Materiali della riunione delle compagne della Fp Cgil
( 5 aprile 2001)

 



Direzione Generale per l'Impiego

 

CIRCOLARE N.21/2001
Roma, 7 febbraio 2001

Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale
DIREZIONE GENERALE PER L’IMPIEGO

Prot. n. 174/4a

AI PRESIDENTI DELLE GIUNTE REGIONALI
AI PRESIDENTI DELLE GIUNTE REGIONALI
DELLE REGIONI A STATUTO SPECIALE

AI PRESIDENTI DELLE GIUNTE PROVINCIALI

AI PRESIDENTI DELLE PROVINCIE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO

   

Oggetto: Nomina dei/delle Consiglieri/e di parità regionali e provinciali effettivi/e e supplenti

 

    L’art. 2 del D.l.vo 23.05.00 n. 196, nel disciplinare la procedura di nomina e la durata del mandato delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali e provinciali, effettivi e supplenti, dispone che tale nomina deve essere effettuata con decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro delle Pari Opportunità "su designazione degli organi a tal fine individuati dalla regioni e dalle province, sentite le commissioni rispettivamente regionali e provinciali tripartite" (comma 1).
    Il comma 2 del summenzionato art. 2, prevede che "le consigliere ed i consiglieri di parità devono possedere i requisiti di specifica competenza ed esperienza pluriennale in materia di lavoro femminile, di normative sulla parità e pari opportunità nonché di mercato del lavoro, comprovati da idonea documentazione", mentre il comma 3 dispone che il relativo decreto di nomina deve contenere " il curriculum della persona designata".
    Poiché la documentazione finora inviata da alcune regioni e province risulta incompleta, si fa presente che ai fini della nomina delle consigliere e dei consiglieri di parità occorre inviare a questo Ministero:

    1)originale o copia conforme della delibera della giunta regionale o provinciale con cui si designano le consigliere effettive e supplenti;
    2) copia conforme del parere della commissione regionale o provinciale tripartita, ove costituita, o stralcio del verbale della commissione regionale o provinciale tripartita, contenente l’ordine del giorno e sottoscritta dalle persone preposte;
    3) curriculum vitae sia della consigliera effettiva che di quella supplente, nonché la documentazione comprovante i requisiti professionali dichiarati dalle candidate.

    Si fa, altresì, presente che deve essere nominata sia la consigliera di parità effettiva, che quella supplente.
    Si ricorda, infine, che - laddove le regioni e le province non abbiano provveduto, tempestivamente, alle designazione suddette, ovvero la designazione manchi dei requisiti richiesti - la nomina sarà effettuata, entro il 31 marzo 2001, come previsto dal D.L.vo 196/00, direttamente dal Ministro del Lavoro e Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro delle Pari Opportunità.

   

                                                                                                      IL DIRETTORE GENERALE
                                                                                                              ( Daniela CARLA’)

 


Coordinamento Ispezione del Lavoro - Div.VII  Direzione Generale del Personale

Ministero del Lavoro

 

CIRCOLARE N.31/2001

prot. n. 575
Roma, 26 marzo 2001

Direzione Generale degli Affari Generali
e del Personale
Divisione VII
COORDINAMENTO ISPEZIONE DEL
LAVORO

 

OGGETTO: Attività di vigilanza in materia di divieto di discriminazione e pari opportunità. Profili sanzionatori e indicazioni operative.

 

 

 

Alle Direzioni Regionali e Provinciali del Lavoro
LORO SEDI

Ai S.I.L. delle Direzioni Regionali e Provinciali del Lavoro
LORO SEDI

Alla Provincia Autonoma di Bolzano
Ripartizione Lavoro
Ispettorato Lavoro
BOLZANO

Alla Provincia Autonoma di Trento
Assessorato Lavoro
TRENTO

Alla Regione Siciliana
Assessorato Lavoro e Prev. Sociale
Ispettorato Regionale del Lavoro
PALERMO

e, p.c. Ai  Sottosegretari di Stato

Ai Direttori Generali

Al SECIN

Al Coordinatore del Servizio Ispettivo

Alla Consigliera Nazionale di Parità

Al Comitato Nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento e di uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici

SEDE

1. Premessa.
2. Divieto di discriminazioni e uguaglianza: art.3, art.37 della Costituzione e art.15 legge 20 maggio 1970 n.300
    (Statuto dei lavoratori).
3. Legge n.903 del 9 dicembre 1977: divieto di discriminazione.
3.1 Discriminazione diretta e indiretta e legge n.125 del 10 aprile 1991.
3.2 Ambiti di discriminazione previsti dalle leggi vigenti.
3.2.1 Retribuzione.
3.2.2 Risoluzione del rapporto di lavoro.
3.2.2.1. Licenziamento della lavoratrice per matrimonio.
3.2.2.2. Dimissioni della lavoratrice per matrimonio.
3.2.2.3. Dimissioni della lavoratrice madre.
3.3 Lavoro notturno.
3.4.Azioni in giudizio.
3.5.Sanzioni.
4. Promozione e assunzione di iniziative volte a realizzare la parità fra i sessi: art.1 legge n. 125 del 10 aprile 1991.
5. Imposizione alle imprese di determinati obblighi allo scopo di controllare il rispetto delle disposizioni sulle pari  opportunità.
6. Sanzioni.
6.1. Mancata attuazione dei progetti di azioni positive.
6.2. Violazione dell’obbligo di trasmissione del rapporto
7. Gli Organi amministrativi preposti alla gestione e al controllo della politica delle pari opportunità.
8. Rapporti fra i Consiglieri di Parità e le Direzioni Regionali e Provinciali del Lavoro.
9. Indicazioni operative.


 1.Premessa

Nell’ambito di un mutato quadro normativo e contestualmente al processo di modernizzazione e semplificazione dell’azione amministrativa, si pone l’esigenza di rendere più incisiva l’attività di vigilanza in materia di pari opportunità. Dall’esame dei dati statistici relativi all’attività ispettiva, infatti, non si riscontrano, sostanzialmente, casi di discriminazione basati sul sesso ovvero relativi all’accesso al lavoro e ciò talora fa sorgere dubbi se si relaziona il dato al numero delle denunce che pervengono presso gli uffici del Consigliere di Parità.
Pertanto, al fine precipuo di realizzare in toto il principio di tutela reale nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori tramite una puntuale e consapevole azione di prevenzione e repressione, si reputa indispensabile sensibilizzare l’ispettore del lavoro verso la rilevazione di tutte quelle discriminazioni, attuate in ambito lavorativo, che di fatto impediscono " il pieno sviluppo della persona umana" nonché la realizzazione di pari opportunità fra uomini e donne.

L’azione di vigilanza, pertanto, deve essere rivolta in modo significativo all’accertamento di tutti quegli atti o comportamenti discriminatori, posti in essere dal datore di lavoro, che costituiscono il presupposto per l’applicazione della sanzione.
E’ opportuno in questa sede ribadire che dall’analisi della normativa vigente si evince una precisa competenza, per la materia in questione, delle direzioni regionali e provinciali del lavoro. Pertanto, in sede di vigilanza ordinaria, realizzata nell’ambito di tutti i settori merceologici, sarà cura dell’ispettore non solo indirizzare la propria indagine verso la corretta applicazione della normativa in tema di pari opportunità, ma anche rivolgere la propria sensibilità e la propria ricerca verso tutte quelle ipotesi, spesso di non facile individuazione, che possano integrare gli estremi di una discriminazione .
Nel contempo le direzioni regionali e provinciali del lavoro si adopereranno al fine di realizzare un fruttuoso rapporto di collaborazione con gli organismi istituzionalmente preposti alla piena realizzazione delle pari opportunità fra uomini e donne, anche in virtù delle più recenti innovazioni normative. A tale proposito si sottolinea che l’intento primario della presente circolare è finalizzato all’approfondimento dell’aspetto sanzionatorio.

Alla luce di quanto sopra, d’intesa con la Direzione generale dei Rapporti di lavoro e la Consigliera Nazionale di Parità, si reputa necessario richiamare i principali riferimenti normativi inerenti la materia di cui in oggetto, al fine di fornire un agile strumento di consultazione per il regolare svolgimento dell’attività ispettiva.

2. Divieto di discriminazioni e uguaglianza: art.3, art.37 della Costituzione e art.15 legge 20 maggio 1970 n.300 (Statuto dei lavoratori).

La materia relativa alla parità di trattamento tra uomini e donne affonda le proprie radici nell’art. 3 della Costituzione ove viene per la prima volta codificato il principio di uguaglianza. Detto articolo, riconoscendo a tutti i cittadini pari dignità sociale e dichiarandone l’uguaglianza " davanti alla legge, senza distinzione di sesso ,di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali", si rivolge a tutti i cittadini in quanto tali e non già in relazione all’attività lavorativa svolta. Tuttavia è proprio da tale norma che deriva, per il datore di lavoro, il dovere di rispettare il principio di uguaglianza professionale tra i lavoratori dipendenti della sua azienda. Principio che trova precisa codificazione nell’art. 15, comma 2, della legge 20 maggio 1970 n.300 ( statuto dei lavoratori).Esso, infatti, testualmente specifica che : è nullo qualsiasi patto o atto diretto a "fini di discriminazione politica, religiosa, razziale di lingua o di sesso".
L’esigenza di prevenire e sanzionare ogni discriminazione basata sul sesso era, d’altronde, già stata sentita e formalizzata dall’Assemblea Costituente per la tutela di una categoria, quella della donna-lavoratrice, considerata "debole" e, come tale, particolarmente bisognosa di tutela. L’art. 37 della Costituzione, infatti, riconosce alla donna lavoratrice gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.
Tale moderno intendimento, che garantisce alla donna l’ uguaglianza professionale, è stato oggetto di tutta la normativa prodotta in tema di parità e che si indirizza sostanzialmente su tre fronti:

·        divieto di discriminazione sul lavoro e fissazione degli strumenti di azione giuridica per garantire il rispetto di tale divieto;

·        promozione e assunzione delle iniziative volte a realizzare concretamente la parità tra i sessi;

·        imposizione alle imprese di determinati obblighi allo scopo di controllare il rispetto delle disposizioni sulle pari opportunità.

3. Legge n. 903 del 9 dicembre 1977 : divieto di discriminazione.

La legge n.903 del 1977 è intesa a realizzare la parità di trattamento fra lavoratori e lavoratrici sia sotto il profilo retributivo, sia con riferimento agli altri aspetti del rapporto di lavoro, in attuazione dell’art.37 e di tutta la normativa in materia di tutela del lavoro femminile.
L’art.1, comma 1, sancisce il divieto di discriminazione "fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale".Il comma 2, vieta altresì "qualsiasi discriminazione realizzata con riferimento allo stato matrimoniale, di famiglia o di gravidanza" o, in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con "qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l’appartenenza all’uno o all’altro sesso".

La norma,poi, dopo aver esteso l’applicazione di tale divieto anche a tutte le iniziative in materia di orientamento e formazione professionale, individua alcune deroghe legate alle ipotesi in cui il riferimento al sesso rappresenta una condizione determinante per l’esecuzione del lavoro o della prestazione.Si tratta di situazioni tassative: a) per le attività della moda, dell’arte, dello spettacolo per le quali non costituisce discriminazione il fatto di condizionare l’assunzione all’appartenenza ad un determinato sesso; b) per mansioni lavorative considerate particolarmente pesanti dalla contrattazione collettiva. In sede d’ispezione si dovrà verificare che il datore di lavoro abbia avuto la necessità e non la mera convenienza o opportunità, di assumere un uomo o una donna in rapporto al contenuto del lavoro o alle condizioni del suo svolgimento. Inoltre, l’accertamento deve basarsi su elementi oggettivi prescindendo il più possibile dalle intenzioni o dalle opinioni dell’autore della condotta.

3.1.Discriminazione diretta e indiretta e Legge n. 125 del 10 aprile 1991.

L’art.1 della legge n.903/77, introduce l’ importante nozione di discriminazione diretta la quale consiste in tutti quegli atti o comportamenti lesivi che producono un effetto pregiudizievole per i lavoratori in ragione del sesso. Si tenga presente che i differenti modi di selezione e valutazione del personale sono discriminatori quando non vengano adeguatamente motivati in relazione alla professionalità o alle prestazioni richieste. In tali situazioni, infatti, si potrà riscontrare che la preclusione ai posti di lavoro avvenga nei confronti della globalità delle donne, oggettivamente impossibilitate a soddisfare la richiesta di determinati requisiti.

Fattispecie classica di discriminazione diretta fondata sul sesso è la sottoposizione delle aspiranti lavoratrici a test-gravidico. Lo stato di gravidanza non può essere oggetto di indagine da parte del datore di lavoro, perché non rilevante, ai sensi dell’art. 8 della legge 20 maggio 1970 n. 300, ai fini della valutazione delle attitudini professionali del soggetto da assumere (Sentenza Corte di Cassazione n.2365/1997).
La tutela accordata dal legislatore in attuazione dei principi costituzionali realizza la libertà di scelta della maternità e non solo il principio di parità fra i sessi in quanto, se la donna fosse discriminata per il suo stato, sarebbe indotta al rifiuto della maternità o ad altri comportamenti conseguenziali.

Pertanto, nessun ostacolo può frapporsi all’assunzione della lavoratrice in stato di gravidanza e il principio è operativo con riferimento a tutte le situazioni che possono in concreto verificarsi:

1.nel caso in cui al momento dell’assunzione non esista alcun divieto legale;

2.nel caso in cui la lavoratrice si trovi in periodo di astensione obbligatoria ex art. 4 L.1204/71;

3.nel caso in cui il rapporto da costituire riguardi lo svolgimento di mansioni che si rivelino incompatibili fin dall’inizio con la gestazione ai sensi degli artt. 3 e 5 della L.1204/71 e dell’art. 5 del D.P.R. 25 novembre 1976, n.1026 (Sentenze Corte di Cassazione Sez. Lavoro n. 4064/91 e n.8971/95).

Rientrano nel concetto di discriminazione diretta anche le forme di cosiddetta discriminazione occulta che colpiscono tutti gli appartenenti ad un sesso i quali vengono esclusi globalmente da alcuni benefici od opportunità. A titolo di esempio si cita l’ ipotesi, individuata dalla giurisprudenza, in cui il datore di lavoro rifiuti in modo aprioristico qualsiasi candidatura femminile per l’accesso ad un determinato posto di lavoro o a determinate mansioni senza alcun tipo di giustificazione ( Pret. Pomigliano d’Arco 22 luglio 1989) o quando si chiede un requisito che le donne non possiedono quale l’aver svolto il servizio militare ( Cons. di Stato sez. VI 24 settembre 1983 n.686). L’ispettore del lavoro potrà considerare sospetta , in sede d’ispezione, una situazione di pressoché totale assenza femminile all’interno di una azienda qualora la tipologia di lavoro non richieda di per sé tale esclusione.

Diversa è, poi, la nozione di discriminazione indiretta. Essa si realizza con l’adozione di criteri che solo apparentemente possono definirsi neutri ma che, invece, hanno un effetto diverso nella scelta o nella valutazione dei lavoratori dell’uno o dell’altro sesso, senza peraltro riguardare requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa. In tale modo si potranno riscontrare svantaggi proporzionalmente maggiori per i lavoratori dell’uno o dell’altro sesso. Tale definizione, che si ricollega ad indicazioni già emergenti nella direttiva n.76/207/C.E.E. e in alcune pronunce della Corte di Giustizia (sent. 31 marzo 1981, causa 96/80 e sent.13 maggio 1986, causa 170/84), fa riferimento a quelle misure che, apparentemente neutre, creano disparità di fatto idonee a pregiudicare le opportunità di lavoro delle donne, in quanto esse sono in grado di soddisfare i requisiti richiesti in numero minore degli uomini.

I concetti di discriminazione diretta e indiretta introdotti con la legge n.903/77, trovano una nuova collocazione nell’art.4, punto n.1 della legge 10 aprile 1991 n.125 come modificato dall’art.8 del D.Lgs.vo 23 maggio 2000 n.196. Esso specifica che costituisce discriminazione " qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando anche in via indiretta le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso" e ancora, al punto n.2 " costituisce discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all’adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori dell’uno o dell’altro sesso e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa". Il legislatore, quindi , di recente ha sentito l’esigenza di rielaborare la materia al fine di porre sempre maggiori garanzie a tutela della donna lavoratrice, tant’è che l’art.8 del citato decreto n.196/2000, al punto n.3, impone ai datori di lavoro pubblici e privati di specificare, con formule apposite, nei bandi di concorso o nelle diverse forme di selezione, che la prestazione di lavoro viene richiesta indifferentemente all’uno o all’altro sesso salvo i casi in cui il sesso sia requisito essenziale per la natura del lavoro o della prestazione.

3.2. Ambiti di discriminazione previsti dalle leggi vigenti.

3.2.1. Retribuzione.

L’art.2 della legge n.903/77 riprendendo quanto già sancito dall’art.37 della Costituzione, sancisce, per la lavoratrice, la stessa retribuzione del lavoratore in caso di prestazioni uguali o di pari valore.
Sebbene esista una norma di rango costituzionale che sancisca il principio della parità di trattamento economico a parità di prestazioni, l’ispettore del lavoro, nel corso della propria indagine, potrà trovarsi ad esaminare accordi collettivi (anche aziendali) che contengano delle limitazioni relative al trattamento giuridico ed economico, a sfavore del personale femminile, che non trovino giustificazione all’interno della realtà aziendale esaminata. In tali casi dovrà procedere comunicando il fatto alla Consigliera di Parità competente territorialmente per gli ulteriori accertamenti.

Si deve sottolineare, preliminarmente, che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha per lungo tempo escluso l’esistenza di un principio di parità retributiva nel nostro ordinamento. Il cambiamento di indirizzo fu iniziato nel 1982 (Cass.n.5773 del 3 novembre 1982) allorché si ritenne discriminatorio il mancato riconoscimento alle lavoratrici, a parità di mansioni, di benefici retributivi concessi agli uomini; in tale occasione fu dichiarato nullo il provvedimento che, riconoscendo la stessa qualifica a lavoratori di sesso diverso che abbiano svolto le stesse mansioni, per le lavoratrici operi una limitazione del trattamento giuridico ed economico senza alcuna razionale giustificazione. Si dovrà arrivare al 1989, tuttavia, (Corte Cost.n.103 del 9 marzo), per trovare definitivamente negata la legittimità costituzionale degli artt.2086,2087,2095,2099 e 2103 Cod.Civ. nella parte in cui consentono all’imprenditore, a parità di mansioni, di realizzare diversi livelli o categorie generali di inquadramento; veniva, altresì, limitato in modo sostanziale, lo jus variandi del datore di lavoro da una serie di norme e principi :

·        ex art.2103 del Cod.Civ. (art.13 Statuto dei lavoratori) il datore di lavoro deve adibire il lavoratore alle mansioni per le quali lo ha assunto, ovvero a mansioni equivalenti (in tal caso senza diminuzione di compenso), qualora lo adibisca a mansioni superiori non occasionalmente, deve attribuirgli la relativa qualifica;

·        il contratto collettivo è una regolamentazione, che, in una data situazione di mercato, rappresenta il punto d’incontro, di contemperamento e di coordinamento dei confliggenti interessi dei lavoratori e degli imprenditori;

·        anche i contratti collettivi devono rispettare i precetti costituzionali (artt.35,3,37 Cost.) ed i principi di non discriminazione che sono trasfusi negli artt.15 e 16 dello Statuto dei lavoratori.

A tale proposito, si fa presente che sebbene esistano norme- anche di rango costituzionale- che sanciscano la parità di trattamento economico a parità di prestazioni, l’ispettore del lavoro, nel corso della propria indagine, potrà, talora, trovarsi ad esaminare accordi collettivi (anche aziendali) che contengano limitazioni relative al trattamento giuridico ed economico, a sfavore del personale femminile, non giustificate all’interno della realtà aziendale esaminata. Tali situazioni, una volta riscontrate, dovranno essere oggetto degli approfondimenti del caso.

·        la dignità sociale del lavoratore è tutelata contro discriminazioni che riguardano l’area dei diritti di libertà e l’attività sindacale, ma anche l’area dei diritti di libertà finalizzati allo sviluppo della personalità morale e civile; la dignità è intesa in senso assoluto e relativo;

·        notevolmente limitato è lo jus variandi e in virtù del precetto costituzionale di cui all’art.41, il potere d’iniziativa dell’imprenditore non può esprimersi in termini di pura discrezionalità o addirittura di arbitrio, ma deve essere sorretto da una causa coerente con i principi fondamentali dell’ordinamento ed in ispecie non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza ed alla dignità umana.

3.2.2. Risoluzione del rapporto di lavoro.

3.2.2.1. Licenziamento della lavoratrice per matrimonio.

Il riferimento normativo è dato dall’art.1 della legge n.7 del 1963 per il quale, il licenziamento intimato nel periodo che va dalla pubblicazione di matrimonio fino ad un anno dopo l’avvenuta celebrazione è nullo. In tale caso spetterà al datore di lavoro provare che la causa di licenziamento non è legata al matrimonio. Le uniche eccezioni sono legate alla provata colpa grave della lavoratrice , alla cessazione dell’attività dell’azienda, all’ultimazione delle prestazioni per le quali la lavoratrice è stata assunta o alla risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.

Si menzionano qui di seguito alcune ipotesi giurisprudenziali :

- il licenziamento intimato nel periodo compreso tra il giorno della richiesta delle pubblicazioni e l’anno successivo alla celebrazione del matrimonio è nullo indipendentemente dal fatto che la lavoratrice non abbia comunicato al datore di lavoro il costituirsi del suo stato coniugale ( Pret. Salerno 26 luglio 1989 ).

- la legge sulla nullità del licenziamento per matrimonio è da ritenersi estensibile anche al lavoratore, non potendosi ammettere un trattamento discriminatorio tra le due posizioni ( Pret. Salerno 26 luglio 1989).

- non è sufficiente l’allegazione datoriale di una presunta ristrutturazione con chiusura di una divisione dell’impresa, non integrando quest’ultima la cessazione dell’attività dell’azienda. Il datore di lavoro deve comunque dimostrare l’impossibilità di utilizzare la lavoratrice in un altro reparto (Cass.9 febbraio 1990 n.941).

3.2.2.2. Dimissioni della lavoratrice per matrimonio

Al fine di evitare che il licenziamento per causa di matrimonio venga mascherato con le dimissioni della lavoratrice, la legge n.7/63 considera nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo intercorrente tra la richiesta delle pubblicazioni ed un anno dopo la celebrazione delle nozze, a meno che la lavoratrice non le confermi entro un mese presso la direzione provinciale del lavoro. A tale proposito si ricorda che la conferma alla direzione provinciale del lavoro deve avvenire per tutti gli atti unilaterali della lavoratrice che comunque siano efficaci ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro ( Cass. 30 ottobre 1981 n.5734 ).Circa le modalità di conferma delle dimissioni si richiama la circolare n.45 del 31 marzo 1964 di questo Ministero in base alla quale si possono individuare tre ipotesi:

1) il datore di lavoro, ricevute le dimissioni della lavoratrice, le comunica alla direzione provinciale del lavoro competente ;

2) la lavoratrice, presentate le dimissioni al datore di lavoro, esprime la volontà di confermarle scrivendo alla direzione del lavoro competente;

3) la lavoratrice, depositate le dimissioni al datore di lavoro, si presenta alla direzione del lavoro per confermarle di persona.

Si sottolinea che la convalida o la comunicazione delle dimissioni alla competente direzione provinciale non deve essere una atto meramente formale di "ricezione" bensì deve concretamente portare ad indagare la reale volontà della donna dimissionaria.
In sede di accertamento ispettivo, per le ipotesi di nullità di licenziamento o di dimissioni, si dovrà accertare che il datore di lavoro abbia corrisposto alla lavoratrice allontanata dal lavoro, la retribuzione globale di fatto fino al giorno della riammissione in servizio.

E’ opportuno richiamare l’attenzione su una deprecabile prassi instaurata da alcuni datori di lavoro, per cui all’atto dell’assunzione viene fatto firmare alla neo lavoratrice un foglio in bianco ovvero una lettera di dimissione ove sia stata lasciata in bianco la data e ciò al fine precipuo di garantire l’allontanamento immediato della lavoratrice qualora dia notizia delle proprie nozze (ovvero venga a trovarsi in stato di gravidanza). L’ispettore del lavoro avrà cura, nella propria ricerca, di prestare particolare attenzione alle indicate situazioni al fine di reprimere tali comportamenti denunziandoli, senza ritardo, all’Autorità Giudiziaria competente. In particolare, l’indagine dovrà essere rivolta al riscontro di una manifesta volontà da parte della lavoratrice di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro e alla verifica che la stessa non sia stata indotta in tal senso, direttamente o indirettamente, da cause poste in essere dal datore di lavoro ( a titolo di esempio le dimissioni potrebbero scaturire da forme di mobbing).

3.2.2.3. Dimissioni della lavoratrice madre

Durante il periodo di gravidanza e puerperio la lavoratrice è libera di dimettersi ma, ai sensi dell’art.11 del D.P.R. n.1026/76 "Regolamento di esecuzione della L.1204/71", la risoluzione del rapporto è condizionata alla convalida dell’atto da parte del Servizio Ispezione del Lavoro. Lo scopo della norma è quello di preservare la lavoratrice da eventuali pressioni del datore di lavoro e di accertare la volontarietà delle dimissioni nel periodo tutelato dal divieto di licenziamento (Circolari della Dir. Gen. RR.LL. n.83/95, n.36/96, n.164/97).
L’art. 18, comma 2, della legge n. 53/2000 ha sancito l’obbligo della convalida della richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento. Alla lavoratrice ed al lavoratore dimissionari spettano, ai sensi dell’art. 12 della L.1204/71, le indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento.

3.3. Lavoro notturno.

Relativamente al lavoro notturno delle donne, al fine di adeguare la normativa nazionale a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia della Comunità europea ( C.Giust.CE 4 dicembre 1997 C-207/96), il legislatore ha apportato alcune modifiche alla normativa interna le quali riguardano, attualmente, solo le donne lavoratrici in stato di gravidanza. Ai sensi dell’ art.5 della legge n.903/77 e dall’art. 17 della legge n.25 del 5 febbraio 1999, l’ ispettore del lavoro, in sede di accertamento, dovrà verificare che una lavoratrice, (impiegata in qualsivoglia settore), dal momento in cui viene accertato lo stato di gravidanza fino ad un anno di età del bambino, non svolga attività lavorativa dalle ore 24 alle ore 6. La stessa legge, peraltro, prevede che l’eventuale adibizione, anche occasionale, al lavoro nell’intervallo di tempo sopra indicato, è condizionata al consenso della lavoratrice o del lavoratore nel caso in cui debba essere prestato:

·        dalla lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, alternativamente, dal padre convivente con la stessa;

·        dalla lavoratrice o dal lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni;

·        dalla lavoratrice o dal lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile.

3.4. Azioni in giudizio.

A fronte di una presunta discriminazione la legge offre alla lavoratrice la possibilità di agire in giudizio sia direttamente sia delegando la Consigliera o il Consigliere di Parità per la tutela dei propri diritti. Oltre all’azione in giudizio a carattere individuale esperita ex art.4, comma 4, della legge n.125/91 come modificato dal D.lgs.vo n.196/00, per la tutela di situazioni discriminatorie la legge consente un’azione di tipo collettivo: "qualora le Consigliere o i Consiglieri di parità regionali e, nei casi di rilevanza nazionale, il Consigliere o la Consigliera nazionale, rilevino l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti o indiretti di carattere collettivo" (art.4, comma 7, legge n.125/91 modificato dall’art.8, comma 7, del D.lgs.vo n.196/00 ).

L’art. 4 , comma 4, citato statuisce che "chi intende agire in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni di cui ai commi precedenti, deve promuovere un tentativo di conciliazione stragiudiziale ai sensi dell’art.410 del c.p.c. o, rispettivamente, dell’art.69-bis del D.lgs.vo 3 febbraio 1993 n.29, anche tramite la Consigliera o il Consigliere di Parità provinciale o regionale territorialmente competente".
Se tale tentativo di conciliazione non ha esito positivo, la lavoratrice potrà esperire l’ordinaria azione giudiziaria.

Un ulteriore rimedio per reprimere le discriminazioni in materia di accesso al lavoro e di lavoro notturno, è previsto dall’art.15 della legge n.903/77. Si tratta di un’azione speciale in base alla quale, su ricorso del lavoratore o per sua delega alle organizzazioni sindacali," il Pretore – rectius Giudice Unico – del luogo ove è avvenuto il comportamento denunziato, in funzione di Giudice del lavoro, nei giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritenga sussistente la violazione, ordina all’autore del comportamento denunziato… omissis…la rimozione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti".

E’ d’uopo ricordare, infine, che il Consigliere di Parità ha facoltà di agire in giudizio per conto della lavoratrice ovvero di intervenire nei giudizi individuali promossi da quest’ultima.

Relativamente all’azione collettiva, di cui al menzionato art.4, comma 7, modif. dal D.lgs.vo n.196/00, il Consigliere o Consigliera di Parità, prima di promuovere l’azione in giudizio ai sensi del successivo comma 8, possono" chiedere all’autore della discriminazione di predisporre un piano di rimozione delle discriminazioni accertate …omissis…sentite le rappresentanze sindacali. Se il piano è considerato idoneo alla rimozione, la Consigliera o il Consigliere di Parità promuove il tentativo di conciliazione ed il relativo verbale , in copia autenticata, acquista forza di titolo esecutivo…omissis…" .

Il comma 8, sancisce altresì, nel caso in cui il Consigliere o la Consigliera non ritengano di avvalersi della procedura di conciliazione, la facoltà di proporre ricorso davanti al Giudice del Lavoro, il quale (comma 9) accertata la discriminazione, avrà facoltà di predisporre un piano di rimozione delle discriminazioni fissando i " criteri, anche temporali, da osservarsi ai fini della definizione ed attuazione del piano" . E’ prevista, poi, una procedura d’urgenza davanti al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro ai sensi dei commi 10 e 11.

3.5. Sanzioni.

Fermo restando che a sensi dell’art.19 della legge n.125/77 "sono abrogate tutte le disposizioni legislative contrarie alla presente Legge e sono nulle le disposizioni dei Contratti collettivi o individuali, dei regolamenti interni delle imprese e degli statuti professionali in contrasto con la stessa", nel caso di inadempienza a quanto stabilito dal Giudice, il datore di lavoro è sanzionato penalmente con l’arresto fino a 3 mesi o con l’ammenda fino a £.400.000 ( art.650 c.p. ).

La legge 9 dicembre 1977 n.903 all’art.16, comma 1,prevede, poi, per le discriminazioni attuate relativamente all’ accesso al lavoro, alla parità retributiva, alle qualifiche, alle mansioni e alla carriera, nonché all’età del pensionamento la sanzione dell’ammenda da £. 200.000 a £. 1.000.000.

La violazione, poi, delle norme relative al lavoro notturno delle donne in stato di gravidanza, di cui all’art.5 della legge n.903/77,comma 1,come modificato dall’art.17, comma 1, della legge n.25 del 5 febbraio 1999, sono sanzionate con l’arresto da 2 a 4 mesi o con l’ammenda da £.1.000.000 a £.5.000.000, ai sensi dell’art. 16 della legge n.903/77 come modificato dall’art.26, comma 49, del D.lgs.vo 19 settembre 1994 n.758 ( si veda per tale materia anche la circolare n.86 del 6 dicembre2000 "Modifiche al sistema sanzionatorio in tema di part-time, tutela della maternità e paternità, lavoro notturno e lavoro minorile. Chiarimenti operativi").

Ai sensi dell’art.8, comma 12, del D.lgs.vo n.126/00, inoltre, "ogni accertamento di atti, patti, o comportamenti discriminatori, posti in essere da soggetti ai quali siano stati accordati dei benefici ai sensi delle vigenti leggi dello Stato, ovvero che abbiano stipulato contratti d’appalto attinenti all’esecuzione di opere pubbliche, di servizi o forniture"( per tali casi troveranno applicazione le circolari n.26 del 21 aprile 2000 in tema di "Appalti d’opera pubblica. Strumenti di tutela per i dipendenti dell’appaltatore e del subappaltatore" e la n.8 del 12 gennaio 2001 su "Sicurezza sociale nelle pubbliche forniture e negli appalti pubblici e privati di servizi"), viene comunicato immediatamente dalla direzione provinciale del lavoro territorialmente competente ai Ministri nelle cui amministrazioni sia stata disposta la concessione del beneficio o dell’appalto. Questi adottano le opportune determinazioni, ivi compresa, se necessario, la revoca del beneficio e, nei casi più gravi o nel caso di recidiva, possono decidere l’esclusione del responsabile per un periodo di tempo fino a due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie…".

Ad ogni buon fine si rammenta che le disposizioni sopra richiamate non troveranno applicazione qualora sia stata raggiunta la conciliazione.

4. Promozione e assunzione di iniziative volte a realizzare la parità fra i sessi: art.1 legge n.125 del 10 aprile 1991 modificato dall’ art.7 D.lgs.vo n.196/00.

Al fine di garantire la parità effettiva tra uomo e donna nei luoghi di lavoro, nonché favorire l’occupazione femminile, è stata emanata nel 1991 la legge n.125 denominata, per l’appunto, "Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel mondo del lavoro". Con tale legge si prevedono misure apposite, dette azioni positive, poste " al fine di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità". L’art.1 della legge 125/91 modificato dall’art.7 del D.lgs.vo n.196/00 prevedendo le azioni positive intende incoraggiare la partecipazione delle donne in ogni settore e livello lavorativo e ciò:

·        eliminando le disparità di cui le donne sono oggetto nella formazione scolastica e professionale;

·        favorendo la diversificazione delle scelte professionali delle donne anche per quanto riguarda il lavoro autonomo;

·        superando condizioni, organizzazioni e distribuzione del lavoro che producono effetti diversi a seconda del sesso;

·        favorendo il miglior contemperamento fra le responsabilità familiari e professionali grazie anche ad una migliore ripartizione fra i sessi.

Le azioni positive possono essere effettuate su base volontaristica ai sensi dell’art.2, comma 1, modif.dall’art.7 del D.lgs.vo n.196/00, e in tale caso i progetti vengono ammessi, su richiesta, al rimborso totale o parziale dei relativi oneri finanziari da parte del Ministero del Lavoro oppure, se si tratta di azioni positive realizzate mediante la formazione professionale, vengono finanziati dal Fondo sociale europeo; ovvero su base autoritativa e ciò avviene regolarmente nel pubblico impiego. Infatti ex art.2, comma 6, citato "entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e tutti gli Enti pubblici non economici, nazionali, regionali e locali…omissis… adottano piani di azioni positive tendenti ad assicurare, nel loro ambito, la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari opportunità di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne".

5. Imposizione alle imprese di determinati obblighi allo scopo di controllare il rispetto delle disposizioni sulle pari opportunità : art.9 legge 125/91.

L’adozione di piani di azioni positive risulta sollecitata dall’obbligo, ex art.9 della legge n.125/91. Esso testualmente recita " le aziende pubbliche e private con oltre cento dipendenti sono tenute a redigere un rapporto ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione, della formazione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, o di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione Guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta.". Tale rapporto è trasmesso alle r.s.a e al Consigliere regionale di Parità il quale potrà agire in giudizio qualora ritenga che sussistano discriminazioni di carattere collettivo". Si fa presente che nel rapporto devono essere esaminati gli aspetti essenziali della gestione del personale, trattando separatamente le informazioni per lavoratori e lavoratrici. Ai sensi della circolare ministeriale del 6 aprile 1992 n.48, poi, si ricorda che nel computo dei 100 dipendenti deve essere considerata tutta la forza lavoro a qualunque titolo occupata in azienda, compresi gli apprendisti e i lavoratori assunti con Contratto Formazione Lavoro.

In sede di ispezione, sarà opportuno coadiuvare i Consiglieri/Consigliere di Parità, verificando la mancata presentazione del rapporto di cui sopra e diffidando le aziende ad ottemperare; in tale caso ne verrà data notizia per conoscenza agli stessi Consiglieri/Consigliere .

6. Sanzioni.

6.1. Mancata attuazione dei progetti di azioni positive.

Relativamente alle azioni positive, si è detto che determinati soggetti individuati dall’art.2 della legge n.125/91, possono essere ammessi a benefici finanziari. Ai sensi dell’art.10, comma 1, del D.lgs.vo n.196/00, " la mancata attuazione del progetto comporta la decadenza dal beneficio e la restituzione delle somme eventualmente già riscosse. In caso di attuazione parziale, la decadenza opera limitatamente alla parte non attuata…" A tale proposito si fa presente che gli uffici saranno tenuti ad effettuare i relativi controlli anche in sede di verifica amministrativo-contabile (in particolare nelle due fasi in itinere ed ex post). In merito, si evidenzia che secondo il disposto del citato art. 10,comma 1, del D.Lgs.vo 196/00, è in corso di emanazione un decreto interministeriale che, nell’individuare una competenza specifica in capo alle direzioni provinciali del lavoro relativamente alle suddette verifiche, stabilisce le modalità di presentazione, valutazione e finanziamento dei progetti di azione positiva per la parità uomo-donna. Esso, indicando le modalità di erogazione dei finanziamenti e delle procedure di verifica, prevede (salvo emendamenti futuri) che il beneficiario dell’erogazione di fondi, debba dare immediata notifica dell’avvio dell’iniziativa alla direzione provinciale del lavoro competente ; inoltre, viene specificato che l’erogazione della prima quota è subordinata all’esito positivo di una verifica ispettiva (amministrativo- contabile) che dovrà essere trasmessa, sempre a cura della direzione provinciale, alla Segreteria tecnica del Comitato Nazionale di Parità. Tale verifica ispettiva dovrà accertare la veridicità dei dati contenuti nella domanda di finanziamento, nonché l’effettivo avvio entro due mesi dall’autorizzazione e dovrà, altresì, essere effettuata entro i 30 giorni successivi dalla notifica di cui sopra. La normativa precisa che a conclusione di tutte le azioni programmate, prima dell’erogazione a titolo di saldo dell’ultima percentuale della quota assegnata, dovrà essere svolta, una ulteriore verifica amministrativo-contabile. Si fa , infine, presente che il Comitato Nazionale di Parità, salve le verifiche iniziali e finali di cui sopra, potrà in ogni momento disporre ulteriori visite ispettive.

6.2. Violazione dell’obbligo di trasmissione del rapporto.

Per ciò che concerne, poi, l’obbligo di trasmissione del rapporto sulla situazione del personale è previsto , sempre dall’art.9 della legge n.125/91, che l’ispettorato regionale del lavoro- rectius direzione regionale-S.I.L. , su segnalazione delle rappresentanze sindacali aziendali o del Consigliere/ Consigliera regionale di Parità, inviti le aziende a provvedere entro 60 giorni. Si ricorda, a tal proposito, che tale diffida ha carattere obbligatorio e non già facoltativo, pertanto costituisce condicio sine qua non (condizione di procedibilità) per l’applicazione della sanzione. In riferimento a quanto disciplinato con la precedente circolare n.119 del 15 ottobre 1992 avente per oggetto l’applicazione della legge n.125/91, nel caso di inottemperanza alla diffida entro il termine dei 60 giorni , la direzione regionale del lavoro- S.I.L provvederà a segnalare il fatto alla direzione provinciale del lavoro la quale avvierà le procedure previste dalla legge n.689/1981 per l’irrogazione della sanzione amministrativa consistente, ex art. 11, comma 1, della legge n.758/94, nel pagamento di una somma compresa fra le £. 200.000 e £.1.000.000. Nei casi più gravi, infine, come ad esempio il persistente inadempimento dell’azienda, può essere disposta, da parte degli organi erogatori e su segnalazione della direzione regionale del lavoro, la sospensione per un anno dai benefici contributivi eventualmente goduti dall’azienda. Sebbene la legge attribuisca la competenza ad effettuare gli accertamenti di cui sopra solo alla direzione regionale del lavoro, si ritiene, tuttavia, che gli stessi possano essere effettuati anche dalle direzioni provinciali nell’esercizio della propria funzione di vigilanza e di controllo.

7. Gli organi amministrativi preposti alla gestione e al controllo della politica delle pari opportunità.

La legge n.125/91 modificata dal D.lgs.vo n.196/00, si preoccupa di creare una struttura amministrativa idonea a gestire e controllare la politica delle pari opportunità.

Si tratta di organismi composti da persone in possesso di documentate conoscenze di mercato di lavoro, di normative specifiche sul lavoro femminile e di normative sulla parità.

·        Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici.

Tale organismo, che è istituito presso il Ministero del Lavoro al fine di "promuovere la rimozione dei comportamenti discriminatori per sesso e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l’uguaglianza delle donne nell’accesso al lavoro e sul lavoro e nella progressione professionale e di carriera " (art.6) ha compiti molto ampi: formula proposte, informa e sensibilizza l’opinione pubblica, formula ogni anno un programma-obiettivo nel quale vengono indicate le tipologie di progetti di azioni positive, esprime pareri sui finanziamenti, elabora codici di comportamento, verifica lo stato di applicazione della legislazione, propone soluzioni alle controversie collettive, può richiedere alle direzioni provinciali del lavoro di acquisire, presso i luoghi di lavoro, informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile etc...

·        Collegio istruttorio e segreteria tecnica.

Si tratta di organi di supporto per l’istruzione di atti relativi alla individuazione e rimozione delle discriminazioni e per la redazione di pareri al Comitato.

·        Consiglieri e Consigliere di Parità.

Il citato D.lgs.vo n.196/00 ha apportato numerose modifiche alla materia delle pari opportunità e, in particolare, ha dato alla figura del Consigliere di Parità nuovi contorni al fine di valorizzarne e potenziarne il ruolo. Si tratta dell’organismo più importante e la sua presenza , prevista sui tre livelli, (nazionale, regionale e provinciale) garantisce un intervento immediato ove ve ne sia bisogno.

In base al disposto dell’art.1 "essi svolgono funzioni di promozione e controllo dell’attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e non discriminazione per donne e uomini nel lavoro". Inoltre, " nell’esercizio delle funzioni loro attribuite sono pubblici ufficiali ed hanno l’obbligo di segnalazione all’autorità giudiziaria per i reati di cui vengono a conoscenza.

Da quanto sopra, si evince che il legislatore riconosce un ruolo delicato e di grande rilievo alla figura del Consigliere di Parità in relazione alle funzioni espletate, tant’è vero che, da un lato, per la loro nomina la legge prevede il possesso di requisiti di specifica competenza ed esperienza pluriennale, di documentate conoscenze di mercato del lavoro e di normative specifiche sul lavoro femminile nonché di normative sulla parità; dall’altro per l’esercizio delle loro funzioni, ove si tratti di lavoratori dipendenti, è loro concesso di assentarsi dal posto di lavoro fruendo di permessi speciali retribuiti o non retribuiti.

L’ufficio del Consigliere, che è ubicato rispettivamente presso le Regioni e presso le Province, ovvero presso il Ministero del Lavoro per il Consigliere Nazionale, è "funzionalmente autonomo, dotato di personale, delle apparecchiature e delle strutture necessarie per lo svolgimento dei loro compiti. Il personale, la strumentazione e le attrezzature necessari sono assegnati dagli enti presso cui l’ufficio è ubicato " (art.5).

L’art.3, inoltre, chiarisce, poi, quali siano i principali compiti e funzioni dei Consiglieri:

·        rilevano situazioni di squilibrio di genere al fine di svolgere funzioni di promozione di pari opportunità;

·        promuovono progetti di azioni positive anche attraverso l’individuazione di risorse ;

·        sostengono le politiche attive del lavoro, comprese quelle formative;

·        collaborano con le direzioni regionali e provinciali del lavoro al fine di individuare efficaci procedure di rilevazione delle violazioni alla normativa in materia di parità, pari opportunità e garanzie contro le discriminazioni, anche mediante la progettazione di appositi pacchetti formativi;

·        si occupano di diffondere la conoscenza e lo scambio fra buone prassi e attività di informazione;

·        verificano i risultati della realizzazione dei progetti di azioni positive

·        gestiscono il collegamento e la collaborazione con gli assessorati del lavoro degli enti locali e con altri organismi di parità.

8. Rapporti fra i Consiglieri di Parità e le Direzioni Regionali e Provinciali del Lavoro.

In relazione al rapporto di collaborazione di cui all’art.3 lett.f) del D. L.gs.vo n.196/00 si coglie l’occasione per rammentare che le questioni trattate dai Consiglieri di Parità richiedono spesso tempestività d’intervento, pertanto gli uffici sono invitati a coadiuvare tali organismi al fine di perseguire l’obiettivo comune della tutela del lavoratore. Si richiama, a tale proposito, il punto n.4 dell’art.3 per il quale "su richiesta delle Consigliere o dei Consiglieri di Parità, le direzioni provinciali e regionali del lavoro territorialmente competenti acquisiscono nei luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e promozione professionale, delle retribuzioni, delle condizioni di lavoro, della cessazione del rapporto di lavoro, ed ogni altro elemento utile, anche in base a specifici criteri di rilevazione indicati nella richiesta".

Dal punto di vista più prettamente operativo, si ricorda che le direzioni del lavoro sono istituzionalmente preposte anche alla vigilanza e al controllo della corretta applicazione della normativa sulle pari opportunità. Pertanto, a fronte di una richiesta da parte dei Consiglieri di Parità, gli uffici dovranno esaminare e affrontare le ipotesi di discriminazione prospettate, con la dovuta urgenza inserendole nella ordinaria programmazione e pianificando gli interventi a seguito di una precisa comparazione fra i diversi interessi.

9. Indicazioni operative.  

Al fine di verificare che sia stato rispettato il principio di non discriminazione diretta e indiretta tra uomini e donne, sancito dalla normativa sopra richiamata, gli ispettori dovranno accertare la composizione per genere del personale dipendente dell’azienda. Per il raggiungimento di tale scopo, sarà utile acquisire dati statistici distinti per sesso in relazione all’accesso al lavoro, alle posizioni professionali e retributive, alle progressioni di carriera, alle cessazioni dei rapporti di lavoro e alle condizioni generali dell’ambiente lavorativo. Gli eventuali squilibri nella posizione tra uomini e donne dovranno essere segnalati alla Consigliera di Parità eventualmente competente per le relative indagini.

In sede di verifica, una attenta indagine dovrà, altresì, essere rivolta alle posizioni professionali e delle condizioni ambientali nelle quali si trovano ad operare le lavoratrici al rientro dei periodi di astensione obbligatoria e/o facoltativa per maternità. Infatti, spesso esse vengono adibite a mansioni diverse e, in alcuni casi inferiori, rispetto a quelle precedentemente ricoperte o vengono private degli strumenti idonei per lo svolgimento della loro attività o, ancora, subiscono comportamenti vessatori. Ma non solo. Talora, al rientro in seguito a maternità, potrà risultare sospetto anche un mutamento dell’orario di lavoro: la lavoratrice potrà essere indotta al part-time come alternativa al licenziamento ovvero potrà esserle minacciato il licenziamento qualora richieda la fruizione di un orario ridotto.

Qualora, infine, l’ispezione scaturisca da una denuncia, particolare cura dovrà essere prestata nell’acquisizione di tutti gli elementi utili (documentali o informali ) a verificare l’esistenza della discriminazione stessa. L’ispettore procederà ad acquisire le dichiarazioni della lavoratrice o del gruppo di lavoratrici interessate, del datore di lavoro ovvero del Comitato pari Opportunità aziendale (ove costituito) e di eventuali testimoni provvedendo ad adottare, senza ritardo, tutti i provvedimenti sanzionatori di cui si detto nei paragrafi precedenti.

Confidando nella piena osservanza dei contenuti della presente circolare da parte di codeste direzioni si rimane a disposizione per ogni eventuale chiarimento.

Si raccomanda, altresì, la massima diffusione della direttiva a tutto il personale ispettivo.

 

                                                           LA DIRETTRICE GENERALE
                                                              F.to Dr.ssa Paola CHIARI


 

INPS
DIREZIONE CENTRALE PRESTAZIONI A SOSTEGNO DEL REDDITO
DIREZIONE CENTRALE DELLE ENTRATE CONTRIBUTIVE
DIREZIONE CENTRALE FINANZA, CONTABILITA’ E BILANCIO
circolare 15 marzo 2001 n. 64

 

 

OGGETTO:

Legge 23.12.2000, n. 388, all’art.80, comma 2. Congedi per gravi e documentati motivi familiari. Indennizzabilità fino a due anni delle relative assenze ai genitori o, in caso di loro decesso, ai fratelli o sorelle conviventi di soggetti handicappati in situazione di gravità. Istruzioni contabili. Variazioni al piano dei conti.

 

SOMMARIO:

Dal 1° gennaio 2001 ai genitori o, in caso di loro decesso, ai fratelli o sorelle conviventi di soggetti handicappati in situazione di gravità spettano alternativamente congedi"straordinari" per la durata massima complessiva di due anni nell’arco della vita lavorativa.

I congedi suddetti, per i lavoratori dipendenti da privati datori di lavoro, sono indennizzati dall’INPS nella misura dell’ultima retribuzione, con un massimo di 70 milioni annui per le assenze di durata annuale. Per le assenze di durata inferiore, il massimo indennizzabile è proporzionalmente ridotto.

 

  1. GENERALITÀ

La legge 23.12.2000, n. 388, all’art.80, comma 2, ha aggiunto, dopo il comma 4 dell'articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, il seguente articolo 4-bis.:

"La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, o, dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o delle sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge medesima da almeno cinque anni e che abbiano titolo a fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 1, 2 e 3, della predetta legge n. 104 del 1992 per l'assistenza del figlio, hanno diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 del presente articolo entro sessanta giorni dalla richiesta. Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un'indennità corrispondente all’ultima retribuzione e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa; l'indennità e la contribuzione figurativa spettano fino ad un importo complessivo massimo di lire 70 milioni annue per il congedo di durata annuale. Detto importo è rivalutato annualmente, a decorrere dall'anno 2002, sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. L'indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità. I datori di lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l'importo dell'indennità dall'ammontare dei contributi previdenziali dovuti all'ente previdenziale competente. Per i dipendenti dei predetti datori di lavoro privati, compresi quelli per i quali non è prevista l'assicurazione per le prestazioni di maternità, l'indennità di cui al presente comma è corrisposta con le modalità di cui all'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33. Il congedo fruito ai sensi del presente comma alternativamente da entrambi i genitori, anche adottivi, non può superare la durata complessiva di due anni; durante il periodo di congedo entrambi i genitori non possono fruire dei benefici di cui all'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, fatte salve le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 del medesimo articolo".

Per la prima attuazione di quanto previsto dalla legge suddetta, ai fini dell’erogazione dell’indennità connessa alla fruizione del "congedo straordinario" (come nel corso della presente circolare sarà definito) di cui trattasi, concedibile a far tempo dal 1°.1. 2001, si forniscono le indicazioni che seguono.

Si precisa poi che il riferimento a persone handicappate senza altra specificazione si intende comunque effettuato, nel prosieguo della presente circolare, sempre a soggetti in situazione di gravità, non ricoverati a tempo pieno in strutture specializzate.

 

  1. SOGGETTI AVENTI DIRITTO

Hanno titolo a fruire dei benefici in argomento i lavoratori dipendenti:

a.       genitori, naturali o adottivi, (il diritto non è riconoscibile agli affidatari) di soggetti handicappati per i quali è stata accertata, ai sensi dell’art.4, comma 1, della legge 104/92, da almeno 5 anni, la situazione di gravità contemplata dall’art.3, comma 3, della medesima legge e che abbiano titolo a fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 1, 2 e 3, della predetta legge n. 104 del 1992 (1).

A parte il requisito temporale (riconoscimento da almeno 5 anni) sono richieste quindi le stesse condizioni che consentono ai genitori stessi di fruire dei permessi di cui alla legge 104/92, compresa quella che prevede che il soggetto non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.

La fruizione del beneficio in questione spetta in via alternativa alla madre o al padre, con l’ovvia conseguenza che il beneficio non può essere utilizzato contemporaneamente da entrambi i genitori.

Ciò premesso, in analogia a quanto previsto per la fruizione dei permessi di cui all’art. 33 della 104 citata -anche a seguito delle innovazioni introdotte con la legge 53/2000- (v. circ. n. 133/2000) per l’ottenimento dell’assegno in oggetto non è richiesta la convivenza con il figlio.

Se trattasi di figlio minorenne è senz’altro possibile fruire del beneficio in questione anche se l’altro genitore non lavora; se invece il figlio, convivente con entrambi i genitori, è maggiorenne e l’altro genitore non lavora non è possibile ottenere il beneficio di cui trattasi a meno che non ricorrano i requisiti e le condizioni di cui alla circolare n. 133/2000, punti 2.4. e 2.5, relativi alla dimostrazione dell’impossibilità, da parte del genitore che non lavora, di prestare assistenza.

Sempre in analogia con i criteri della circolare succitata, se il richiedente (padre o madre) non è convivente con il figlio maggiorenne handicappato, occorre che l’assistenza sia prestata in via continuativa ed esclusiva dal richiedente stesso (v. circ. citata, punti 2.3.1 e 2.3.2).

b.      Il diritto è riconoscibile -sempre alternativamente- anche a fratelli o sorelle (ovviamente anche "adottivi") del soggetto handicappato grave (sempre che sia riconosciuto come tale da almeno 5 anni e non sia ricoverato a tempo pieno) in caso di decesso di entrambi i genitori di quest’ultimo; a differenza del diritto dei genitori, è richiesta la convivenza con il soggetto handicappato a prescindere dal fatto che quest’ultimo sia maggiorenne o minorenne. Trattandosi di "parenti", ferma restando la necessità, appena menzionata, della convivenza, sono richieste le altre condizioni previste per il riconoscimento dei permessi della legge 104 a favore dei "parenti". Il limite di due anni di fruizione è quello complessivo tra tutti i fratelli e sorelle e vale nell’arco della vita lavorativa di tutti gli interessati.

Destinatari della provvidenza erogata dall’Istituto per il congedo straordinario di cui trattasi, sono anche (purché si tratti di dipendenti da datori di lavoro privati) i genitori -oppure, nel suddetto caso di decesso, fratelli o sorelle- di soggetto handicappato appartenenti a categorie professionali per le quali non è prevista l’assicurazione per maternità, ai quali non vengono invece, come è noto, riconosciute a carico dell’INPS le prestazioni economiche per permessi ex art. 33 citato.

L’indennità in oggetto non è riconoscibile ai lavoratori domestici e ai lavoratori a domicilio, a cui, come è noto, non sono riconoscibili i permessi di cui alla legge n. 104/92.

Si fa riserva di comunicazioni per quanto si riferisce ai lavoratori a termine, compresi quelli agricoli e quelli stagionali.

 

3. DURATA DELLA PRESTAZIONE

La prestazione è riconoscibile per la durata massima complessiva, nell’arco della vita lavorativa, di due anni, che costituiscono anche il limite complessivo fruibile, tra tutti gli aventi diritto, per ogni persona handicappata. La prestazione stessa può essere frazionata (v. punto 4).

Si sottolinea che comunque i periodi di congedo straordinario di cui trattasi rientrano nel limite massimo globale spettante a ciascun lavoratore ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge n. 53/2000, di due anni di permesso, anche non retribuito, "per gravi e documentati motivi familiari"(il testo completo dell’art. 4 è riportato ad ogni buon conto nell’allegato 1). Trattandosi di limite massimo individuale, ad un lavoratore o lavoratrice che nel tempo avesse fruito (anche soltanto per motivi riguardanti esclusivamente la propria persona e non il figlio handicappato), ad es., di un anno e quattro mesi di permessi anche non retribuiti "per gravi e documentati motivi familiari", il congedo straordinario di cui trattasi potrà essere riconosciuto solo nel limite di otto mesi: naturalmente la differenza fino ai due anni -e cioè un anno e quattro mesi- potrà invece essere riconosciuta all’altro genitore che non avesse mai richiesto permessi per motivi familiari o li avesse chiesti per non oltre otto mesi. Le stesse regole valgono per i fratelli dei soggetti handicappati in caso di decesso dei genitori.

Lo spirito e le finalità della legge portano a concludere che in caso di pluralità di figli handicappati il beneficio spetta per ciascun figlio handicappato, sia pure con i limiti previsti dalle disposizioni impartite, a seguito di parere del Consiglio di Stato, per la fruizione dei permessi ex lege 104 circa la necessità che sia rigorosamente riconosciuta, tramite accertamento sanitario, l’impossibilità di assistenza di ambedue i figli usufruendo di un solo congedo straordinario; a proposito della pluralità di figli portatori di handicap, va peraltro tenuto conto che, dovendosi considerare il congedo straordinario in parola, compreso, come detto, nell’ambito massimo di due anni di permessi "per gravi e documentati motivi familiari", non è mai possibile per lo stesso lavoratore fruire del "raddoppio": infatti, utilizzati i due anni per il primo figlio, avrà esaurito anche il limite individuale per "gravi e documentati motivi personali". La accennata possibilità di fruizione di ulteriori periodi biennali per altri figli handicappati è dunque ipotizzabile solo per l’altro genitore (ovvero, nei casi previsti, per i fratelli o sorelle), con decurtazione di eventuali periodi da lui utilizzati a titolo di permessi per gravi e documentati periodi familiari. Lo spirito e le finalità della legge, invece, escludono che il beneficio in argomento sia concedibile se la persona handicappata da assistere presti, a sua volta, attività lavorativa nel periodo di godimento del congedo da parte degli aventi diritto (genitori o fratelli o sorelle in caso di morte dei genitori).

 

4. MISURA DELLA PRESTAZIONE

L’indennità è corrisposta nella misura dell’ultima retribuzione percepita e cioè quella percepita nell’ultimo mese di lavoro che precede il congedo (comprensiva del rateo di emolumenti non riferibili al solo mese considerato (2), e cioè quelli relativi a tredicesima mensilità, altre mensilità aggiuntive, gratifiche, indennità, premi, ecc.), sempreché la stessa, rapportata ad un anno sia inferiore o pari al limite di 70 milioni di Lire, pari a 36.151,98 Euro (valore valido per il 2000 -v. in appresso). In pratica, ai fini del limite massimo di erogabilità, la retribuzione del mese preso a riferimento (comprensiva della quota parte di tredicesima mensilità, ecc.), se il mese è lavorato a tempo pieno, va moltiplicata per 12 e divisa per 365 giorni (366 se le assenze cadono in un anno bisestile), con un limite giornaliero, quindi (anno 2000), di Lire 191.780 (99,04 Euro). Se invece nel mese preso a riferimento l’attività è stata svolta in regime di contratto di lavoro a part time verticale, la retribuzione percepita nel mese stesso va divisa per il numero dei giorni retribuiti, compresi quelli festivi o comunque di riposo relativi al periodo di lavoro effettuato: la retribuzione giornaliera così determinata va raffrontata con il limite massimo giornaliero sopra indicato (Lire 191.780 per il 2000).

Considerato che, come detto, il beneficio è frazionabile anche a giorni (interi), l’indennità (pari alla retribuzione effettiva, oppure a quella inferiore connessa ai limiti massimi annui suddetti di 70 milioni), è da corrispondere per tutti i giorni per i quali il beneficio è richiesto.

A proposito della frazionabilità si precisa che analogamente alle astensioni facoltative dal lavoro (congedi parentali), ai fini della frazionabilità stessa, tra un periodo e l’altro di fruizione è necessaria -perché non vengano computati nel periodo di congedo straordinario i giorni festivi, i sabati e le domeniche- l’effettiva ripresa del lavoro, requisito non rinvenibile né nel caso di domanda di fruizione del congedo in parola dal lunedì al venerdì (settimana corta) senza ripresa del lavoro il lunedì della settimana successiva a quella di fruizione del congedo, né nella fruizione di ferie. Ciò non significa comunque che immediatamente dopo un periodo di congedo al titolo in argomento non possano essere ammessi periodi di ferie (o di fruizione di altri congedi o permessi), cosicché sia necessario continuare nella fruizione di congedo straordinario. Significa invece che due differenti frazioni di congedo straordinario intervallate da un periodo feriale o altro tipo di congedo, debbono comprendere ai fini del calcolo del numero di giorni riconoscibili come congedo straordinario anche i giorni festivi e i sabati (settimana corta) cadenti subito prima o subito dopo le ferie (o altri congedi o permessi).

Quanto precede vale anche in caso di part time orizzontale. In caso di variazioni successive nell’orario di lavoro previsto nel corso del periodo di congedo richiesto, (passaggio da un periodo part time orizzontale ad uno di lavoro a tempo pieno o viceversa) la retribuzione va ridimensionata per adeguarla a quella che effettivamente verrebbe meno per effetto della fruizione del congedo straordinario: la retribuzione mensile a cui far riferimento è sempre quella effettiva con il limite di 70 milioni di Lire rapportate ad anno -vale a dire con il limite delle anzidette L. 5.833.333 mensili (comprensive delle mensilità aggiuntive, ecc.)-; per le frazioni di mese si richiamano i criteri di cui alla circolare n. 182 del 4.8.1997, par. 1.

Il beneficio invece non è riconoscibile, per i periodi in cui non è prevista attività lavorativa, come ad es. in caso di part time verticale per i periodi non retribuiti.

Se il congedo viene fruito per frazioni di anno, ai fini del computo del periodo massimo previsto per la concessione dei 2 anni di beneficio, l’anno si assume per la durata convenzionale di 365 giorni.

A partire dall’anno 2002 il limite di Lire 70.000.000 è rivalutato annualmente sulla base delle variazioni dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.

 

5. DOMANDA E DOCUMENTAZIONE

La domanda -da avanzare secondo i facsimile allegati 2 (mod. hand 4 - congedi straordinari genitori) e 3 (mod. hand 5 - congedi straordinari fratelli), che le Sedi avranno cura di riprodurre in loco (3)- per l’ottenimento del congedo di cui trattasi va prodotta all’INPS in due copie, una delle quali deve essere restituita a vista (a stretto giro di posta, se pervenuta con tale mezzo), all’interessato con l’attestazione da parte dell’INPS della ricezione, per la consegna al datore di lavoro, che è conseguentemente autorizzato, dal momento della consegna stessa, ad erogare la prestazione, dopo aver verificato le condizioni di erogazione sulla base della documentazione presentata. Eventuali dubbi circa la possibilità di accoglimento vanno tempestivamente comunicati da parte del datore di lavoro all’INPS, affinché l’Istituto stesso assuma le decisioni finali.

L’INPS, dal canto suo, una volta ricevuta la domanda del lavoratore, effettuerà autonomamente, con la massima tempestività, le valutazioni di competenza, comunicando con immediatezza all’interessato e al suo datore di lavoro i motivi che dovessero ostare al riconoscimento del beneficio richiesto. Non è, in sostanza, previsto un provvedimento esplicito di "autorizzazione" nell’ipotesi di esito positivo delle valutazioni anzidette.

Sulla domanda deve essere ovviamente indicato il periodo di congedo che si intende fruire. In caso di modifica del periodo in precedenza fissato, deve essere presentata, con le modalità sopra indicate, una nuova domanda, rettificativa della precedente.

Con la domanda deve essere prodotta dichiarazione dell’altro genitore di non aver fruito del beneficio, con impegno a comunicare all’INPS ed al datore di lavoro eventuali modifiche ovvero con l’indicazione dei periodi fruiti. Dovrà essere riportata con chiarezza la denominazione del relativo datore di lavoro e, possibilmente, il numero di posizione INPS dello stesso, qualora si tratti di datore di lavoro privato.

Alla domanda va allegata la documentazione (anche in copia dichiarata autentica) relativa al riconoscimento della gravità dell’handicap, a suo tempo rilasciata dalla commissione medica della competente ASL, ai sensi dell’art. 4 comma 1 della legge 104/92, con dichiarazione di responsabilità relativa al fatto che nel frattempo non sono intervenute variazioni nel riconoscimento della gravità dell’handicap stesso ed impegno a comunicare qualsiasi variazione che possa avere riflessi sul diritto al congedo.

Si ricorda che l’accertamento della gravità dell’handicap deve essere stato effettuato dalla competente commissione ASL da almeno 5 anni. Fa fede a tale proposito la data di rilascio del provvedimento, salvo che sulla certificazione non sia indicata una diversa decorrenza.

Non è necessario presentare nuovamente la documentazione qualora l’accertamento sanitario suddetto sia già in possesso dell’Istituto per una precedente domanda presentata allo stesso e al datore di lavoro: è sufficiente dichiarazione in tal senso, unitamente a quella relativa alla permanenza delle condizioni di gravità.

Il congedo straordinario e le relative prestazioni s’intendono decorrenti dalla data indicata sulla domanda, salvo diversa decorrenza fissata dal datore di lavoro (da comunicare al lavoratore e all’INPS) (4), che in ogni modo è tenuto ad accoglierla (sempre che sussistano le condizioni) entro 60 giorni dalla richiesta dell’interessato.

 

6.       MODALITÀ DI CORRESPONSIONE DELL’INDENNITÀ

L’indennità per il congedo in questione è anticipata dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti di maternità, vale a dire con possibilità di conguaglio con i contributi dovuti all’INPS.

Tale possibilità è prevista per i soli datori di lavoro privati, compresi quelli non tenuti al versamento della contribuzione per i trattamenti economici di maternità.

Per quanto riguarda i lavoratori agricoli a tempo indeterminato, conformemente al sistema di cui all’art.1 della legge 33/80, il pagamento deve essere effettuato direttamente dall’INPS; le relative istruzioni verranno fornite a parte.

6.1. Istruzioni per i datori di lavoro che operano con il sistema del DM10/2

Ai fini della compilazione del mod. DM10/2, i datori di lavoro indicheranno l'importo dell'indennità in argomento in uno dei righi in bianco del quadro "D" utilizzando il codice di nuova istituzione "L070", preceduto dalla dicitura "IND. CONG. art.80 L.388/2000".

Con la stessa denuncia contributiva i datori di lavoro provvederanno a conguagliare anche le eventuali indennità afferenti ai periodi di paga a partire da "GENNAIO 2001".

Nella denuncia interessata dalle operazioni di conguaglio delle indennità ex art.80 L.388/2000, i datori di lavoro provvederanno, altresì, ad indicare il numero dei dipendenti ai quali si riferiscono le indennità in parola, riportandolo in uno dei righi in bianco dei quadri "B-C" del mod.DM10/2, preceduto dal codice di nuova istituzione "CS01", e dalla dicitura "CONG. STRAORD."

Stante la finalità statistica di tale rilevazione nessun dato dovrà essere riportato nelle caselle "GIORNATE", "RETRIBUZIONI" e "SOMME A DEBITO".

Nelle ipotesi in cui il lavoratore richieda al datore di lavoro la trasformazione delle giornate di assenza per le quali ha percepito l’indennità ex art. 80 lege n. 388/2000 in "ferie" o permessi di altro genere (v. successivo punto 7), con la denuncia afferente il periodo in cui viene richiesta la trasformazione, il datore di lavoro provvederà alla restituzione delle somme anticipate a titolo di "congedo straordinario".

L’importo da restituire dovrà essere esposto in uno dei righi in bianco dei quadri "B-C" del mod.DM10/2 preceduto dalla dicitura "REST.CONG.STRAORD." e dal codice di nuova istituzione "M070". Nessun dato dovrà essere riportato nelle caselle "GIORNATE", "NUMERO DIPENDENTI" e "RETRIBUZIONI".

 

7. COMPATIBILITÀ DEL CONGEDO STRAORDINARIO CON ALTRI PERMESSI

La legge finanziaria prevede esplicitamente che "durante il periodo di congedo entrambi i genitori non possono usufruire dei benefici di cui all’art.33 della legge 104/92".

Ciò significa non solo che, come ovvio, chi fruisce del congedo in questione non può richiedere durante lo stesso periodo permessi ai sensi dell’art. 33 suindicato ma che tale facoltà è preclusa nello stesso periodo anche all’altro genitore (o all’altro fratello o sorella in caso di fruizione da parte di tali soggetti).

Significa anche che non è possibile, prima o dopo la fruizione di un periodo di congedo straordinario che si riferisca -anche solo come conseguenza della fruizione del congedo stesso a cavaliere di due o più mesi- ad una sola parte del mese, richiedere nell’ambito dello stesso mese giorni di permesso ex lege 104/92 (5). Nel caso di fruizione, nell’ambito dello stesso mese -prima del godimento di un periodo di congedo straordinario- di permessi di cui alla legge da ultimo citata, i giorni di permesso utilizzati ai sensi della legge 104 saranno conteggiati, sempre che sussistano le altre condizioni (essenzialmente quella del riconoscimento della gravità dell’handicap da almeno 5 anni), come "congedo straordinario": in tale ultima ipotesi si dovrà tenere conto, se necessario, dei criteri illustrati al punto 4), terzo capoverso. E’ comunque fatta salva la possibilità per il lavoratore stesso di richiedere al datore di lavoro la trasformazione delle suddette giornate di assenza in "ferie" o permessi di altro genere, retribuiti o meno: in ogni caso le indennità a carico INPS per le giornate come sopra non riconoscibili devono essere recuperate per il tramite del datore di lavoro.

Quanto precede vale anche nel caso in cui i permessi stessi vengano richiesti nell’ambito dello stesso mese dal secondo genitore (o, nei casi previsti, fratello o sorella), prima o dopo la fruizione del periodo frazionato di congedo straordinario da parte dell’altro.

Perciò, ad es., se un congedo straordinario viene chiesto dal 24.1. al 5.4., non potranno essere riconosciuti, né alla madre né al padre, giorni di permesso ex lege 104, sia nel mese di gennaio che in quello di aprile (oltre che in quelli di febbraio e marzo).

Il verificarsi, per lo stesso soggetto, durante il "congedo straordinario", di altri eventi che di per sè potrebbero giustificare una astensione dal lavoro, non determina interruzione nel congedo straordinario. In caso di malattia o maternità è però fatta salva una diversa esplicita volontà da parte del lavoratore o della lavoratrice volta ad interrompere la fruizione del congedo straordinario, interruzione che può comportare o meno, secondo le regole consuete, l’erogazione di indennità a carico dell’INPS; in tal caso la possibilità di godimento, in momento successivo, del residuo del congedo straordinario suddetto, è naturalmente subordinata alla presentazione di nuova domanda (v. par. 4). A proposito della indennizzabilità o meno dell’evento di malattia o di maternità che consente l’interruzione del congedo straordinario si sottolinea in particolare che, considerato che la fruizione del congedo straordinario comporta la sospensione del rapporto di lavoro, l’indennità è riconoscibile solo se non sono trascorsi più di 60 giorni (6) dall’inizio della sospensione (in linea di massima coincidente, come è noto, con l’ultima prestazione lavorativa).

L’astensione facoltativa da parte dell’altro genitore, per il medesimo figlio handicappato e nello stesso periodo in cui il primo genitore è in godimento del congedo straordinario, non è ammissibile in quanto l’alternatività di cui alla disposizione in esame si riferisce anche al godimento di benefici diretti al medesimo fine, da parte dell’altro genitore.

 

8. CONTRIBUZIONE FIGURATIVA

La disposizione in esame prevede che "il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa", che spetta, come l’indennità "fino ad un importo complessivo massimo di lire 70 milioni annue per il congedo di durata annuale".

Sull’argomento si fa riserva di istruzioni a parte.

 

9. NORME CONTABILI

Per l'imputazione contabile dell'indennità percepita durante la fruizione del congedo straordinario di cui si tratta, stante la sua natura di prestazione a sostegno della famiglia con onere a carico dello Stato e quindi da evidenziare, come già precisato con circolare n. 206 dell'11.12.2000, nella contabilità separata " GAT " nell'ambito della "Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali", sono stati istituiti i seguenti conti:

·         GAT 30/06 - se anticipata dai datori di lavoro, di competenza degli anni precedenti:

diretta da parte dell'Istituto.

Per la rilevazione di eventuali recuperi delle indennità in argomento è stato istituito il conto GAT 24/34. In corrispondenza di tale conto è stato istituito il codice di bilancio " 87 " con il quale sarà aggiornata la procedura "recupero crediti per prestazioni".

Al predetto conto verranno imputati, da parte della procedura DM, anche eventuali recuperi effettuati al suddetto titolo dai datori di lavoro.

Gli importi relativi alle partite di che trattasi che alla fine dell'esercizio risultino ancora da definire, saranno imputati, mediante la ripartizione del saldo del conto GPA 00/32 eseguita dalla suddetta procedura, al conto esistente GAT 00/30.

Il suddetto codice di bilancio con la denominazione: "Indennità derivante da congedo straordinario art. 80, comma 2, L. 388/2000" dovrà essere utilizzato, ovviamente, anche per evidenziare, nell'ambito del partitario del conto GPA 00/69, i crediti per prestazioni divenuti inesigibili.

Inoltre, le eventuali somme non riscosse dai beneficiari dovranno essere evidenziate nell'ambito del partitario del conto GPA 10/31 e contraddistinte dal codice di bilancio di nuova istituzione " 87 - Somme non riscosse dai beneficiari - indennità derivante da congedo straordinario art. 80, comma 2, L. 388/2000".

Al termine dell'esercizio le partite in argomento che risultino ancora da definire dovranno essere imputate al conto GAT 10/36.

Nell'allegato n. 4 si riportano i conti di nuova istituzione GAT 10/35, GAT 10/36, GAT 24/34, GAT 30/06, GAT 30/07, GAT 30/86 e GAT 30/87.

 

1.       Il riferimento ai commi 1 e 2 dell’art. 33 della l. 104 -che come è noto, sono applicabili solo fino al terzo anno di età del bambino- è certamente improprio per situazioni di handicap grave accertato da almeno cinque anni: il riferimento stesso deve intendersi perciò operato solo ai fini dell’individuazione dei soggetti titolari del diritto al congedo straordinario.

    1. Si ricorda che gli emolumenti di cui trattasi sono da calcolare "pro quota" (vale a dire "in frazioni"), anche se gli stessi sono stati corrisposti per intero nel mese considerato ovvero in questo non siano stati corrisposti affatto: così, ad es., va comunque calcolata la quota frazionaria di tredicesima o premi, gratifiche, ecc.. Normalmente la frazione stessa è pari ad 1/12; se il premio, gratifica, ecc. spettanti sono riferiti a periodi inferiori all’anno la frazione si riduce in proporzione (es.: 1/6 dei premi semestrali).
    2. La stampa sarà curata dalle Sedi utilizzando gli stanziamenti di bilancio previsti per l’approvvigionamento di modulari.

Per l’allestimento tipografico dei moduli dovrà essere utilizzato il formato A3 (cm. 29,7 x 42) in modo che il foglio ripiegato assuma le dimensioni del formato A4 (cm. 21 x 29,7).

In sostanza, sulla facciata anteriore (da ripiegare) dovranno essere stampate, a sinistra la pag. 4 e a destra la pag. 1, e sulla facciata posteriore a sinistra la pag. 2 e a destra la pag. 3.

Come può rilevarsi dai moduli consultabili nel sito INTRANET/INTERNET, il colore di alcuni riquadri è arancio chiaro per il mod. hand 4 - congedi straordinari genitori, giallo chiaro per il mod. hand 5 - congedi straordinari fratelli.

Ovviamente i moduli possono essere stampati da P.C., per singola pagina, in formato A4, utilizzando i "files" scaricabili dal predetto sito INTERNET/INTRANET.

    1. Tale comunicazione può essere considerata in linea di massima sufficiente, salvo diversa indicazione del lavoratore stesso, per la modifica del periodo precedentemente fissato.
    2. Per determinare la non fruibilità dei riposi giornalieri ex lege 104 nell’arco dello stesso mese è sufficiente che una parte anche minima di congedo straordinario cada nell’arco di un mese.
    3. In caso di malattia il termine di 60 giorni è elevato a due mesi, se il computo è più favorevole.

Documento della Cgil Confederale da parte delle Politiche fiscali e Politiche di pari opportunita' 

GLI INTERVENTI DELLA LEGGE FINANZIARIA 2001
 D’INTERESSE PER LE DONNE

 

 

1.      I capitoli della Finanziaria prevedono una serie di interventi di: riduzione della pressione fiscale per le famiglie, con particolare riguardo ai redditi da lavoro dipendente e da pensione medio-bassi (innalzamento della fascia esente, ampliamento del primo scaglione Irpef, diminuzione delle aliquote centrali Irpef, maggiorazione della integrazione delle pensioni al minimo); alleggerimento della pressione fiscale sulle imprese, con particolare riguardo a quelle minori (riduzioni fiscali su Irap e Irpeg, introduzione di regimi agevolati, riduzione dei costi energetici, riduzione del costo del lavoro); sostegno alla nuova occupazione e agli investimenti (utilizzo del credito d’imposta, utilizzo delle risorse derivanti dai proventi UMTS); riduzione di alcune spese di prima necessità (riduzione del costo del riscaldamento e dei carburanti, eliminazione progressiva dei ticket sanitari).

 

2.      La Cgil ha espresso un giudizio positivo sul testo di Legge Finanziaria, definitivamente approvato alla Camera il 22 dicembre scorso. La perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni lorde negli ultimi dieci anni specie ai livelli medio-bassi, dove sono maggiormente concentrate le retribuzioni femminili; il contributo dato dai redditi da lavoro dipendente e da pensione al risanamento del paese; la crescita di produttività del sistema andata tutta a vantaggio dei profitti delle imprese; il ripresentarsi di una nuova questione salariale nel conflitto distributivo: sono state le ragioni da noi portate a sostegno di una chiara scelta di priorità nell’identificare i soggetti beneficiari della restituzione fiscale. La manovra finanziaria per il 2001 ha dato una prima risposta in termini di equità, avendo come obiettivo privilegiato l’aumento del reddito disponibile di lavoratrici, lavoratori e pensionati. La restituzione fiscale, infatti, ha riguardato per 2/3 i redditi delle famiglie e per 1/3 le imprese. Inoltre, ha definito una serie di misure a sostegno del lavoro e dello sviluppo, riaffermando il valore positivo della tassazione come fondativo di un patto tra cittadini e Stato, l’utilità delle politiche fiscali per lo sviluppo e la coesione sociale.

  

3.      L’alleggerimento della pressione fiscale sui redditi da lavoro dipendente e da        pensione medio-bassi (in particolare, l’ampliamento del primo scaglione di reddito a 20 milioni e l’ampliamento della fascia esente a 12 milioni), interessa in modo significativo le donne, spesso collocate a questo livello nella scala dei redditi. Interessa molte donne anziane, anche la modifica introdotta nel corso dell’iter parlamentare, da noi sostenuta, riguardante il sostegno dei redditi da pensione cosiddetti ‘incapienti’, ossia di coloro i cui redditi sono talmente bassi da non poter usufruire neppure del beneficio dell’aumento delle detrazioni. A questo proposito, la Finanziaria ha previsto la maggiorazione di 300 mila lire annue in favore dei titolari di trattamenti pensionistici pubblici non superiori al trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, soggetta ai vincoli definiti per gli interventi di natura assistenziale (riferimento al limite di reddito e al reddito di coppia).

 

4.      Il collegato alla Legge Finanziaria 2000 ha introdotto alcune misure a sostegno del lavoro parasubordinato, equiparandone il trattamento fiscale al reddito da lavoro dipendente (modalità del prelievo, detrazioni, assegni familiari); la Legge Finanziaria 2001 ha ampliato le tutele per il lavoro parasubordinato, prevedendo una sorta di ‘totalizzazione’ dei contributi previdenziali. Il riconoscimento di tutele e di diritti ai lavoratori e le lavoratrici cosiddetti ‘atipici’ è importante, perché risponde ad una logica di ‘inclusione’ nel welfare di soggetti prima esclusi, mediante una politica di ampliamento e non di redistribuzione al ribasso di quello che c’è. La presenza tra i lavoratori atipici delle donne è, come si sa, rilevante.

 

5.      Un altro intervento che interessa in modo particolare le lavoratrici nelle fasce di lavoro più deboli e precarizzate, previsto in Finanziaria e da noi fortemente sostenuto, riguarda l’individuazione di una nuova detrazione corrisposta ai redditi entro i 12 milioni di lire, dei lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo determinato di durata  inferiore all’anno.

 

6.      Per quanto riguarda le politiche di sostegno al lavoro, è previsto il monitoraggio e la verifica degli effetti dell’agevolazione alle imprese introdotta con il credito d’imposta per l’assunzione di nuovi dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, identificando la nuova occupazione generata per area territoriale, sesso, età e professionalità.

  

7.      Per quanto infine attiene alle politiche sociali, vi è un aumento delle detrazioni per ciascun figlio a carico nel 2001 e nel 2002 (rispettivamente fino a 552.000 e 588.000 lire per il primo figlio per i redditi fino a 100 milioni di lire;  fino a 616.000 e 652.000 lire dal secondo figlio per i redditi sino a 100 milioni di lire; di 240.000 lire è la maggiorazione per i figli sotto i tre anni di età); l’aumento dell’assegno di maternità da 300.000 a 500.000 lire mensili (purtroppo riconosciuto ancora solo alle cittadine italiane); la possibilità di fruire di congedi parentali per l’assistenza del figlio con handicap, con indennità e contribuzione figurativa spettanti fino ad un importo massimo di lire 70 milioni annui. Sono previste una serie di misure relative al sistema pensionistico: un nuovo sistema di rivalutazione automatica delle pensioni;  la maggiorazione concessa ai titolari dell’assegno sociale pari a 25.000 lire mensili e a 40.000 lire mensili, rispettivamente riconosciute ai titolari con età inferiore o uguale e superiore a settantacinque anni di età; l’elevamento della maggiorazione sociale per le pensioni al minimo pari a 80.000 lire mensili, per i titolari di pensione con età inferiore a settantacinque anni e pari a 100.000 lire mensili, per i titolari di pensione con età pari o superiore a settantacinque anni. Per quanto infine riguarda il riconoscimento del lavoro di cura, il Collegato alla Finanziaria 2000, prevede la deducibilità dal reddito imponibile di una cifra massima di 3 milioni di lire degli oneri sociali versati dal datore di lavoro per gli addetti ai servizi domestici e di assistenza personale (baby sitter, assistenza agli anziani, etc.).

 Roma, 12 Marzo 2001

 


  Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale

Comitato Nazionale di Parita’ e Pari Opportunità nel lavoro

 

 

Dott. Ubaldo Poti

Capo Dipartimento Funzione Pubblica

Corso Vittorio Emanuele II, 116

00186 ROMA

 

 

            Egregio Dottore,

 

            l’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 196 del 23 maggio 2000, nell’intento di dare effettività alla previsione di cui all’art. 2, comma 6, della legge n. 125 del 10 aprile 1991, impone alle pubbliche amministrazioni la predisposizione di piani di azioni positive tendenti ad assicurare, nel loro ambito rispettivo, la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari opportunità di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne. Detti piani, adottati in conformità alla procedura prevista dalla legge, hanno durata triennale ed in sede di prima applicazione vanno predisposti entro il 30 giugno 2001; l’imposizione della scadenza, e la previsione della sanzione applicabile alle ipotesi di mancato adempimento al disposto legale, serve a richiamare l’attenzione delle pubbliche amministrazioni sull’adempimento di tale obbligo, in larghissima misura inattuato stanti le previgenti disposizioni.

            L’approssimarsi della data indicata nel d.lgs. 196 per porre in essere i piani di azioni positive fa apparire quanto mai opportuno e urgente, da parte di questo Comitato Nazionale di Parità, istituito per legge al fine di promuovere condizioni di parità e di pari opportunità nell’accesso al lavoro e nelle condizioni di lavoro tra uomini de donne, sollecitare a codesto Ministero, nelle forme ritenute adeguate e pertinenti, l’emanazione di un atto di indirizzo rivolto alle amministrazioni destinatarie dell’obbligo in parola, al fine di richiamare la loro attenzione sulla importanza dell’adempimento in discorso per dare corretta attuazione all’obiettivo di assicurare effettive condizioni di pari opportunità alle donne nell’accesso al lavoro, nello svolgimento delle carriere, nella corresponsione di voci salariali legate alle concrete modalità di svolgimento della prestazione, nella attribuzione delle posizioni organizzative, nella concreta fruibilità di opportunità formative, ecc., obiettivo con il quale le autorità nazionali sono chiamate a misurarsi anche nel quadro europeo delle procedure di coordinamento delle politiche occupazionali, previste dal Trattato di Amsterdam, in particolare ai fini delle misure previste nel quarto pilastro.

            Se è vero, infatti, che il tasso di femminilizzazione delle forze di lavoro è massimo in alcuni comparti pubblici, è tuttavia altrettanto vero che ai livelli professionali più elevati e nelle posizioni dirigenziali si continua ad assistere ad una sottorappresentazione della presenza femminile, e che spesso il datore di lavoro pubblico appare restio a sperimentare in concreto nuove modalità flessibili di erogazione della prestazione di lavoro pur consentite da una normativa che su questo terreno appare all’avanguardia e che potrebbe agevolare soprattutto le donne nel conciliare i loro mille impegni familiari e professionali. Adeguati piani di azioni positive potrebbero, pertanto, in considerazione delle situazioni di squilibrio di genere in concreto esistenti, favorire nel tempo un progressivo riequilibrio della presenza femminile nelle attività e nelle posizioni gerarchiche in cui le donne sono sottorappresentate, nonché servirsi dei nuovi strumenti normativi (telelavoro, part-time, congedi, opportunità formative, ecc.) per rispondere a concrete esigenze manifestate dalle donne, la cui soddisfazione potrebbe liberare notevoli risorse organizzative.

            Certa del Suo impegno e dell’Attenzione da Lei riservata alla questione prospettata, che potrebbe dare alle pubbliche amministrazioni quel ruolo trainante in materia di promozione di pari opportunità che il legislatore del ’91 aveva immaginato, Le invio i più cordiali saluti.

 

        La Vice Presidente 
Libera Del Rosario Chiaromonte

   


Decreto Legislativo 23 maggio 2000, n. 196

"Disciplina dell'attivita' delle consigliere e dei consiglieri di parita' e disposizioni in materia di azioni positive, a norma dell'articolo 47 della legge 17 maggio 1999, n. 144"

 

Art. 7.
Azioni positive

1. All'articolo 2 della legge 10 aprile 1991, n. 125, il comma 1 e' sostituito dal seguente:
"1. A partire dal 1° ottobre ed entro il 30 novembre di ogni anno, i datori di lavoro pubblici e privati, i centri di formazione professionale accreditati, le associazioni, le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali possono richiedere al Ministero del lavoro e della previdenza sociale di essere ammessi al rimborso totale o parziale di oneri finanziari connessi all'attuazione di progetti di azioni positive presentati in base al programma-obiettivo di cui all'articolo 6, comma 1, lettera c).".

2. All'articolo 6, comma 1, della legge 10 aprile 1991, n. 125, la lettera c) e' sostituita dalla seguente:
"c) formula entro il 31 maggio di ogni anno un programma-obiettivo nel quale vengono indicate le tipologie di progetti di azioni positive che intende promuovere, i soggetti ammessi per le singole tipologie ed i criteri di valutazione. Il programma e' diffuso dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;".

3. All'articolo 6, comma 1, della legge 10 aprile 1991, n. 125, la lettera g) e' sostituita dalla seguente:
"g) propone soluzioni alle controversie collettive, anche indirizzando gli interessati all'adozione di progetti di azioni positive per la rimozione delle discriminazioni pregresse o di situazioni di squilibrio nella posizione di uomini e donne in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e promozione professionale, delle condizioni di lavoro e retributive, stabilendo eventualmente, su proposta del collegio istruttorio, l'entita' del cofinanziamento di una quota dei costi connessi alla loro attuazione;".

4. All'articolo 7 della legge 10 aprile 1991, n. 125, il comma 4 e' sostituito dal seguente:
"4. Il Comitato e il collegio istruttorio deliberano in ordine alle proprie modalita' di organizzazione e di funzionamento; per lo svolgimento dei loro compiti possono costituire specifici gruppi di lavoro. Il Comitato puo' deliberare la stipula di convenzioni nonche' di avvalersi di collaborazioni esterne:
a) per l'effettuazione di studi e ricerche;

b) per attivita' funzionali all'esercizio dei compiti in materia di progetti di azioni positive previsti dall'articolo 6, comma 1, lettera d).".

5. Ai sensi degli articoli 1, comma 1, lettera c), 7, comma 1, e 61, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni e tutti gli enti pubblici non economici, nazionali, regionali e locali, sentiti gli organismi di rappresentanza previsti dall'articolo 47 del citato decreto legislativo n. 29 del 1993 ovvero, in mancanza, le organizzazioni rappresentative nell'ambito del comparto e dell'area di interesse, sentito inoltre, in relazione alla sfera operativa della rispettiva attivita', il Comitato di cui all'articolo 5 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e la consigliera o il consigliere nazionale di parita', ovvero il Comitato per le pari opportunita' eventualmente previsto dal contratto collettivo e la consigliera o il consigliere di parita' territorialmente competente, predispongono piani di azioni positive tendenti ad assicurare, nel loro ambito rispettivo, la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari opportunita' di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne. Detti piani, fra l'altro, al fine di promuovere l'inserimento delle donne nei settori e nei livelli professionali nei quali esse sono sottorappresentate, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera d), della citata legge n. 125 del 1991, favoriscono il riequilibrio della presenza femminile nelle attivita' e nelle posizioni gerarchiche ove sussiste un divario fra generi non inferiore a due terzi. A tale scopo, in occasione tanto di assunzioni quanto di promozioni, a fronte di analoga qualificazione e preparazione professionale tra candidati di sesso diverso, l'eventuale scelta del candidato di sesso maschile e' accompagnata da un'esplicita ed adeguata motivazione. I piani di cui al presente articolo hanno durata triennale. In sede di prima applicazione essi sono predisposti entro il 30 giugno 2001. In caso di mancato adempimento si applica l'articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29.

6. In fase di prima attuazione, il programma obiettivo di cui all'articolo 6, comma 1, lettera c), della legge 10 aprile 1991, n. 125, come sostituito dal comma 2, e' formulato per l'anno 2000 entro due mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

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Decreto Legislativo 3 febbraio 1993 n.29

 

1. Finalità ed ambito di applicazione.

             1. Le disposizioni del presente decreto disciplinano l'organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, tenuto conto delle autonomie locali e di quelle delle regioni e delle province autonome, nel rispetto dell'articolo 97, comma primo, della Costituzione, al fine di:

………

c) realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori e applicando condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro privato .

 

6. Organizzazione e disciplina degli uffici e dotazioni organiche.

……………..

6. Le amministrazioni pubbliche che non provvedono agli adempimenti di cui al presente articolo e a quelli previsti dall'articolo 31 non possono assumere nuovo personale, compreso quello appartenente alle categorie protette .

 

7. Gestione delle risorse umane.

             1. Le amministrazioni pubbliche garantiscono parità e pari opportunità tra uomini e donne per l'accesso al lavoro ed il trattamento sul lavoro.

 

47. Diritti e prerogative sindacali nei luoghi di lavoro.

             1. Nelle pubbliche amministrazioni la libertà e l'attività sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle disposizioni della Legge 20 maggio 1970 n.300, e successive modificazioni. Fino a quando non vengano emanate norme di carattere generale sulla rappresentatività sindacale che sostituiscano o modifichino tali disposizioni, le pubbliche amministrazioni, in attuazione dei criteri di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), della Legge 23 ottobre 1992 n.421 , osservano le disposizioni seguenti in materia di rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini dell'attribuzione dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro e dell'esercizio della contrattazione collettiva.

 2. In ciascuna amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, le organizzazioni sindacali che, in base ai criteri dell'articolo 47-bis, siano ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi, possono costituire rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell'articolo 19 e seguenti della Legge 20 maggio 1970 n.300 . Ad esse spettano, in proporzione alla rappresentatività, le garanzie previste dagli articoli 23, 24 e 30 della medesimaLegge 20 maggio 1970 n.300, e le migliori condizioni derivanti dai contratti collettivi nonché dalla gestione dell'accordo recepito nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 ottobre 1994, n. 770 , e dai successivi accordi.

 3. In ciascuna amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, ad iniziativa anche disgiunta delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2, viene altresì costituito, con le modalità di cui ai commi seguenti, un organismo di rappresentanza unitaria del personale mediante elezioni alle quali è garantita la partecipazione di tutti i lavoratori.

             4. Con appositi accordi o contratti collettivi nazionali, tra l'ARAN e le confederazioni o organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell'articolo 47-bis, sono definite la composizione dell'organismo di rappresentanza unitaria del personale e le specifiche modalità delle elezioni, prevedendo in ogni caso il voto segreto, il metodo proporzionale e il periodico rinnovo, con esclusione della prorogabilità. Deve essere garantita la facoltà di presentare liste, oltre alle organizzazioni che, in base ai criteri dell'articolo 47-bis, siano ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi, anche ad altre organizzazioni sindacali, purché siano costituite in associazione con un proprio statuto e purché abbiano aderito agli accordi o contratti collettivi che disciplinano l'elezione e il funzionamento dell'organismo. Per la presentazione delle liste, può essere richiesto a tutte le organizzazioni sindacali promotrici un numero di firme di dipendenti con diritto al voto non superiore al 3 per cento del totale dei dipendenti nelle amministrazioni, enti o strutture amministrative fino a duemila dipendenti, e del 2 per cento in quelle di dimensioni superiori.

 5. I medesimi accordi o contratti collettivi possono prevedere che, alle condizioni di cui al comma 8, siano costituite rappresentanze unitarie del personale comuni a più amministrazioni o enti di modeste dimensioni ubicati nel medesimo territorio. Essi possono altresì prevedere che siano costituiti organismi di coordinamento tra le rappresentanze unitarie del personale nelle amministrazioni e enti con pluralità di sedi o strutture di cui al comma 8.

            6. I componenti della rappresentanza unitaria del personale sono equiparati ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali ai fini della Legge 20 maggio 1970 n.300 , e successive modificazioni e del presente decreto legislativo. Gli accordi o contratti collettivi che regolano l'elezione e il funzionamento dell'organismo, stabiliscono i criteri e le modalità con cui sono trasferite ai componenti eletti della rappresentanza unitaria del personale le garanzie spettanti alle rappresentanze sindacali aziendali delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2 che li abbiano sottoscritti o vi aderiscano.

 7. I medesimi accordi possono disciplinare le modalità con le quali la rappresentanza unitaria del personale esercita in via esclusiva i diritti di informazione e di partecipazione riconosciuti alle rappresentanze sindacali aziendali dall'articolo 10 e successive modificazioni o da altre disposizioni della legge e della contrattazione collettiva. Essi possono altresì prevedere che, ai fini dell'esercizio della contrattazione collettiva integrativa, la rappresentanza unitaria del personale sia integrata da rappresentanti delle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto.

 8. Salvo che i contratti collettivi non prevedano, in relazione alle caratteristiche del comparto, diversi criteri dimensionali, gli organismi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo possono essere costituiti, alle condizioni previste dai commi precedenti, in ciascuna amministrazione o ente che occupi oltre quindici dipendenti. Nel caso di amministrazioni o enti con pluralità di sedi o strutture periferiche, possono essere costituiti anche presso le sedi o strutture periferiche che siano considerate livelli decentrati di contrattazione collettiva dai contratti collettivi nazionali.

 9. Fermo restando quanto previsto dal comma 2 per la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell'articolo 19 della Legge 20 maggio 1970 n.300 , la rappresentanza dei dirigenti nelle amministrazioni, enti o strutture amministrative è disciplinata, in coerenza con la natura delle loro funzioni, dagli accordi o contratti collettivi riguardanti la relativa area contrattuale.

             10. Alle figure professionali per le quali nel contratto collettivo del comparto sia prevista una disciplina distinta ai sensi dell'articolo 45, comma 3, deve essere garantita una adeguata presenza negli organismi di rappresentanza unitaria del personale, anche mediante l'istituzione, tenuto conto della loro incidenza quantitativa e del numero dei componenti dell'organismo, di specifici collegi elettorali.

 11. Per quanto riguarda i diritti e le prerogative sindacali delle organizzazioni sindacali delle minoranze linguistiche, nell'ambito della provincia di Bolzano e della regione Valle d'Aosta, si applica quanto previsto dall'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 6 gennaio 1978, n. 58 , e dal decreto legislativo 28 dicembre 1989, n. 430.

 

61. Pari opportunità.

             1. Le pubbliche amministrazioni, al fine di garantire pari opportunità tra uomini e donne per l'accesso al lavoro ed il trattamento sul lavoro:

 a) riservano alle donne, salva motivata impossibilità, almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso, fermo restando il principio di cui all'articolo 36, comma 3, lettera e) ;

 b) adottano propri atti regolamentari per assicurare pari opportunità di uomini e donne sul lavoro, conformemente alle direttive impartite dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica ;

 c) garantiscono la partecipazione delle proprie dipendenti ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale in rapporto proporzionale alla loro presenza nelle amministrazioni interessate ai corsi medesimi, adottando modalità organizzative atte a favorirne la partecipazione, consentendo la conciliazione fra vita professionale e vita familiare ;

 d) possono finanziare programmi di azioni positive e l'attività dei Comitati pari opportunità nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio .

             2. Le pubbliche amministrazioni, secondo le modalità di cui all'articolo 10, adottano tutte le misure per attuare le direttive della Unione europea in materia di pari opportunità, sulla base di quanto disposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica .

 

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Legge 10 aprile 1991 n.125

 

1. Finalità. -

2. Le azioni positive di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di:

…………

d) promuovere l'inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;

 

5. Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici. -

1. Al fine di promuovere la rimozione dei comportamenti discriminatori per sesso e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l'uguaglianza delle donne nell'accesso al lavoro e sul lavoro e la progressione professionale e di carriera è istituito, presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, il Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici.

2. Fanno parte del Comitato:

 a) il Ministro del lavoro e della previdenza sociale o, per sua delega, un Sottosegretario di Stato, con funzioni di presidente;

 b) cinque componenti designati dalle confederazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale;

 c) cinque componenti designati dalle confederazioni sindacali dei datori di lavoro dei diversi settori economici, maggiormente rappresentative sul piano nazionale;

 d) un componente designato unitariamente dalle associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo più rappresentative sul piano nazionale;

 e) undici componenti designati dalle associazioni e dai movimenti femminili più rappresentativi sul piano nazionale operanti nel campo della parità e delle pari opportunità nel lavoro;

 f) il consigliere di parità componente la commissione centrale per l'impiego.

3. Partecipano, inoltre, alle riunioni del Comitato, senza diritto di voto:

 a) sei esperti in materie giuridiche, economiche e sociologiche, con competenze in materia di lavoro;

 b) cinque rappresentanti, rispettivamente, dei Ministeri della pubblica istruzione, di grazia e giustizia, degli affari esteri, dell'industria, del commercio e dell'artigianato, del Dipartimento della funzione pubblica;

 c) cinque funzionari del Ministero del lavoro e della previdenza sociale con qualifica non inferiore a quella di primo dirigente, in rappresentanza delle Direzioni generali per l'impiego, dei rapporti di lavoro, per l'osservatorio del mercato del lavoro, della previdenza ed assistenza sociale nonché dell'ufficio centrale per l'orientamento e la formazione professionale dei lavoratori.

4. I componenti del Comitato durano in carica tre anni e sono nominati dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Per ogni componente effettivo è nominato un supplente.

5. Il Comitato è convocato, oltre che ad iniziativa del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, quando ne facciano richiesta metà più uno dei suoi componenti.

6. Il Comitato delibera in ordine al proprio funzionamento e a quello del collegio istruttorio e della segreteria tecnica di cui all'articolo 7, nonché in ordine alle relative spese.

            7. Il vicepresidente del Comitato è designato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale nell'ambito dei suoi componenti.