia di regimi di autorizzazione e di esigenze formulate dalle autorità, così come le disposizioni relative al principio del paese di origine (Artt. 16-19) eliminano la libertà delle autorità stesse di svolgere le loro funzioni di regolazione e controllo indispensabili per la tutela dell’interesse generale e di sostenere i costi del servizio pubblico.

Infine, se soddisfare l’interesse generale è un obiettivo che le istituzioni europee non hanno finora messo formalmente in discussione, la proposta di Direttiva (Art. 9) subordina l’interesse generale a criteri imperativi che hanno come conseguenza che l’interesse generale non è più una condizione sufficiente.

Una conclusione si impone: l’adozione della Direttiva Bolkestein mette fine al dibattito sui servizi pubblici prima ancora che esso abbia inizio. E non sarà la Costituzione sottoposta a ratifica a cambiare questo stato di cose, dal momento che essa non consacra né l’esistenza dei servizi pubblici, né quella dei servizi di interesse generale. Essa, infatti, riconosce solamente i servizi d’interesse economico generale, la cui esistenza è condizionata dalla debolezza del mercato e dal rispetto delle norme sulla concorrenza. L’Allegato 1 del Libro bianco fornisce un interessante chiarimento su questo punto: le espressioni ‘servizio d’interesse generale’ e ‘servizio d’interesse economico generale’ non devono essere confuse con il termine ‘servizio pubblico’ (p. 23).

Il processo in corso, combinando l’attuazione dell’Agcs, l’adozione della Direttiva Bolkestein e la ratifica della Costituzione europea, segna la fine dei servizi pubblici e di un modello di società.

 

C. Eliminare gli effetti distruttivi della proposta 

La preoccupazione per l’interesse generale dovrebbe determinare il rinvio di questa proposta per renderla conforme all’obiettivo di una società europea costruita al tempo stesso sulla libertà e sulla solidarietà. Abbiamo bisogno di testi equilibrati, non di strumenti al servizio di un’ideologia.

Tuttavia, il Parlamento europeo, che rappresenta appena il 40% degli elettori iscritti, è dominato da coloro che hanno scelto di togliere alle autorità ogni funzione operativa e di redistribuzione. Il rifiuto puro e semplice sembra pertanto escluso.

Non potendo respingere questo testo, bisogna allora prevedere di emendarlo, nella speranza che emerga una maggioranza parlamentare che trasformi questo testo distruttivo in un documento che contenga i valori dell’Europa, dando per scontato che la Commissione e il Consiglio dei ministri non si opporranno.

Non mi soffermerò ad analizzare, in modo sistematico, ciascun articolo. Non è mio compito. Desidero indicare cinque modifiche che mi sembrano indispensabili e che sono conseguenti rispetto alle osservazioni da me appena formulate.

È necessario che la presenta Direttiva si inserisca in una politica globale dei servizi e sia dunque subordinata alla Direttiva che la Commissione si è finora rifiutata di presentare, a dispetto delle ripetute richieste da parte delle autorità politiche dell’Unione. Il mio suggerimento consiste nell’indicare che questa Direttiva sarà emendata non appena il Consiglio e il Parlamento adotteranno una Direttiva che riconosce il diritto delle autorità locali, regionali e nazionali, di prestare un certo numero di servizi non soggetti alle leggi della concorrenza.

Per il momento, è opportuno affermare, quale scelta fondamentale della società, che l’insegnamento non è un’attività commerciale e che non è interessato dalla presente Direttiva.

Così come la proposta Bolkestein non si applica ai servizi finanziari, ai trasporti e alle comunicazioni elettroniche dal momento che sono oggetto di strumenti comunitari specifici, la sanità, i servizi sociali sanitari e la politica di copertura delle cure sanitarie devono essere tolti dalla Direttiva sottoposta al vostro esame per essere trattati in uno strumento distinto, nel quale bisognerà ottenere – al fine di raggiungere un minimo di convergenza – una concertazione rafforzata su molteplici aspetti dei sistemi sanitari al livello europeo, in particolare sui sistemi di conventionnement (accordi tra medici ed enti assistenziali statali) e di fissazione dei prezzi, norme di qualità, procedimenti di accreditamento, contenuto delle cure necessarie.

Al fine di impedire ogni forma di dumping fiscale, sociale e ambientale, il principio del paese di origine sarà applicato in modo progressivo, a partire dal quinto anno dall’entrata in vigore della presente Direttiva. Questa applicazione dovrà essere parallela alla progressione del grado di armonizzazione che si sia nel frattempo verificato.

È necessario eliminare dalla proposta Bolkestein le disposizioni che rendono inefficace la Direttiva 97/71 sul distacco dei lavoratori.

 


 NOTE JENNAR

 

* Pubblichiamo il testo pronunciato da Raoul Marc Jennar nell’audizione presso la Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori del Parlamento europeo (11 novembre 2004) a proposito della Proposta di Direttiva relativa ai servizi nel mercato interno. Raoul Marc Jennar è dottore in Scienze politiche, ricercatore presso l’Oxfam-Solidarité (Belgio)e l’Urfig (Unità di ricerca, formazione e informazione sulla globalizzazione - Francia).

1 Accordo generale sul commercio dei servizi (NdR).