LIBERALIZZAZIONE DEI SERVIZI IN EUROPA

Incontro confronto del PSE sulla direttiva Bolkestein

19 Gennaio 2005

Bruxelles, Parlamento Europeo

 

 

La Delegazione italiana del Partito socialista europeo ha organizzato un incontro, mercoledí 19 gennaio 2005, al quale hanno partecipato numerosi interlocutori istituzionali, rappresentanti di organizzazioni politiche e sociali.

L'incontro è stato introdotto da Nicola Zingaretti, presidente della Delegazione, il quale ha confermato che l'iniziativa fa parte di una strategia di comunicazione e di rapporti sui principali temi della politica e della legislazione europea.

 

La relazione è stata svolta da Antonio Panzeri il quale ha riassunto i punti principali della direttiva sui servizi che è al centro di un confronto molto acceso. Il tema è giudicato "rilevante" sia a livello europeo che nazionale non foss'altro perchè il mercato dei servizi rappresenta almeno il 50% del prodotto interno dell'Unione. In ogni caso, ha fatto notare, la nuova legislazione avrà un impatto rilevante su una vasta gamma di servizi, specie in quelli di natura transfrontaliera e interverrà sulla qualità della vita dei consumatori. E, potenziando il mercato interno, dovrebbe avere un forte impatto sull'occupazione, nel quadro degli obiettivi della strategia di Lisbona sull'Europa competitiva. Panzeri ha messo in evidenza anche le ombre lunghe che si stagliano sulla proposta di direttiva sino a mettere a rischio il modello sociale europeo.

 

In primo piano, c'è il rischio che la direttiva finisca con dare un colpo serio ai servizi d'interesse generale che, peraltro, attendono da tempo un'iniziativa della Commissione. Inoltre sono sotto forte osservazione i due strumenti che la direttiva si propone di attuare per affermare la liberazione dei servizi nel mercato interno: il principio del paese d'origine e le nuove regole sul "distacco dei lavoratori". Panzeri ha ricordato che la direttiva potrebbe creare un quadro di incertezze legali e, presentando un campo di applicazione molto vasto, potrebbe sconfinare nel delicato campo dei servizi d'interesse generale. In definitiva, la direttiva va profondamente modificata. "Ci vuole - ha detto Panzeri - uno strumento più equilibrato che serva al mercato interno e nello stesso tempo difenda i diritti dei lavoratori".

 

Nel dibattito, che avrà in futuro altre occasioni di approfondimento, sono intervenuti Susanna Florio (Cgil, Comitato economico e sociale), la quale ha ricordato la posizione fortemente critica del sindacato e la posizione assunta con un documento del direttivo nazionale: "Siamo per la strategia di Lisbona e a favore della libera circolazione dei servizi. Ma la direttiva Bolkestein non potrà cancellare gli obiettivi di Lisbona inneggiando esclusivamente alla cosiddetta competitività". Mario Sepi della Cisl ha reso noto che la sua organizzazione ha votato, a maggioranza, per una riscrittura della direttiva europea sui servizi. Giovanni Berlinguer, relatore "ombra" nella commissione Cultura, ha sottolineato il carattere "ideologico" della direttiva e i rischi di un "dumping non solo sociale ma anche giuridico". Si rischia, ha detto, la certificazione di una sorta di "caporalato universale". Josef Niemec (CES- Confederazione europea dei sindacati) ha detto che l'Europa sociale corre un serio pericolo e ha sostenuto che, nella critica alla direttiva, ci sono posizioni comuni anche con parti delle organizzazioni imprenditoriali.

 

Paolo Nicoletti (Confindustria Bruxelles) ha difeso le ragioni della direttiva che, sintetizzando, è foriera di occupazione. Ma ha osservato che il giusto confronto di idee puó condurre a quelle modifiche che, alla fine, possano consentire il varo di uno strumento che apra una nuova breccia nel mercato interno dell'Unione ancora troppo vincolato. Edgardo Iozia (Uil) ha marcato l'esigenza di difendere il modello sociale europeo e ha riferito di una posizione dell'attuale presidente di turno Ue, il premier lussemburghese Jean-Claude Juncker, il quale avrebbe detto chiaramente di volersi opporre a qualunque tentativo di attentare alle regole del modello sociale europeo. L'on. Anne Van Lancker, relatrice nella commissione Affari sociali, ha invitato ad una "presa di coscienza" del problema perchè si tratta di una materia non facile dal punto di vista della comunicazione. La parlamentare ha messo l'accento sulla necessità di emendare il provvedimento, nel pieno rispetto dei Trattati e dello spirito della strategia di Lisbona. Tre i punti su cui intervenire: il principio del paese d'origine, il campo di applicazione e la legislazione sociale. A proposito della liberalizzazione ha affermato: "Quando si apre il mercato al privato non bisogna mai dimenticare che il settore pubblico deve sempre mantenere il potere di fare le regole".

 

Nelle conclusioni, Pierluigi Bersani, ha riaffermato una posizione favorevole a fare del tema dei servizi un'occasione di rinnovato slancio per l'economia europea. E "non sfugge - ha aggiunto - la necessità di innescare importanti meccanismi a favore della crescita". Ma la liberalizzazione, ha avvertito, è anche capacità e forza politica di evitare l'affermazione di pericolose forme di "dumping" proprio perchè il "cuore delle possibilità competitive sta nel non favorire fenomeni di questo tipo". Bersani ha sostenuto che è necessario trovare una "strada ragionevole" tra le diverse posizioni. Di certo, la direttiva non dovrà in alcun modo comprendere servizi di interesse generale come la sanità, l'istruzione e la sicurezza. Per Bersani esiste anche il pericolo che la direttiva cosí com'è blocchi i processi di privatizzazione in atto invece che favorirli. In conclusione, ha suggerito, di procedere in Parlamento, in occasione della prima lettura, con interventi fortemente emendativi del testo della direttiva.

 

BOLKESTEIN, CHE FARE?
Relazione di Antonio Panzeri, sulle problematiche aperte dalla Direttiva Bolkestein, tenuta al seminario della delegazione italiana

 

Il tema dei servizi nel mercato interno, come si può comprendere, è di una certa rilevanza sia a livello europeo sia a livello nazionale. Lo dicono le stesse cifre.

La direttiva riguarda un settore che rappresenta il 50% dei servizi ad interesse economico ed il 70% del prodotto nazionale lordo europeo e dunque un settore che può fornire un formidabile contributo alla strategia di Lisbona.

La società dell’informazione ha messo in moto una nuova dinamica dei servizi, riducendo i costi della trasmissione e dell’acquisizione dell’informazione ed accelerando la velocità di diffusione dell’innovazione oltre le frontiere nazionali.

Si sono notevolmente ampliate nel mercato interno le potenzialità di domanda e offerta transfrontaliere di servizi.

Creare migliori condizioni per la libera circolazione dei servizi equivale a dare impulso alla dinamica insita nel mercato interno e quindi rafforzare la competitività, la crescita e la creazione dell’occupazione nell’economia europea.

In noi c’è una adeguata consapevolezza che la competitività delle imprese dipende in maniera sempre maggiore dalla corretta progettazione, gestione e integrazione dei servizi nella conduzione e nelle vendite.

Numerose imprese del settore manifatturiero offrono già da tempo servizi accanto alle merci, al fine di creare valore aggiunto e di distinguersi dai concorrenti.

La capacità di fornire servizi in modo efficiente è pertanto divenuta un fattore fondamentale nella concorrenza, data l’importanza che i servizi rivestono nel bilancio delle famiglie, la disponibilità di servizi efficaci e di elevata qualità influenza inevitabilmente la qualità della vita dei cittadini europei.

In questo quadro si pone dunque l’esigenza di rimuovere gli ostacoli ingiustificati ed evitabili all’acquisto o alla vendita di servizi al di là delle frontiere nazionali.

Se questo è un obiettivo sul quale non si può non convenire è giusto porsi l’interrogativo se il progetto di direttiva in questione va o meno nella giusta direzione. La risposta è che questo progetto non è coerente con tale obiettivo.

Non intendo fare la genesi, in questa sede, della direttiva e per il carattere della riunione nemmeno passare in rassegna tutti gli articoli della proposta.

Ricordo solo che l’obiettivo della proposta è di creare un quadro giuridico per eliminare le barriere esistenti alla libertà di stabilimento per i fornitori di servizi ed alla libera circolazione dei servizi tra gli stati membri.

C’è da dire innanzitutto una cosa: considerando l’ampio campo di applicazione del progetto di direttiva, essa con ogni probabilità avrà impatto sostanziale su molte aree di servizi in Europa.

Per eliminare gli ostacoli al mercato interno dei servizi, la proposta introduce una vasta gamma di misure. Tra queste vi è il principio del paese d’origine secondo il quale un fornitore di servizi è soggetto soltanto alla legge del paese nel quale ha sede legale e gli altri Stati membri non possono limitare i servizi di un fornitore stabilito in un altro Stato membro.

La direttiva salvaguarda il diritto dei destinatari di utilizzare i servizi di altri Stati membri proibendo le misure restrittive imposte dal loro paese e fornendo un meccanismo di assistenza ai destinatari.

Misure particolari, poi si applicano alle ipotesi di oneri finanziari delle cure sanitarie e nel caso di distacco dei lavoratori. Insomma una serie di interventi che riguardano una pluralità di servizi nel campo dell’ambiente, della cultura e dell’insegnamento, della sanità, dei trasporti,delle professioni e così via.

Interventi che cambiano drasticamente il quadro di riferimento nel mercato interno e pongono a noi enormi interrogativi.

Ecco qui, molto sintetizzata, la proposta di direttiva e gli obiettivi che si pone.

Una direttiva vasta e complessa, che tocca un settore molto importante dal punto di vista occupazionale, e importante anche perché i servizi sono oggi essenziali per la performance dell’economia europea, così come per il benessere dei cittadini.

Ma proprio questa considerazione mi porta ad affermare che lo sviluppo del mercato interno deve essere accompagnato da un adeguato rafforzamento della protezione sociale, dei diritti dei lavoratori e delle condizioni di lavoro, in equilibrio con i diritti dei consumatori, al fine di mantenere la coesione sociale dell’Unione europea.

Un’affermazione che parte dalla consapevolezza che occorre riconoscere l’importanza potenziale di crescita in termini di occupazione ed economici di questi settori, in particolare sui nuovi Stati membri, che potrebbe contribuire alla strategia di Lisbona, ma che tiene anche conto della crescente pratica di esternalizzazioni di servizi da parte di alcune aziende, in particolare aziende manifatturiere, e delle loro conseguenze negativa sulla contrattazione collettiva e sull’intensificazione del lavoro.

Quindi mentre possiamo dire che in termini generali non si può non essere favorevoli a misure che puntano a migliorare il funzionamento del mercato interno alla libera circolazione dei servizi e che sono nell’interesse dei lavoratori, delle aziende e dei consumatori non possiamo non essere preoccupati circa una serie di interventi, ipotizzati dalla direttiva, che in realtà vanno in tutt’altra direzione e pongono le basi per un processo di vera e propria destrutturazione di questo mercato.

Soffermiamoci un attimo su una delle caratteristiche fondamentali del progetto di direttiva che riguarda l’introduzione del principio del paese d’origine.

Il progetto dichiara che per rendere operativo tale principio è necessaria una fiducia reciproca tra gli Stati membri.

Tuttavia la proposta attuale non garantisce un grado sufficiente di fiducia reciproca fra gli Stati. Per questo risulterà necessaria un’ulteriore armonizzazione a livello europeo al fine di stabilire norme minime sulla qualità, sulla protezione dell’ordine pubblico e sulle esigenze di formazione professionale e di qualifica delle professioni.

Nel contempo sono necessari meccanismi armonizzati per sorvegliare tali norme minime e per assicurare un controllo rapito ed efficiente.

Perché affermo questo?

Perché la mancanza di meccanismi sufficientemente armonizzati comporterà il rischio che i servizi nazionali di ispezione dello stato membro ospite siano complessivamente messi da parte dal principio del paese d’origine.

È il caso del disposto ad esempio dell’articolo 24 relativo al distacco dei lavoratori. L’articolo 24 riconosce la responsabilità dello Stato ospite di assicurare le conformità con le condizioni di occupazione e di lavoro ai sensi della direttiva 96/71. ma proibisce allo Stato ospite di sottoporre ad alcuni obblighi i fornitori di servizi, quali l’obbligo di ottenere un’autorizzazione dalle autorità competenti o l’obbligo di possedere e di conservare i documenti sociali sul suo territorio.

Nel contempo essa rinvia in termini molto generali ad un sistema di comunicazione, di informazioni e di assistenza del paese d’origine allo stato ospite (art. 24 paragrafo 2).

Tuttavia il testo di questa disposizione non chiarisce come e quando il Paese d’origine deve comunicare che le informazioni del Paese d’origine corrispondano alle condizioni di occupazione e di lavoro dello stato ospite.

Questa modalità del procedere produce una serie di conseguenze 

a)interne, ai singoli paesi di una probabile destrutturazione del mercato del lavoro e dei diritti.

b)in generale il fatto che il rischio di concorrenza abusiva diventa reale in ambiti non armonizzati a livello europeo, con conseguenze economiche e sociali negative in diversi settori, come è accaduto nel trasporto marittimo, a seguito delle scelte di “bandiere di comodo”.

Infatti questo tipo di misure incoraggerebbero i fornitori di servizi a spostare le proprie sedi legali in quegli Stati membri in cui gli obblighi in materia fiscale, sociale e ambientale fossero meno impegnativi e consolidati.

Inoltre, le disposizioni di questa proposta di direttiva sembrano andare contro non solo l’articolo 50 del Trattato che afferma che il fornitore può esercitare a titolo temporaneo la propria attività, ma anche contro l’articolo 2 dello stesso trattato il quale precisa che la comunità ha per missione quella di promuovere un elevato livello di protezione sociale e in contraddizione con la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea che riconosce il diritto degli Stati membri di adottare misure restrittive per ragioni di interesse generale.

Fin qui dunque gli obiettivi della direttiva e le forti criticità che in esse sono contenute.

Criticità che ci fanno esprimere fortissime obiezioni sui punti qui messi sotto osservazione. D’altro canto  come non sottolineare una evidente contraddizione che non può sfuggire alla Commissione europea.

La direttiva nasce con l’idea di fornire una certezza del diritto, ma in realtà creerà una incertezza legale sia per i fornitori che per i destinatari dei servizi.

Per questo la direttiva va assolutamente cambiata in profondità. Così, tra l’altro, come richiesto dal documento di lavoro della Commissione ambiente, da quello dell’On. Evelyne Ghebardt, in commissione mercato interno e da quello redatto da Anne Van Lancker.

Ipotizzo una serie di interventi necessari a correggere la proposta di direttiva:

1.il campo di applicazione del progetto di direttiva è molto ampio. È mia convinzione che i Servizi di interesse generale (SIG) siano molto importanti per lo sviluppo del modello sociale europeo in termini di pari opportunità per i cittadini, per la coesione sociale e per attuare la strategia di Lisbona. Paradossalmente la Commissione che non ha voluto o saputo fare una direttiva quadro sui servizi di interesse generale ora appare in grado di redigere una direttiva di ampio respiro e di grandissima portata per il mercato interno.

Per questo in assenza di una definizione chiara dei servizi di interesse generale questo progetto appare prematuro e rischia di ostacolare seriamente il funzionamento dei servizi in quei Paesi dove sono più sviluppati.

Infatti le disposizioni di questo progetto orizzontale non considerano le caratteristiche tipiche di certi servizi, come i servizi sanitari, i servizi sociali e i servizi del mercato del lavoro.

Tali disposizioni come abbiamo visto possono portare, senza nessuna forma di armonizzazione e di coordinamento, alla deregolamentazione dei mercati nazionali governati da disposizioni nazionali che includono requisiti di qualità .

Per esempio il testo del progetto non contiene sufficienti garanzie per la salvaguardia del diritto di gestione dei sistemi di sicurezza sociale, quali i sistemi sanitari ed i sistemi di assistenza sociale.

I servizi nel settore dei trasporti sono esenti dal progetto, ma secondo il testo della direttiva, esso copre ancora una vasta gamma di attività di questo settore, quali il trasporto nazionale di persone, trasposto pubblico regionale e locale ed i servizi portuali.

Se cosi stanno le cose noi abbiamo bisogno di restringere il campo di applicazione e l’esclusione di questi servizi dal progetto porterebbe la stessa Direttiva più vicino agli impegni della Commissione esposti nel suo libro bianco sui servizi di interesse generale.

2.     il secondo punto riguarda il fatto che vi è un’assenza di coordinamento tra direttiva e altre iniziative comunitarie.

Da un lato il progetto copre parzialmente ed entra in conflitto con le disposizioni e gli strumenti comunitari esistenti (Direttiva 96 sul distacco; regolamento 1408 relativo alle applicazioni dei regimi di sicurezza sociale), dall’altro anticipa una serie di iniziative comunitarie future, come il tema della mobilità dei pazienti e dei sistemi sanitari nella U.E., il libro bianco sui SIG, la comunicazione della Commissione sulla proposta di direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali, la proposta di direttiva sui lavoratori temporanei, la richiesta di conversione in strumento comunitario del libro verde (Roma I), e del progetto di regolamento Roma II (sui conflitti di legge).

Per questo c’è bisogno di un quadro legislativo e normativo che fornisca coerenza all’azione Comunitaria e stabilisca il coordinamento necessario, che oggi non sono garantiti con questo progetto.

3.il terzo punto riguarda il principio del paese d’origine e l’armonizzazione minima.

Le disposizioni del progetto non stabiliscono un livello sufficiente di fiducia reciproca fra gli Stati, necessario per l’applicazione di tale principio. Si rendono perciò necessarie ulteriori armonizzazioni in materia di norme minime di qualità, di protezione dell’ordine pubblico, di requisiti minimi di formazione e qualifiche professionali, di meccanismi di controllo.

La direttiva non contiene un livello accettabile di armonizzazione sufficiente a sostituire le disposizioni del Trattato CEE.

In assenza di una ulteriore armonizzazione a livello europeo, si verifica così una “tensione legale” tra il progetto di direttiva e le disposizioni del Trattato sulla libera circolazione dei servizi.

Per questo appare necessario procedere con la pratica dell’armonizzazione e solo dopo aver avviato tale processo discutere per quali servizi adottare il principio del paese d’origine.

4.il quarto punto riguarda il distacco dei lavoratori.

Come già detto il principio del paese d’origine non si applica alle materie disciplinate dalla direttiva 96/71, così recita la Direttiva.

Tuttavia nello stesso tempo proibisce di rendere i fornitori di servizi soggetti a determinati obblighi (autorizzazione, registrazione, dichiarazione e così via).

Inoltre introduce un sistema di comunicazione e di assistenza che manca di garanzie per organizzare un sistema efficace ed efficiente di cooperazione amministrativa tra gli stati. Il punto vero è che il progetto in sostanza renderà l’ispezione condotta dallo Stato membro inoperante, rendendo inefficace la direttiva 96/71.

Ciò non va bene! Tra l’atro questo è un tema sul quale convergono le posizioni di tutte le parti sociali (imprese e sindacato)

Per ciò è utile chiedere di non procedere ad integrazioni della 96/71 lasciandola inalterata, e semmai ponendosi il problema di migliorarla non invece di renderla inefficace come avviene con la Direttiva.

Riferendoci, poi, ai temi del mercato del lavoro, sarebbe utile giungere all’adozione di una direttiva sul lavoro interinale e alla ratifica della Convenzione 181 dell’OIL sulle agenzie di lavoro private.

In questo modo, si svilupperebbe un quadro generale di tutela che permetterebbe di disporre di una base appropriata per discutere delle future tappe verso la liberalizzazione dei sevizi.

5.infine un ultimo punto che riguarda il ruolo dei livelli regionali.

In molti Stati membri ( ad es. Germania, Gran Bretagna, Belgio, Spagna e Austria) le Costituzioni autorizzano le regioni a prendere misure legislative in settori di attività coperti dal progetto.

Qui il livello regionale è completamente trascurato e sono escluse le regioni da tale processo.

La partecipazione invece dei contesti regionali al processo di costruzione europea è essenziale.

 

Sono convinto che se accolte queste osservazioni e inserite nel progetto di direttiva, ci consentiranno di avere uno strumento comunitario più equilibrato che sia in grado di sostenere un crescente scambio tranfronatliero di servizi e di stimolare crescita economica e lavoro sostenibile. Rispettando le competenze regolatrici degli Stati membri in settori quali la sanità, la sicurezza sociale e la cultura non mettendo in pericolo la sanità pubblica, la pubblica sicurezza, l’applicazione delle condizioni di lavoro e le norme di tutela dei consumatori all’interno dell’Unione europea.

Tra l’altro in una fase difficile e complessa come quella che stiamo attraversando che è caratterizzata, dopo l’avvio del processo Costituzionale da un faticoso, ma indispensabile lavoro di costruzione europea, noi abbiamo bisogno di mostrare il volto di un’Europa che nell’ambito della strategia di Lisbona basi la sua politica di competitività su un’idea di prosperità diffusa e di coesione sociale.

Abbiamo letto, nei giorni scorsi, su “Le Monde” quanto di questo dibattito sulla Bolkestein venga “usato” anche da chi è contrario alla Costituzione europea.

Noi non possiamo lasciare spazi all’ambiguità e alla strumentalizzazione. Anche perché pensiamo che proprio la Carta costituzionale e la Carta dei diritti possono essere un formidabile antidoto a fenomeni di dumping sociale e fiscale e determinare nuove prospettive per i cittadini europei.

E il nostro lavoro sulla direttiva Bolkestein si inserisce in tale contest. A questo lavoro abbiamo chiamato a fornire una collaborazione, una pluralità di soggetti economici e sociali.

Sarà molto utile per sostenere una battaglia parlamentare collegata con l’iniziativa più generale in Europa e ovviamente anche in Italia.