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Relazione di Carlo Podda Segretario Generale FP-CGIL al Comitato Direttivo Nazionale 13/14 luglio 2004
 

La Funzione Pubblica ha l’ambizione – che è diventa un vincolo dopo il congresso di Roma – di non essere più un semplice soggetto di rappresentanza del lavoro, ma un soggetto generale di rappresentanza sociale, che ha nei suoi cromosomi l’obbligo di occuparsi della situazione politica, della sua evoluzione, delle conseguenze che questa comporta sugli aspetti sociali e, quindi, sul ruolo che abbiamo deciso di svolgere.

In queste settimane mi è capitato spesso di ascoltare compagne e compagni, ai diversi livelli di responsabilità, analizzare i risultati delle recenti elezioni, traendone le mosse per alcune considerazioni sulla fase che ci aspetta ed sulla conseguente azione da intraprendere.

Dal mio punto di vista il risultato di queste elezioni dimostra con molta chiarezza – e a questo proposito dissento da tutti quegli osservatori che parlano di disgregazione di un blocco sociale come conseguenza delle elezioni - ha impedito il formarsi di un blocco sociale, e lo dico con una punta di soddisfazione perché a questo obiettivo abbiamo contribuito anche noi.

Qualcuno di voi ricorderà che all’indomani delle elezioni del 2001, nella nostra tradizionale assemblea dei quadri al Palacisalfa, avanzammo l’ipotesi che alla maggioranza politica che aveva portato al governo del Paese la Casa delle Libertà, ed il suo premier, Silvio Berlusconi, mancasse il blocco sociale in grado di dare continuità e sostegno all’azione dei partiti che avrebbero sostenuto l’esecutivo per gli anni a venire.

Questa era la nostra opinione, ma ricordo che molti commentatori, opinion maker, giornalisti sostenevano invece la tesi che proprio grazie al blocco sociale che si era costituito , avremmo dovuto preparaci ad almeno dieci anni di governo del Polo.

Non è una cosa marginale, perché proprio da questa considerazione è disceso l’atteggiamento di alcune organizzazioni - penso, per esempio, alla CISL - che proprio sulla base del fatto che con queste forze politiche e con il blocco sociale da esse rappresentato, bisognasse fare i conti per almeno un decennio, anche sul piano contrattuale.

Da questa diversa valutazione è derivato un diverso atteggiamento tra noi e la CISL per tutto il primo biennio, perché noi, al contrario, sostenemmo che bisognava lavorare perché questo blocco non si costituisse.

Oggi, quasi tutti convengono sul fatto che ciò che teneva insieme le persone, i soggetti sociali che avevano votato per queste forze, in realtà era la presenza del leader e cioè della figura, del tutto anomala nello scenario politico italiano, rappresentata da Silvio Berlusconi.

D’altra parte è difficile immaginare un blocco sociale che tiene insieme il Nord Est con il sottoproletariato di Palermo,che pure le elezioni del 2001 avevano accomunato.

Insisto su questo punto perché, a mio giudizio, da questo sono dipesi anche i comportamenti elettorali dei quali parlerò e da questo dipende anche lo sviluppo nei prossimi mesi della nostra attività.

Siamo, quindi, in presenza di soggetti sociali distinti e per certi versi separati tra loro, che sono ancora alla ricerca di un ancoraggio e di una identità che il panorama politico non offre o, quantomeno, non ha offerto in occasione di questa tornata elettorale.

A me pare che il messaggio che gli elettori hanno voluto inviare alla politica sia stato assolutamente chiaro e con il buon senso che sempre prevale in questi casi, le persone hanno utilizzato i due strumenti che avevano a disposizione: da un lato le elezioni europee, dall’altro quelle amministrative.

Per quel che riguarda le elezioni europee è successo che Berlusconi ha perso 4 milioni di voti, che nel nostro paese sono l’equivalente di un partito politico, e tuttavia il Centrosinistra non ha vinto.

Si può anche osservare che alla fine il Centrosinistra ha preso 37 seggi nelle elezioni europee ed il Centrodestra 36, ma io penso che tutti quanti ci aspettavamo una più chiara affermazione delle forze del Centrosinistra, chiara affermazione che si è, invece, verificata nelle elezioni amministrative.

Bisognerà capire perché l’elettorato ha dato due risposte così diverse. Probabilmente c’è bisogno di un’analisi un po’ più meditata, più approfondita di quanto abbiano fatto i giornali subito dopo il voto, dei dati, dei flussi e delle tendenze emerse.

A me sembra che si possa dire, sia pure con una buona dose di approssimazione, che nelle elezioni amministrative il Centrosinistra ha vinto perché è stato più chiaro non solo con chi si volevano fare le cose, ma soprattutto che cosa si voleva fare.

Nel dibattito su contenitore e contenuto – al quale, pure, bisogna guardare con rispetto perché è evidente che per una forza politica il contenitore ha un significato più consistente di quanto lo abbia per noi - quando l’elettore, soprattutto alle europee, si è trovato a fare i conti con una discussione piuttosto astratta su: “listone sì, listone no”, triciclo, quadriciclo, Centrosinistra più o meno allargato e quant’altro ,non gli è apparso chiaro il motivo e le finalità per cui si votava.

Io credo di non aver ascoltato un solo dibattito nel quale si parlava di questioni che riguardano l’Europa, per quali motivi e per fare che cosa si chiedeva il voto per l’Europa, come se l’Europa fosse una cosa dalla quale non dipendono una buona parte le scelte del nostro governo e del nostro Paese.

Mi è capitato già altre volte di parlare della questione della direttiva sulla commerciabilità dei servizi pubblici essenziali, in particolare dell’istruzione, dell’acqua e della sanità e di che cosa succederà una volta che questa direttiva sarà approvata e come il governo nazionale dovrà attenersi a questa direttiva. Ma se questo non fosse sufficiente, vorrei solo osservare come sia poco comprensibile, se non in una chiave di sottovalutazione di quanto conta l’Europa oggi nelle nostre discussioni, lo stupore con il quale è stato accolto il fatto che Berlusconi sia stato “promosso” dall’Ecofin, come se fosse strano che un gruppo di ministri dell’Economia a maggioranza di Centrodestra faccia un favore ad un loro collega di Centrodestra.

Io penso che di fronte alla crisi che si è aperta, la tentazione che Berlusconi avrà, anche a fronte dei rivolgimenti a cui tutti quanti stiamo assistendo in queste ore – la ormai famosa battuta su: “Ti mando contro le mie Tv” destinata a Follini la dice chiara sugli umori profondi di questo personaggio - sarà quella di risolvere in maniera autoritaria i conflitti che si apriranno all’interno della sua coalizione.

Non è un caso che da qualche parte il ministro del Lavoro o, per dirla meglio, del Welfare vada dicendo che bisogna ripescare la 848/bis, cioè l’abrogazione dell’articolo 18; non è un caso che questo stesso ministro sia andato in giro nelle assemblee degli industriali, imputando alle organizzazioni datoriali il fatto di non aver insistito abbastanza perché nei negoziati per il rinnovo dei contratti venisse recepito appieno il contenuto della legge 30; non è un caso che sia stato annunciato il ricorso alla fiducia per il voto sulla delega previdenziale.

A questo punto io penso che noi dobbiamo lavorare, che le forze del Centrosinistra debbano lavorare alla costruzione di un programma al quale la CGIL è chiamata a dare un contributo, per non trovarci in difficoltà molto rapidamente.

Io penso – passatemi la semplificazione un po’ rozza alla quale faccio ricorso per ragioni di tempo – che siamo come il Comitato di Liberazione Nazionale nell’immediato dopo guerra: teniamo insieme dai monarchici ai comunisti perché l’obiettivo è cacciare via il dittatore.

Il paragone non deve sembrarvi eccessivo, perchè sono personalmente convinto che oggi, nel nostro Paese, vi sia il massimo di regime autoritario che l’Europa moderna si può permettere, anche se tutti abbiamo chiaro che non è ripercorribile la strada di una dittatura “gorilla” in un Paese dell’Unione Europea.

Ora, siamo tutti d’accordo a mandare via l’oligarca, ma è bastato lo stormir di fronda dell’annuncio di un ministro tecnicamente autorevole come Monti, perché si aprissero crepe che io considero vistose e pericolose nello schieramento di centrosinistra, perché si guardasse con grande attenzione e con qualche affettuosa trepidazione al fatto che Monti assumesse la responsabilità del dicastero dell’Economia. E a questo proposito alzi la mano chi, in quelle ore, non ha temuto si facessero pasticci, pateracchi, governi istituzionali e quanto altro, sulla base del fatto che siamo nei guai e, come sempre succede quando siamo nei guai, bisogna fare dei sacrifici, rimboccarci le maniche e ciascuno - cioè sempre noi - è chiamato a dare il proprio contributo.

Del resto, a dare voce a questa corrente di pensiero è stato il più autorevole quotidiano del nostro Paese, che proprio in quelle ore ha sfornato un editoriale, che personalmente mi ha molto impressionato, nel quale venivano elencate puntigliosamente tutte le cose buone che Monti avrebbe fatto e tra queste , una vera riforma delle pensioni, perché quella annunciata è troppo blanda, finalmente una vera riforma sanitaria ed, infine, un nuovo modello contrattuale fondato sull’acquisizione e l’elargizione di quote di produttività su base regionale e territoriale.

Devo dire che un’eco di questo dibattito è arrivata perfino dentro il Comitato Direttivo della CGIL. Mi è infatti capitato di ascoltare qualche intervento preoccupato del fatto che nel caso il Centrosinistra tornasse a governare, correrebbe il rischio di trovarsi di fronte ad un deserto.

Ho anche io ben chiaro che il rapporto deficit/PIL cresce ormai nel nostro Paese in ragione di poco più di un punto percentuale all’anno e che ci sia davvero il rischio di trovarsi di fronte ad un deserto. Ma io penso che proprio per queste ragioni non debba essere data alcuna disponibilità, se posso usare una metafora, ad irrigare questo deserto con il nostro sudore e le nostre lacrime: abbiamo già dato nel ’92.

In particolare il discorso riguarda i settori pubblici che non solo hanno pagato il prezzo di una manovra economica da 100 mila miliardi e dei problemi creati dall’accordo del ’92, ma in quella stagione saltarono addirittura un’intera stagione contrattuale in ragione del fatto che eravamo in presenza di un deficit pubblico assolutamente ingovernabile.

Ora, io penso che per questo sia bene dire subito che la CGIL deve dare un segnale chiaro ed inequivocabile, un punto sul quale, del resto, ha molto insistito Guglielmo Epifani, sia nella relazione che nelle conclusioni al Comitato Direttivo. Molto , infatti, dobbiamo ancora fare per ridare forza e dignità al lavoro. Per quel che ci riguarda abbiamo recentemente preso la decisione di costituire un apposito dipartimento del welfare e dei diritti, che ha, come compito primario, anche quello di lavorare all’elaborazione di materiali per la nostra Conferenza di programma, che dovrà avere al suo centro proprio la necessità di costruire una nuova idea di funzioni pubbliche che abbiano, come fondamento, il nesso che intercorre tra queste ed i diritti di cittadinanza nel nostro Paese.

Aggiungo che ormai non passa giorno in cui la nuova Confindustria non rivolga a noi, e non ad altri, una sfida precisa: “Noi vorremmo anche investire nel Paese, in particolare nel Sud che consideriamo il vero punto di possibile e straordinario sviluppo, ma per poterlo fare abbiamo bisogno di una Pubblica Amministrazione che funzioni”.

Ancora ieri, sull’inserto economico del Corriere della Sera, era riportato un dato dal quale emerge che il sistema delle imprese stima in cinque giorni all’anno per dipendente il lavoro che deve fare per risolvere i rapporti con le Pubbliche Amministrazioni.

E’ un problema al quale la nostra categoria deve dare una risposta. Non possiamo osservare un religioso silenzio, né il tutto può essere affidato all’ex ministro Bassanini il quale, peraltro, lamenta la triste fine fatta dalla sua idea dello sportello unico per le attività produttive, così come di alcuni dei contenuti della legge che porta il suo nome: l’osservatorio sulla semplificazione e la stessa legge sulla semplificazione sono state infatti recentemente abrogate dal governo del Centrodestra.

Io credo che si ponga per noi il problema di una interlocuzione anche con Confindustria intorno a questi temi, per sfidarla ad uscire fuori dalla giaculatoria sulla pubblica Amministrazione che non funziona per capire quali siano le domande effettive che il sistema delle imprese rivolge alla pubblica Amministrazione. Ciò che comunque deve essere chiaro è che noi siamo del tutto indisponibile a qualsiasi discussione se dovessimo scoprire che in realtà la Confindustria chiede una pubblica Amministrazione che non controlla. Così come penso che dovremo con forza ridefinire le questioni che riguardano il welfare nazionale e quello locale, sul quale vorrei aprire una parentesi, anche in considerazione dell’ultima manovra economica e dei tagli che questa ha comportato di nuovo per il sistema delle autonomia locali. Non è difficile immaginare che i governi locali saranno tentati di mantenere comunque i servizi, magari , come è giusto che sia, avvalendosi anche del sostegno delle nostre organizzazioni territoriali confederali, come è giusto che faccia un’organizzazione di rappresentanza generale quale noi siamo,utilizzando però strumenti che noi non siamo più in grado di sopportare: penso a tutta la questione del terzo settore.

Recentemente abbiamo stipulato un contratto con le cooperative sociali che ha alcune luci e molte ombre.

La luce principale è che il contratto si sia fatto, le ombre sarebbe troppo lungo elencarle. Anche per questo sarebbe bene che la consultazione fosse fatta davvero, per capire qual è il giudizio di coloro che sono destinatari della nostra attività. Oltretutto, abbiamo lavorato affinché anche CISL e UIL accettassero di fare una consultazione di mandato a sottoscrivere definitivamente l’accordo e sarebbe un pericoloso fallimento se si arrivasse al termine del tempo che ci siamo dato, registrando che la consultazione, a parte in qualche Regione, sostanzialmente non si è fatta.

Il che, inoltre, renderebbe oltremodo difficile continuare a discutere con CISL ed UIL di questioni che riguardano le consultazioni ed il mandato a chiudere.

Tuttavia io sono convinto che occorra superare il gap che esiste tra le dichiarazioni che facciamo quando sottoscriviamo, come Confederazioni, gli accordi con il Forum del Terzo Settore, e ciò che nella pratica quotidiana il Terzo Settore effettivamente è o rischia di essere. Parlo della confusione tra il ruolo del sindacato, quello del Terzo Settore o delle cooperative e lo stesso ruolo della Pubblica Amministrazione che, in più di un’occasione, rinuncia al proprio compito di programmazione e controllo sulle attività che a questi soggetti sono affidate, facendo delle semplici operazioni di dumping contrattuale. E per dirla tutta nella maniera più chiara possibile, queste operazioni, da una certa latitudine del Paese in giù, diventano operazioni di infiltrazione malavitosa.

Se continua così, è evidente che chiunque farà il negoziato potrà essere più o meno brillante,ma farà comunque un negoziato a perdere, perchè l’unica domanda che l’interlocutore ti fa non riguarda il lavoro che fai e la sua qualità, ma è quanto mi fai pagare di meno il lavoro che io organizzo con le stesse rigidità del sistema delle autonomie locali.

Così come penso che sarebbe bene che con i materiali che cerchiamo di mettere insieme, che sono ovviamente buoni per noi e per salvaguardare la nostra autonomia programmatica, quale sia il governo con il quale ci dovremo poi confrontare nei prossimi anni, cominciassimo a riflettere sui tempi del Congresso della nostra Confederazione, della nostra categoria, perché, se come ha detto anche Guglielmo Epifani, , si vuole dare peso e sostanza alle richieste ed agli orientamenti della CGIL nella costruzione del programma del Centrosinistra, insieme a tutti gli altri soggetti di rappresentanza sociale, ai movimenti e, ovviamente, alle forze politiche, fare il Congresso dopo le elezioni ha un valore, farlo prima ne ha un altro.

Ora stiamo verificando con CISL e UIL di categoria, oltre che con le Confederazioni, la possibilità di assumere un orientamento unitario che ci consenta di concentrare nel giorno in cui viene votata la delega previdenziale in Parlamento, tutte le fermate che erano state programmate per il mese di luglio.

Così come a settembre, per dare forza e sostanza alle nostre proposte, noi dovremmo riprendere saldamente in mano la vertenza per il rinnovo contrattuale.

Ricordo che nel comitato direttivo che si è tenuto a settembre dell’anno scorso, abbiamo scelto di aprire una vertenza che già sapevamo sarebbe stata dura per il fatto che la nostra richiesta salariale è circa il doppio delle disponibilità che il governo ha annunciato.

Per questo motivo noi dobbiamo evitare come la peste il rischio che si apra una discussione sul modello contrattuale. A questo proposito ho letto che il Presidente dell’Aran non ha rinunciato a scimmiottare alcune tendenze in corso ed ha di nuovo proposto un dibattito sul nuovo modello contrattuale.

E’ evidente che questo dibattito si può fare solo ad una condizione, cioè dopo aver chiarito in via preliminare che esso non ha nessun rapporto con i negoziati in corso per il rinnovo dei contratti, perché altrimenti è fin troppo evidente che si tratta di un modo come un altro, nemmeno particolarmente abile, per nascondere le difficoltà ad affrontare, appunto, il rinnovo del contratto in quanto tale.

Si può discutere, quindi, di un nuovo modello contrattuale, e per quanto ci riguarda se ne può discutere partendo dal fatto che i due livelli di contrattazione sono intoccabili. Solo così è possibile salvaguardare i diritti universali, uguali per tutti con il contratto nazionale, mentre la contrattazione integrativa deve essere il luogo nel quale più da vicino si discutono, si controllano e si governano le questioni che attengono all’organizzazione del lavoro.

Penso anche che non ci siano le condizioni perché in questa fase si possa proporre un nuovo patto sociale.

Per quello che capisco, un patto sociale si fa a tre, perché solo così è possibile concordare alcuni interventi indispensabili: penso ad un nuovo patto fiscale, altro che meno tasse per tutti!, ad un nuovo sistema dei diritti, penso ad un intervento pubblico non statale, ad un intervento pubblico nell’economia che solo un governo della Repubblica è in grado di fare.

Non c’è accordo tra noi e le organizzazioni datoriali che possa dare risposte su questo terreno, l’accordo tra noi e le parti datoriali può produrre risposte sul tema del lavoro, dei contratti, su come si affrontano le questioni della competitività. Io non credo però che questo governo, che su questo terreno il meglio che è stato in grado di produrre è lo scellerato patto per l’Italia, oggi sia in grado di avanzare una proposta migliore.

Del resto, noi tutti osserviamo con qualche divertimento, da un certo punto di vista, i rivolgimenti della crisi in corso in queste ore, ma sappiamo che alla fine, la ricetta di politica economica e sociale che viene avanti è esattamente quella che conosciamo.

Penso, quindi, che sia giusto dire con chiarezza che è sbagliato sottovalutare le novità che emergono dalla nuova Confindustria. La Confindustria di Montezemolo non è quella di D’Amato; molto si è detto, si è scritto, si è osservato, si è discusso anche nel Direttivo della CGIL dell’accoglienza che Montezemolo ha avuto nel dibattito organizzato dalla CGIL di Pistoia, a Serravalle Pistoiese. Io penso che ci siano stati commenti eccessivi da un certo punto di vista e dal suo esatto opposto, cioè chi ha considerato che fosse naturale ed indispensabile che Montezemolo venisse accolto così, con la simpatia con la quale è stato accolto, e chi invece ne ha tratto motivo di scandalo.

Penso che passare da una fase nella quale

l’interlocutore che hai di fronte ha come obiettivo il fatto di farti fuori politicamente, perché questo era l’atteggiamento della Confindustria di D’Amato, ad un atteggiamento nel quale ciascuno recupera i propri ruoli e chi sta dall’altra parte riconosce esplicitamente che tu hai una funzione da svolgere, ferma restando la diversa rappresentanza di interessi,sia un fatto positivo.

Montezemolo ha un interesse di qualche consistenza: è contemporaneamente Presidente della FIAT e di Confindustria, controlla almeno un paio di giornali, un pezzo de “Il Corriere della Sera” e de “La Stampa”, è Presidente della Ferrari, e credo che sia un soggetto complicato con il quale fare i conti. Tuttavia sarebbe sbagliato non cogliere il fatto che non abbiamo più un interlocutore che ha come chiodo fisso la riduzione del peso delle organizzazioni sindacali, che considera un errore la stagione della concertazione, che pensa che il sindacato possa tutt'al più essere ascoltato, ma un interlocutore che riconosce che in questo Paese CGIL, CISL e UIL e, tra questi, anche la CGIL, hanno un ruolo da svolgere.

Di qui a dire, però, che ci sono le condizioni per fare un nuovo patto sociale, dal mio punto di vista è sbagliato e irrealistico.

Queste cose noi dovremo affrontarle alla ripresa di settembre, con il nostro orientamento, per la campagna elettorale delle RSU. Ci sarebbe piaciuto oggi darvi i dati sul tesseramento, ma non siamo in condizione di farlo perché qualche Regione, poche invero, non ci ha comunicato ancora il dato di metà anno. Per quello che abbiamo visto fino ad ora i segnali sono assolutamente positivi: in un paio di regioni, già da oggi, siamo al cento per cento del risultato di dicembre e, sostanzialmente, in tutte le regioni, tranne una o due, siamo avanti rispetto allo stesso periodo dello scorso anno: tra giugno del 2003 e giugno del 2004 abbiamo un tesseramento in crescita.

Come si sa le tessere non sono uguali ai voti, ma dovendo scegliere se avere un tesseramento in crescita oppure no, è meglio avere un tesseramento in crescita.

A me pare che sia, comunque, un segnale positivo per l’organizzazione, dopodiché dobbiamo fare una campagna elettorale e farla davvero. Penso sarebbe sbagliato che noi considerassimo che metà del lavoro è già stato fatto grazie ai risultati realizzati negli anni scorsi; l’esperienza, ma anche gli esperti, ci dicono che i voti si conquistano non per quello che hai fatto, ma per quello che dichiari che farai in futuro.

Quello che abbiamo fatto costituisce un nostro straordinario biglietto da visita, nel senso che, quando diremo quello che abbiamo intenzione di fare, le persone penseranno che facciamo sul serio. Quello che abbiamo fatto ci rende infatti affidabili rispetto a chi ci ascolta, tuttavia dovremo impegnarci con tenacia e determinazione.

Intanto, dovremo convincere le persone che è utile andare a votare di nuovo, per la terza volta, per esercitare il diritto di scegliersi i propri rappresentati, superando, laddove c’è, un qualche appannamento del ruolo e della funzione delle RSU. Dobbiamo forse provare, anche nel corso della campagna elettorale, a mettere un po’ più di RSU nella Federazione ed un po’ più di Federazione nelle RSU.

L’esperienza che abbiamo fatto,iniziata ormai nel ’98, ci insegna che le RSU sono sicuramente diventate un soggetto sindacale, ma sono molto meno un soggetto politico. E’ difficile entusiasmarsi per un lavoro che consiste, nella buona sostanza, nel fare il gioco della fascia in più o fascia in meno; forse potremmo provare ad iniettare qualche contenuto di politica sindacale in più dentro al lavoro delle RSU, insomma porre fine a quella che a me sembra un po’ una divisione sociale del lavoro tra noi e le RSU, per cui in testa alle nostre Federazioni è rimasta la politica ed in testa alle RSU sta la contrattazione aziendale.

E’ singolare non tanto che non arrivino ordini del giorno da una delle 13.000 RSU sulla pace, anche se per me è difficile capirlo, perché vengo da una generazione nella quale i delegati si occupavano anche dei missili a Comiso, però trovo legittimo aspettarsi da una RSU un ordine del giorno sul rinnovo contrattuale: ebbene, nemmeno questo succede.

Dico questo perché penso che debba diventare un pezzo dell’attività delle RSU che può dare qualche stimolo nel lavoro quotidiano.

Così come mi fa riflettere rileggere alcuni documenti ed articoli nei quali sostenevamo che sicuramente dalle RSU sarebbe venuta una straordinaria spinta al cambiamento ed al rinnovamento della nostra organizzazione.

Io non so cosa pensiate voi, ma non credo che ci sia stato davvero questo straordinario cambiamento, anche dal punto di vista del reclutamento e della politica dei quadri. Forse mettere un po’ più in comunicazione la vita ed il lavoro che si fa a livello delle nostre Confederazioni con la vita ed il lavoro che si fa dentro le RSU, nei posti di lavoro, ci darebbe una mano anche da questo punto di vista.

CGIL, CISL e UIL hanno costituito due Commissioni, una sul modello contrattuale ed un’altra sulla democrazia sindacale. Non si capisce bene a che punto sia il lavoro di queste Commissioni, ma io penso che le organizzazioni CGIL, CISL e UIL dei settori pubblici abbiano il dovere di dare un contributo a questa discussione. E’ infatti stravagante che le uniche organizzazioni che hanno un terreno consolidato di esperienza, una legge sulla democrazia sindacale e sulla rappresentanza, stiano zitte mentre si discute delle forme della democrazia sindacale.

Penso che noi dovremmo proporre a CISL e UIL di ragionare su questo terreno e dovremmo proporre loro di costruire un’ipotesi che ci consenta di fare qualche passo in avanti rispetto all’attuale condizione.

Da una parte abbiamo il sistema della D’Antona-Bassanini, validazione dei contratti attraverso il meccanismo del 50 + 1%, e dall’altra una discussione che dice che tutti gli accordi devono essere validati con un referendum.

Siccome mi pare difficile che CISL e UIL possano per intero bere questa seconda ipotesi e pare a me complicato che l’intera nostra organizzazione possa considerare utile esclusivamente la Bassanini, anche se la sola esistenza di questa norma nel settore dei meccanici avrebbe impedito il consolidarsi di due accordi separati, anche se non avrebbe impedito l’accordo sbagliato di Melfi, come mi è stato fatto osservare in un dibattito da Ferrero, responsabile del lavoro di Rifondazione: “Caro Podda, tu hai ragione, è un’esperienza molto interessante, tuttavia, se fosse valsa quella legge, siccome lì la FIOM è largamente minoritaria, l’accordo non si sarebbe mai riaperto e non si sarebbe mai fatto il referendum sul nuovo accordo”. Un’osservazione di cui bisogna tenere assolutamente conto.

Io penso, però, che si potrebbe provare ad  immaginare un sistema nel quale, fatto un accordo, quell’accordo è valido se lo sottoscrivono il 50 + 1%, a meno che un certo numero, ovviamente da definire, di destinatari di quell’accordo non ne chieda l’abrogazione.

E’, insomma, il meccanismo che come cittadini utilizziamo nei confronti dei parlamentari: noi affidiamo loro la delega per fare le leggi, e abbiamo un’unica arma di difesa che è quella che, quando fanno una legge che non consideriamo giusta, oltre che non votarli più, possiamo chiedere l’abrogazione di quella legge. Penso che questo sarebbe un terreno sul quale potremmo tentare di costruire un ragionamento unitario. Si tratta di un percorso tutto da costruire, ma a me piacerebbe molto confrontarmi, nel caso in cui qui convenissimo sulle linee generali, con CISL e UIL proprio su un ragionamento di questo tipo.