Il testo del comizio di Carlo Podda

Segretario Generale Funzione Pubblica CGIL Nazionale

 

  

Dopo 58 anni Portella è ancora un luogo simbolico della volontà di interrompere con la forza e la violenza il cambiamento di quegli anni, la rinascita democratica del Paese dopo la Resistenza.

 

Si trattò della prima contraddizione, della prima negazione evidente a tutti delle speranze nate dalla lotta e dal sangue di tante donne e tanti uomini.

 

Fu la prima strage che inaugurò un doloroso cammino che durerà fino ai nostri giorni, quello della doppia verità: una giudiziaria piena di depistaggi, omissis, falsi colpevoli prescrizioni; l’altra quella che appartiene alle persone, al popolo, a noi, è la verità della consapevolezza prima sgomenta, poi indignata che non deve divenire rassegnata, che parte di corpi dello Stato, istituzioni deviate ed inquinate hanno fatto uso della violenza per fermare il cambiamento.

 

E’ questa una storia lunga, dolorosa che ha purtroppo conosciuto poche pause e che ha ripresentato lo stesso volto ogni volta che si affaccia una possibilità, una speranza concreta di cambiamento.

 

Per questo Portella è rimasto un luogo privilegiato non solo della memoria e del rispetto per il sacrificio delle donne, dei bambini, degli uomini delle persone che qui vennero uccise, persone  rese orfane o vedove o private della vita dei propri figli.

 

Ma allo stesso modo Portella è stato e rimane un luogo, un simbolo della volontà di resistere, di battersi perché le promesse di cambiamento, di giustizia, frutto della storia di quegli anni, vengano infine mantenute.

 

Forse è proprio per questo che ormai in Italia il 1° maggio ci sono, da allora, due manifestazioni che, tra le tante che si fanno in questo giorno, hanno particolare rilievo: una è quella nazionale che si fa dove ogni anno decidono CGIL-CISL-UIL  di celebrare il 1° maggio, l’altra è quella che si fa qui a Portella.

 

E non è davvero un caso che qui, come a Scampia,  oggi la parola d’ordine sia sviluppo e legalità.

 

Ecco perché considero un’ occasione non rituale e davvero un onore essere qui oggi con voi e voglio davvero testimoniare la mia emozione e l’impegno non solo mio (poca cosa) ma della mia categoria, che oggi per la prima volta parla qui, a contribuire, per la parte specifica che compete il lavoro pubblico, a mantenere quelle promesse di equità e giustizia che si sarebbero volute soffocare nel sangue 58 ani fa.

 

Se è vero il nesso legalità- sviluppo- legalità (non c’è l’uno senza l’altra e l’altra senza l’uno) bisogna essere consapevoli che il terreno in cui questo nesso si manifesta o si spezza, è il sistema delle pubbliche amministrazioni.

 

Molti anni sono trascorsi dal 1947, la mafia non spara più nei campi. La mafia si è fatta impresa, economia  politica: non è più strumento di poteri innervati nello Stato. Ha anzi assunto l’ambizione di servirsi dello Stato ed ha invaso pervasivamente gangli  dello Stato, i suoi apparati, segmenti crescenti della politica ed ha occupato diversi livelli delle pubbliche amministrazioni.

 

In questi ultimi anni è tornata ad accentuarsi la presenza della mafia e della criminalità organizzata in tutto il meridione, in ogni aspetto della società italiana.

 

Non è un caso, né uno spiacevole, ma inevitabile, aspetto della vita economica. Così come non è un caso, né è stato privo di conseguenze il fatto che  un Ministro di questo Governo, quello che promuove le grandi opere e i grandi appalti, abbia detto che con la mafia si può convivere.

 

Voglio qui, a Portella  della Ginestra dire che non si convive con le metastasi, o si eliminano o si muore. Lo sanno bene i cittadini e le imprese di questo territorio e di questa regione.

 

Né ci si può  rassegnare. Non è vero che, come ho sentito affermare nel tempio di quello che fu Mani pulite,  la corruzione c’era, c’è e ci sarà sempre.

 

Noi non saremo, l’Italia non sarà veramente libera, finché così tanta parte del suo territorio dovrà vivere in queste condizioni.

 

Credo invece che la mafia sia come diceva G. Falcone, un fenomeno storicamente determinatosi, che nella storia può e deve essere battuto e superato.

 

Il raggiungimento di questo obiettivo  non può essere affidato ad un pugno di uomini coraggiosi come i tanti uccisi dalla mafia, come Falcone, Borsellino le loro scorte.

 

Ci vuole solidarietà e consenso sociale diffuso e non la demolizione sistematica di questi anni degli uomini che rappresentano con coraggio la legge, unita ad un’altra demolizione più sottile e diffusa.

  

Sto parlando di quella a cui questo Governo si è applicato fin dalla sua nascita.

 

Sto parlando di un’azione sistematica ed ostinata tesa a devastare i diritti delle persone ed il nostro lavoro che quei diritti garantisce.

 

C’è insomma un problema di costruzione di consenso sociale intorno alla lotta alla mafia, intesa come affermazione della legge e dei diritti, e questo non può essere affidato solo alla politica.

 

Per questo è importante che qui oggi ci siano tanti giovani e rappresentanze di movimenti ed associazioni come Libera, che voglio ringraziare.

 

Ma c’è un aspetto che riguarda noi, la mia categoria, il gruppo dirigente del sindacato, ma in particolare quello che si occupa del lavoro pubblico.

 

Non basta dire pubblico è meglio, cioè restituire al pubblico la gestione e la responsabilità di erogazione di diritti che costituiscono beni sociali, beni comuni.

 

La salute, l’istituzione, l’accesso all’acqua, l’assistenza agli anziani, ai cittadini non autosufficienti, i servizi materno-infantili, la protezione civili, la prevenzione dal rischio, la tutela e la funzione di un bene culturale, sono altrettanti beni comuni solo se la loro natura pubblica garantisce diritto di accesso ad ogni cittadino.

 

Tornare indietro da pratiche affrettate di esternalizzazioni e privatizzazioni diffuse è il primo indispensabile passo anche per proteggersi da infiltrazioni  criminali.

 

Potrebbe non essere sufficiente. Bisogna che il lavoro pubblico si impegni ad una diversa pratica, a non rendere più possibile lo scambio, la confusione, tra diritto e favore.

 

Noi, le pubbliche amministrazioni, sono, per tanti, la vera ed unica faccia dello Stato che conoscono.

 

La qualità del nostro lavoro fa la qualità dello Stato per le persone.

 

Ciò che dello Stato pensano è determinato dall’ immagine che di sé dà il lavoro  pubblico.

 

Se il lavoro pubblico è trasparente ed efficiente, lo Stato è trasparente ed efficiente.

 

La legalità, i diritti, diventano un luogo fisico, un presidio che si può frequentare e che vale la pena difendere.

 

E’ anche per questo motivo che Berlusconi fin dall’inizio si è impegnato per eliminare ogni separazione tra politica e amministrazione ed insieme per screditare il lavoro pubblico

 

Una Pubblica Amministrazione, ridotta in servitù alla politica, una politica che pensa i diritti collettivi come  gabbia rispetto alla libertà individuale, non è più garante di beni comuni, ma luogo di parzialità, di favori e di clientele. Servizi pubblici impoveriti, privatizzati, lavoratori  pubblici umiliati e demotivati, sono percepiti dal cittadino come qualcosa da eliminare e non da difendere. Anche per questo il CCNL va rinnovato. Non possiamo attendere, né stare fermi e se necessario si devono costruire le condizioni per arrivare allo sciopero generale

 

Infine un sistema così ridotto, è quanto di meglio può avere la cattiva politica per disporre dei propri affari, e quanto di meglio può avere la mafia e l’impresa economica criminale per svolgere in modo formalmente legale le proprie attività illegali.

 

I nostri luoghi di lavoro sono cioè i luoghi nei quali va riaffermata la legalità attraverso l’ erogazione e la tutela dei diritti di tutti: dei cittadini e delle imprese.

 

Questi luoghi sono la nuova frontiera della lotta contro la mafia, negli uffici tecnici, nelle direzioni sanitarie ed amministrative, negli assessorati regionali, c’è bisogno del nostro contrasto della nostra resistenza.

 

Non abbiamo bisogno di eroi. Si tratta banalmente di fare funzionare i servizi, di proteggere i diritti, di sottrarre l’amministrazione all’invadenza della politica

 

Noi, ed è per questo che abbiamo voluto che l’intero gruppo dirigente delle Funzione Pubblica fosse qui, ci impegniamo a raccogliere in questo modo il testimone di Portella

 

Bisogna, anche attraverso le nostre pratiche contrattuali, semplificare non deregolare.

 

Meno timbri, meno corruzione, tempi certi di risposta (90 giorni si o no non tre anni per un ni).

 

Ma l’interesse della collettività va garantito dicendo no alla libera competizione tra gli spiriti animali. Senza regole vince l’impresa più deregolata, che è quella criminale, farebbe bene a capirlo Confindustria

 

Tutto ciò però non si fa con il lavoro precarizzato: un  lavoratore precario offre diritti precari e il lavoratore precario è ricattabile.

 

Nuovo piano occupazionale altro che blocchi!

 

Il Paese è allo stremo, del libro dei sogni annunciati, resta solo l’incubo della guerra, una guerra ingiusta e dalla quale dopo la conclusione della commissione sulla morte di Calipari bisogna uscire al più presto. E’ stato sbagliato andarci ed è peggio restarci.

 

Abbiamo condotto in questi lunghi anni una lotta straordinaria con tante donne, giovani, movimenti rispetto ai quali la politica di chi si candida a ricostruire il Paese non deve sentirsi autosufficiente.

 

Abbiamo difeso la nostra idea di società: una società nella quale i diritti non sono un vincolo per l’individuo, ma sono anzi la chiave per la libertà dalle tutele oppressive, dalle raccomandazioni. Dal bisogno

 

Questo è quello che del resto avevano cercato di garantirci i nostri padri costituenti.

 

Ma la Costituzione è fatta a pezzi, non nella seconda parte, ma nella prima, l’art. 1 ed art. 3 non ci sono più.

 

La  devolution fa a pezzi l’eguaglianza dei cittadini.

 

Le autonomie locali sono al collasso. 

 

L’impresa è tra declino e disastro.

 

Il lavoro non cresce perché non crescono le ore lavorate.

 

La mobilità sociale è inferiore a quella che c’era nel  ventennio fascista: i figli degli operai  fanno gli operai però precari, i figli degli impiegati fanno gli impiegati però precari, i figli dei  professionisti  fanno i  professionisti.

 

E tuttavia proprio dal sud c’è un segnale di rinascita, di volontà di riscatto delle masse popolari.

 

E’ grande l’ aspettativa per una nuova politica sicuramente alternativa a quella degli ultimi quattro anni, ma realmente innovativa anche rispetto a quella fatta negli ultimi dieci, per dare corpo alle speranze ed a quelle promesse, che proprio qui nel ’47 furono  tradite la prima volta.

 

Cosa voleva del resto quel popolo, il popolo di Portella nel ’47? Certezza del proprio lavoro ed attraverso questo la promozione del proprio riscatto e del proprio futuro.

 

Da qui bisogna ricominciare dal lavoro e dalla sua centralità,  un lavoro con più diritti, un lavoro stabile per chi è precario.

 

Questo mi aspetto da chi deve far rinascere questo Paese e questo è l’impegno che la CGIL deve assumersi.

 

Questa è la nostra promessa, che facciamo qui a Portella, nella consapevolezza che 25 anni dopo la sua nascita, la Funzione Pubblica debba avere la forza di stare dalla parte della legalità, dalla parte dei diritti, dalla parte giusta.

 

Il movimento sindacale, grazie al sacrificio ed al lavoro di tante donne e tanti uomini e tra i tanti permettetemi di ricordare C. Sabatini che qui trascorse, e io con lui,  il suo ultimo 1° maggio, ha  un grande passato.

 

Abbiamo memoria, volontà, e passione bastanti  per costruire un grande futuro.

 

Il futuro che è nelle nostre mani .

 

Buon 1° maggio, compagne e compagni, e fatemi finire come si finiva una volta i nostri comizi

 

W  le lavoratrici

W  i lavoratori

W  la CGIL