INTERVENTO DI CARLO PODDA
 AL CONGRESSO DELLA CGIL

RIMINI, 1/4 marzo 2006

 

Quella parte della relazione, nella quale Guglielmo Epifani ci ha proposto una paradossale classifica nella quale l’Italia si dimostra in rapporto agli altri paesi europei come l’ultimo, riguardo a tutti gli indicatori che segnalano in un Paese il livello di sviluppo, coesione e benessere sociale, fotografa in maniera assai efficace, il fallimento del Governo  Berlusconi. 

Ma più in generale sembra a me mettere in evidenza il fallimento di una strategia di Governo del Paese e di una profonda modifica della società fondata sul liberismo. 

Al termine di questi cinque anni, ma più profondamente alla fine di un periodo più lungo le cui origini vanno fatte risalire ad almeno 10/15 anni fa, resta sul campo una spaventosa questione sociale ancora sottovalutata, ed i cui connotati, le cui cause e soprattutto le cui conseguenze, non sono ancora sufficientemente state indagate. 

Precarietà del lavoro e della vita di queste lavoratrici e lavoratori, oltre 6.000.000 di persone che vivono stabilmente sotto la soglia di povertà, un bambino su sei che vive anch’egli in povertà, dato quest’ultimo che considero il più immorale tra i quanti fotografano il declino dell’Italia, sono solo i connotati più drammatici di quella che può senz’altro essere definita la questione sociale italiana.  

La distribuzione del reddito nella società ha fatto si che i 4/5 della popolazione si siano impoveriti ed il 1/5 più ricco si sia ulteriormente arricchito.  

La mobilità sociale è ridotta nell’ultimo quinquennio a valori che la rendono eguale a quella che c’era nel ventennio fascista.  

Una pratica della concertazione che ha tramutato l’idea della politica dei redditi in una vera e propria politica di contenimento salariale, essendo venute meno incisive ed eque politiche fiscali, di controllo dei prezzi, ed una adeguata contrattazione sociale ha fatto si che la quota di reddito da lavoro, sia diminuita a tutto vantaggio di quella dei profitti e delle rendite.  

Non si tratta di un danno irrilevante se si considera che nei quaranta anni precedenti gli accordi di luglio del 1993, le due quote erano rimaste stabili. 

In definitiva la nostra è diventata una società più ingiusta e più diseguale. 

Di questo, del resto, abbiamo discusso in questo nostro lungo ed appassionato percorso congressuale, al termine del quale rimane forte però in me il dubbio che non per tutti noi sia del tutto chiaro che questo risultato non è lo spiacevole effetto collaterale di politiche economiche, come posso dire,  correttamente ispirate, ma malamente applicate.  

Secondo questo pensiero, ad esempio, le privatizzazioni anche dei servizi di interesse generale, di veri e propri beni comuni come la salute o l’acqua, rimarrebbero comunque giuste, ma in quanto mal realizzate hanno generato diseguaglianze. 

Queste politiche si sono invece dimostrate nel mondo ed in Italia, sbagliate nel loro fondamento e, del resto, questo abbiamo affermato in questi anni quando, a partire da Genova e poi con i movimenti abbiamo insieme a tante persone sostenuto la possibilità, la necessità di mettere in campo un'altra idea di società.  

A queste persone,  ai giovani, alle donne, agli anziani che abbiamo incrociato ed ai quali abbiamo dato voce in questi anni che sono stati rappresentati emblematicamente nella piazza del 23 marzo del 2002, dobbiamo dare e ne possiamo ancora ricevere forza e sostegno. 

Se dovessimo rinunciare a dare voce e rappresentanza a questi soggetti, la CGIL diventerebbe un'altra cosa non so dire se di lotta o di Governo, ma sicuramente diversa da quella che è stata negli ultimi anni. 

La CGIL non sarebbe più quell’organizzazione che ha attraversato e si è fatta attraversare dal movimento per la pace e contro la guerra in Afghanistan ed in Iraq, che è stata in grado di raccogliere cinque milioni di firme a sostegno dell’abrogazione della L. 30 e per una legge di iniziativa popolare sul mercato del lavoro. 

Se, vogliamo assumere al centro della nostra iniziativa ed a base della nostra proposta di riprogettazione  del Paese, il valore dell’euguaglianza sociale e della dignità del  lavoro, abbiamo bisogno  di più politiche  pubbliche. 

Abbiamo  cioè bisogno di tornare a far vivere nella società una sfera pubblica, o come l’ hanno chiamato negli ultimi anni i movimenti, un nuovo spazio pubblico. 

In questo luogo della società si sviluppa l’intervento pubblico in economia  con politiche attive e selettive di sostegno ad un nuovo modello di crescita, e si costruisce ed afferma un nuovo Welfare dei diritti come mezzo per sostenere il benessere sociale, ma, finalmente si è compreso anche come mezzo di crescita economica, come ha ricordato anche Prodi ieri a proposito dell’opportunità e della necessità di investire nella Sanità. Per questo motivo va superata ogni idea di un Welfare benevolente, o caritatevole. Così come va respinta con coerenza ogni proposta di intervento in questo settore che abbia carattere risarcitorio o monetario. 

Si tratta di riaffermare la capacità della politica, di una buona politica di governare la società, regolarla ed indirizzarla verso un benessere ed uno sviluppo condiviso e sostenibile. 

Dobbiamo difendere e praticare il dettato della  nostra Costituzione che quasi un milione di persone e 15 consigli regionali hanno già dichiarato di voler difendere votando NO al prossimo referendum, e di cui tra poco il Presidente  Scalfaro ci parlerà. Bisogna in particolare recuperare il valore profondo del contenuto dell’art. 1 vero e proprio manifesto della Costituzione nel quale con grande semplicità ma con altrettanto vigore ed efficacia ci si impegna a costruire una Repubblica che ha nel lavoro e nel suo valore il suo fondamento. Se mantenere inalterata questa Costituzione ed i suoi principi fondanti vuol dire essere conservatori rivendico il diritto per me e, sono convinto, per la maggioranza dei cittadini italiani di essere conservatore e di non partecipare al gruppo degli apprendisti stregoni che già in passato hanno contribuito a portarci al disastro odierno. 

Per questi motivi, penso che davvero faremmo un errore se accettassimo, come terreno centrale delle nostre prossime iniziative e di confronto con le associazioni datoriali ed il Governo che verrà, il modello contrattuale. 

Se sono vere, anche solo in parte, le cose che ho cercato fin qui di sostenere, scegliere, come prioritario questo terreno di confronto, sarebbe un grave errore e   consegnerebbe a quanti avversano il nostro punto di vista, un vantaggio che non possiamo permetterci di regalargli. 

La passione che ha percorso la nostra discussione sul modello contrattuale, se si va a ben vedere, è dovuta non ad una passione per il modello in sé, ma a mio parere alla consapevolezza che non è più rinviabile l’avvio di un processo di redistribuzione del reddito e rideterminazione del reale potere d’acquisto delle persone che rappresentiamo. 

Si tratta in effetti di operare uno spostamento nella distribuzione del reddito così importante che potrà essere attuato certamente anche con i CCNL, ma che senza la leva fiscale e senza la messa a disposizione per i cittadini di servizi di interesse generale, e di quelli che si chiamano beni comuni, oggi inaccessibili su base universale, non potrà in alcun caso aver luogo. 

Ecco perché non sono affatto preoccupato dalla eventualità che si apra su questi temi un negoziato con il Governo.  

Penso, piuttosto, che sarebbe grave che su questi contenuti il Governo decidesse di non agire o agisse senza preventivo confronto con le Confederazioni. 

Si tratta invece di decidere come ed a quali condizioni questo confronto si può sviluppare. 

Noi dobbiamo costruire una piattaforma, ovviamente unitaria. 

La relazione di Guglielmo, di cui ho già sentito e letto interpretazioni piuttosto curiose e che ho trovato invece straordinariamente convincente per la sua chiarezza e per la nettezza di alcune scelte di campo, l’elaborazione congressuale, e le stesse conclusioni che ascolteremo oggi, ne sono sicuro, costituiscono una buona base  per costruire la nostra proposta. 

Poi questa piattaforma andrà validata  dalle lavoratrici e dai lavoratori, dopo di che bisognerà provare a costruire uno o più accordi che si sviluppino nell’arco della legislatura. Dovremo forse imparare a stipulare accordi, come posso dire, più ordinari, meno epocali. 

Anche accordi così tuttavia non possono essere considerati scontati. 

Certo oggi l’Unione e tutti noi siamo animati ed uniti dalla volontà di battere Berlusconi, ma,  a liberazione avvenuta, bisognerà fare i conti con una formazione composita che ha trovato su molti punti forti ragioni di unità, ma su altri ha, come posso dire, temporaneamente sospeso il confronto. 

Solo ieri, ad esempio, sui giornali si è tornato a scrivere di un possibile voto articolato sul rifinanziamento della missione italiana in Iraq, evento che se si verificasse, rischierebbe davvero di disorientare quanti ripongono speranze di reale cambiamento nell’Unione. 

In ogni caso sull’accordo o sugli accordi che faremo, dovremo verificare il consenso delle lavoratrici e dei lavoratori. 

Ieri Prodi ci ha non solo confermato significativi punti di  consonanza tra la nostra impostazione e il suo programma di governo, ma ci ha parlato della sua volontà di volersi continuativamente, vorrei dire, stabilmente, confrontare con noi. 

Ha poi infine ricordato che nell’esercizio delle singole e distinte responsabilità spetta a lui decidere circa l’azione di Governo. 

Questo è senz’altro vero. E’ vero pure, se la parola  autonomia ha ed avrà per noi senso e  significato, che spetterà invece a noi decidere le azioni conseguenti da assumere in relazione al giudizio ed al consenso che noi, e le persone che rappresentiamo, daremo sulle decisioni prese dal Governo.  

Voglio in proposito concludendo esemplificare ciò che penso e dichiarare fin d’ora come, in ogni caso, intendo regolarmi per le responsabilità che mi riguardano. 

I Contratti Nazionali del lavoro pubblico sono scaduti il 31 dicembre scorso. 

Il Governo Berlusconi compiendo  una sorta di falso in bilancio – si tratta di una sottostima preventiva e mascherata del deficit – non ha destinato nella Legge Finanziaria 2006 le risorse necessarie. 

Non voglio più dire che considero il silenzio in proposito, da parte del centro sinistra, imbarazzante. 

Voglio però dire cosa può verosimilmente accadere a giugno. 

Entro l’estate il nuovo Governo dovrà varare il DPEF: in questo documento si possono indicare le risorse per i rinnovi contrattuali, e sarebbe bello per quanto ci riguarda, che fossero in linea con le modalità che abbiamo approvato nella tesi n. 8, oppure si può continuare lungo la strada tracciata da Berlusconi. 

E’ però per me e per i segretari di CISL e UIL della mia categoria, con i quali stiamo provando, a difesa dell’autonomia del sindacato, a verificare la possibilità di costruire una grande Federazione unitaria del lavoro pubblico, già chiaro che se nel confronto tra le Confederazioni ed il Governo sul DPEF non si troveranno le risorse per il rinnovo contrattuale, al Governo competerà certamente la responsabilità di decidere, ma a noi altrettanto certamente quella di fare sciopero. 

Così penso dovremo regolarci anche per le questioni più generali. 

Nella fase che si apre e che abbiamo significativamente contribuito a far aprire, c’è più di un motivo per essere preoccupati, ma ci sono oltre 5 milioni di ragioni per avere fiducia. 

Queste ragioni sono le persone che fanno la CGIL, che affidano a noi, al quadratino rosso, le loro speranze, la loro volontà di riscatto per loro stessi, per tutti noi e per quelli che verranno dopo di noi.