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Stati generali del Mezzogiorno 20 febbraio 2007

Relazione Lorenzo Mazzoli

“La CGIL mi ha fatto come sono, mi ha dato le ragioni più profonde e grandi di vita e di lotta, mi ha dato una cultura, un’etica, una educazione sociale e politica divenute parte inscindibile della mia persona. Un vero grande sindacato come il nostro ha sempre assolto in tutta la sua storia a una funzione nobile di educazione politica e classista, ma anche morale delle masse. Abbiamo sempre cercato di parlare ai lavoratori come degli uomini, al loro cervello e al loro cuore, alla loro coscienza. In questo modo il sindacato è diventato scuola di giustizia, ma anche di democrazia, di libertà, ha contribuito ad elevare le virtù civili dei lavoratori e del popolo”.

Come certamente sapete, queste sono alcune frasi che Luciano Lama pronunciò nel suo saluto finale all’XI Congresso della CGIL del 1986.

Alcuni anni prima, il 27 gennaio 1979, quando le Brigate Rosse uccisero Guido Rossa, a Genova, disse, in un discorso intenso, carico di emozione:”Il terrorismo deve rimanere sempre più isolato perché il suo carattere antioperaio e reazionario sia chiaro a tutti, perché ogni coscienza umana che aspira a cambiare la società, che aspira al progresso e all’emancipazione del lavoro sia sottratta all’influenza nefasta di questi nuovi barbari” che perseguono “un disegno che si contrappone frontalmente ai nostri obiettivi di progresso, alla nostra concezione della vita”.

A quanti in questi giorni, non molti per la verità (forse sono stati troppi i silenzi), hanno tentato di asserire la tesi di una sorta di contiguità tra CGIL e nuovo fenomeno di azioni terroristiche in via di esecuzione, ma anche a coloro che ci hanno richiamato ad aumentare la vigilanza, diciamo con pacatezza, ma con fermezza: i valori della CGIL non hanno bisogno di richiami, ma solo di grande e profondo rispetto!

La CGIL è da sempre il nemico del terrorismo. E’ bersaglio, non brodo di coltura.

La CGIL ha pagato un prezzo altissimo all’attacco terroristico, anche in termini di vite umane ed ha dato un contributo fondamentale per isolare la cultura della violenza, praticata e minacciata, nelle fabbriche, nei posti di lavoro, nella società.
Ha detto bene Guglielmo Epifani:”Nessuno può darci lezioni”. Nessuno, né da destra, né da sinistra, né da centro!

E così come ha evidenziato Paolo Nerozzi, non è accettabile la tempesta mediatica rispetto a notizie infondate di altre decine di coinvolti ed iscritti alla CGIL.

Ci stiamo interrogando su che cosa sta accadendo; perché una questione che sembrava ormai ridotta a pochi assassini si sia ripresentata con il viso di giovani ed in numero socialmente non trascurabile se si pensa anche ai volantini o alle scritte sui muri a sostegno, in solidarietà degli arrestati.
Il mimetismo da persone normali di alcuni degli arrestati crea forte apprensione.
Bene aver deciso le iniziative a Padova, Milano, Torino per isolare, per rendere evidente la forza democratica del mondo del lavoro, unito, unitario.

Le assemblee nei posti di lavoro, fondamentali. Non solo per rimarcare la cultura del sindacalismo confederale, ma anche per riempire vuoti valoriali che purtroppo sono sempre più numerosi e più grandi nel tessuto sociale.

E’ in questi squarci del tessuto connettivo della democrazia che si possono annidare latenze culturalmente violente.

Non possiamo permetterci sottovalutazioni e se il fenomeno si manifesta in fabbrica, esso vive e convive nella società, tutti i giorni. Non è chiudendoci nella sola contrattazione, come qualcuno ci indica, che faremmo il nostro lavoro scongiurando contaminazioni con altri. Un sindacato generale vive nella società, non può delegare ai partiti o alla politica il dialogo con ciò che si muove nella comunità, con i disagi, le aspettative, le contraddizioni. Certamente è legittimo pensarla così, ma è un modello di sindacato diverso dal nostro.

La democrazia vive anche di articolazioni, di idee non sempre “ortodosse”, ma è così che non si condanna al trasformismo o al conformismo. La bella manifestazione di Vicenza di sabato scorso è l’esempio più ravvicinato che dimostra che è sbagliato aver paura della democrazia partecipata. E’ l’esatto contrario. Sbagli se non ci sei. Ti allontani dalle persone che esprimono la volontà di esserci.

Per questo la politica, lo dico sommessamente, a partire dal Presidente del Consiglio, deve interrogarsi profondamente sulla lontananza, sul vuoto tra cittadini e classe dirigente. Che non significa, naturalmente, trovare qui i militanti del terrorismo, ma se a noi viene chiesto di essere più vigili, chi ha responsabilità politiche ed istituzionali deve porsi il problema di come si può isolare socialmente la cultura della violenza e della morte.
Non c’è semplicemente un nemico di classe da abbattere. Nel vuoto può crescere di tutto in modo disordinato.

Quel cancro sarà espulso dai posti di lavoro: abbiamo la forza, la coerenza e la storia per riuscirci. Non sono convinto di ciò che sta fuori dalla fabbrica.

Non basta, non basterà la repressione. E’ qualcosa di più profondo che si sta manifestando e che può legare disagio sociale, eversione, curve di violenti e, non ultimo, criminalità organizzata.
Bisogna stroncare la fune che rischia di legare cose anche molto diverse tra loro.
Ed allora bisogna essere determinati e coerenti.

In una città in cui viene ucciso un agente in seguito a scontri violenti che hanno interessato centinaia di giovani, si proclamano tre giorni di lutto cittadino da parte delle autorità e durante la cerimonia funebre, chi celebrava la messa doveva pronunciare solennemente il “non possumus”. Altro che festeggiare Santa Agata a poche ore dai funerali.

Quelle coscienze andavano scosse, non rassicurate.
Ed è tempo che le coscienze si rimettano in moto per ritrovare le ragioni che fanno di una moltitudine di individui, una nazione, uno stato.
La mia generazione ha avuto la fortuna di incontrare, di parlare, di confrontarsi con persone che avevano partecipato alla Resistenza, antifascisti, che avevano costruito, nelle istituzioni, nelle campagne, nei posti di lavoro, la democrazia.

Abbiamo incontrato la Politica che dava alle persone gli strumenti per sentirsi partecipi del presente ed utili per il futuro. Non schede per primarie simulacro di democrazia. La partecipazione nella vita dei partiti consolidava il senso di appartenenza, a volte anche ideologica, ma quella comunità fatta di operai, contadini, avvocati, piccoli imprenditori, impiegati, artigiani che si incontrava nelle sezioni sentiva, respirava la democrazia quale sintesi tra culture diverse che trovavano una sintesi perché i valori erano condivisi.

Quella partecipazione non c’è più e la rappresentanza dei cittadini da parte della politica e delle istituzioni è troppo spesso giocata sotto forma di potere, di arroganza, quasi mai con spirito di servizio.

Nel sistema politico forse girano anche troppi privilegi: in termini di indennità per cariche istituzionali, di vitalizi sproporzionati, di partecipazione a consigli di amministrazione, di benefit vari che alla fine rendono la classe politica altra cosa rispetto alla società rendendo, anche per questa via, più debole la democrazia.

C’è qualcosa che non torna e che andrebbe affrontato radicalmente. Davvero non si comprende perché un europarlamentare italiano debba percepire uno stipendio che è oltre il doppio di quello francese ed oltre il quadruplo rispetto allo spagnolo. Quanto si può allontanare il buon senso prima che si laceri il rapporto tra rappresentati e rappresentanti?

Questa lontananza tra democrazia formale e democrazia sostanziale nel Mezzogiorno è un punto decisivo nell’agenda del cambiamento di questa parte del paese.
Soltanto una classe dirigente consapevole, responsabile, determinata, coerente, disponibile a mettersi in discussione potrà affrontare con qualche probabilità di successo ciò di cui il meridione ha davvero bisogno.
Nei prossimi anni “pioveranno” oltre cento miliardi di euro da investire in vari settori. Queste risorse se verranno spese male o cadranno nelle mani sbagliate provocheranno un colpo mortale, forse definitivo al futuro del Sud.

Questa massa ingente di denaro non lascerà, in ogni caso, la situazione come oggi. Paradossalmente, lo stesso strumento potrà essere di grande giovamento o, al contrario,essere causa di ulteriori squilibri: nel sistema produttivo, nelle infrastrutture, nelle istituzioni, nella società.
L’iniziativa di oggi non vuole essere un convegno sul Mezzogiorno, ma una giornata di mobilitazione ed impegno per il Mezzogiorno.

Non sarà il fuoco di una passione momentanea o ciclica; il nostro obiettivo è quello di iniziare o meglio, ripartire da qui, da questa discussione per rilanciare la nostra iniziativa di Categoria in tutti i territori del meridione, nei posti di lavoro, da quelli più significativi a quelli più piccoli, nella sanità, nelle autonomie locali, nell’igiene ambientale, nelle aziende, nelle funzioni centrali, nel sistema cooperativo, sul terreno della legalità, della trasparenza, dell’organizzazione dei servizi, della loro qualità e della qualità del lavoro, della buona occupazione.

Alle pubbliche amministrazioni del Mezzogiorno è richiesta una nuova capacità di governo, a partire dall’analisi impietosa dei parametri economici del 2006 che colloca il Sud in coda nell’Unione Europea a venticinque:
1. riduzione della spesa per investimenti pari allo 0.9%;
2. soltanto lo 0.7% degli investimenti dall’estero viene destinato al Sud. (83% al Nord, 9.7% al Centro);
3. export di merci nel commercio mondiale è stato del 3.3% dal Centro-Nord e solo dello 0.4% dal Mezzogiorno;
4. tasso di occupazione pari al 45.8% rispetto al 57.6% dell’Italia ed al 70% previsto dall’obiettivo di Lisbona entro il 2010. Quel tasso di occupazione si traduce in una disoccupazione giovanile pari al 35% che nega il futuro ad oltre un giovane su tre con i risultati che conosciamo sul piano delle ricadute sociali in termini di ripresa dell’emigrazione e di reclutamento da parte della criminalità.

Questa “connotazione dualistica” del nostro paese è unica rispetto a tutta l’Unione Europea ed è ulteriormente rappresentata da altri elementi:
1. rispetto alla qualità della vita, negli ultimi trenta posti delle 103 province italiane, ventinove sono occupati da province del Sud;
2. la spesa sociale dei comuni, mentre è pari a 91€ pro capite in Italia, nel Sud è di 39€. Ancora meno in Calabria, Puglia e Campania.
3. circa la metà delle famiglie meridionali ha difficoltà ad arrivare a fine mese (quasi il doppio della media nazionale) e che si traduce anche in un calo della spesa per consumi pari allo 0.3%;
4. la mobilità ospedaliera extraregione, su base nazionale è del 7%, in alcune regioni del Sud è il doppio, in altre il triplo.

Noi sappiamo bene che cosa abbiamo alle spalle. Abbiamo conosciuto da vicino l’opera del governo di centro-destra e ciò che ha comportato per il paese e per i cittadini. Siamo consapevoli che cosa significherebbe una crisi del Governo Prodi per coloro che rappresentiamo, o un ritorno del centro-destra nelle regioni o nei comuni governati dal centro-sinistra. Ma non ci si può chiedere che l’ipocrisia diventi una linea politica o una strategia.

Noi vogliamo dire con franchezza, senza arroganza, direi quasi con un profilo affettivo che alcuni comportamenti ed alcune decisioni del governo nazionale e di governi regionali e locali non solo non li condividiamo, ma li giudichiamo sbagliati nel merito, pericolosi rispetto alla cesura che apre rispetto alle aspettative dei cittadini che hanno sostenuto la vittoria dell’Unione, ingiusti in relazione all’equità con cui una cultura di centro-sinistra dovrebbe informare la sua azione politica ed istituzionale.

Non ci sono più alibi: cambiare si può, cambiare si deve.
Alcune scelte della Finanziaria 2007 vanno nella giusta direzione, soprattutto nel sostegno alla ripresa e nelle nuova attenzione per il Mezzogiorno, ma altre sono state profondamente sbagliate.

I tickets sulla sanità non risolvono il problema della spesa, sono odiosi sul piano dell’equità, caricano sulle spalle dei cittadini i costi dell’inefficienza del sistema. Non c’è autoprescrizione da parte delle persone e non ci si diverte andando al Pronto Soccorso.

Se il Pronto Soccorso è l’unico presidio credibile quando si ha bisogno, non si risolve il problema con codici cromatici più o meno onerosi. Ed i tickets sulla diagnostica sono odiosi nei confronti dei cittadini ed hanno ampliato gli effetti negativi del rapporto drogato tra pubblico e privato perché sposta su quest’ultimo ingenti risorse in modo assolutamente improprio ed inaccettabile. E’ anche per questo che sosteniamo l’iniziativa della Categoria che qui, in Campania, sta lavorando per ricomporre un fronte unitario contro la decisione di tickets che la Regione intenderebbe adottare. Non ci sono spazi per trattare, solo tickets da togliere.

L’abbiamo detto senza precauzioni verbali interpretabili: siamo stati e rimaniamo contrari ai tickets a tutte le latitudini, mentre siamo disponibili ad assumerci tutte le responsabilità nella riorganizzazione dei servizi e per ridurre gli sprechi.

Ci piacerebbe vedere la politica e le istituzioni discutere, anche animatamente, su come far funzionare meglio le cose, per dare risposte di qualità ai cittadini. Purtroppo, troppo spesso si legge più di litigi sull’appartenenza a questo o quello schieramento di questo o quel direttore generale.

Ed a proposito di sanità. Sia detto per inciso. Quando si va in alcune zone del paese in cui l’infiltrazione mafiosa è stata ampiamente accertata, magari sarebbe utile, da parte di chi ha responsabilità di governo, evitare di farsi riprendere a braccetto con chi quel modo di intendere il potere lo rappresenta emblematicamente. Questo crea imbarazzo nelle persone per bene e fastidio-ripulsa in chi combatte quotidianamente quel potere. Anche a rischio della vita. Quelli robusti reagiscono, in altri subentra la sfiducia. Insomma, sobrietà ed attenzione.

E qui vengo al tema della legalità.
Il 7 dicembre 2006 svolgemmo un attivo di quadri e delegati a Casal di Principe. Fu una scelta emblematica, non strumentale. Volevamo essere presenti in una parte del territorio nazionale simbolo della debolezza democratica delle istituzioni con il Comune commissariato per infiltrazione camorristica (purtroppo tutt’altro che unico nel Sud); con un degrado ambientale in cui ai lati della strada sacchi di spazzatura sostituiscono siepi e dal cui fumo si sprigionano sostanze nocive ed il cui odore devasta le coscienze. Un’area urbana con il più alto tasso di omicidi in Europa e tra le prime posizioni nella vendita di Mercedes.

Il controllo sociale della criminalità si sente sulla pelle. E’ un condizionamento drammatico che avvolge e schiaccia. Maurizio Braucci, uno scrittore napoletano, parlando di Scampia, indica che la criminalità è percepita come “logica”, normale. Così è. Non c’è lo Stato, c’è quel “sistema”.
Lo Stato si presenta con scuole fatiscenti, strade dissestate, rifiuti non raccolti, mancanza di lavoro.

E’ la logica di chi non ha fiducia, che sente di non avere nulla da perdere e lotta per sopravvivere. Vale per Casal di Principe, vale per Scampia, per lo Zen di Palermo, per il Librino di Catania e tanti altri. Sopravvivere. Non si guarda se spacciare droga significa “uccidere” il figlio del tuo vicino che, per il vicino è tuo figlio! Il gioco della vita a prezzo scontato.

Come scrive Roberto Saviano:” Giocano con te come con lo shangai. Tolgono tutte le bacchette di legno senza mai farti muovere, così alla fine rimani da solo e la solitudine ti trascina per i capelli”.
Come ha ricordato il Prefetto di Napoli, Alessandro Pansa, in provincia di Caserta ci sono casi in cui, in dieci anni, lo stesso comune è stato sciolto cinque volte. E questo pone il tema dei commissariamenti e del precipitare nella situazione precedente alla loro conclusione. Ciò vuol dire che il commissariamento, da solo, non è in grado di rimuovere le cause che hanno portato allo scioglimento.

Francesco Forgione (Presidente della Commissione Antimafia) in una recente intervista mette in luce che: “Mentre prima le organizzazioni criminali avevano bisogno di un rapporto con la politica per assicurarsi appalti e grandi opere, oggi è la forza economica che assicura loro potere di contrattazione con la politica”.

E’ la linea sottile che separa il condizionamento dalla collusione.
Questo vale per Melito di Porto Salvo, in Calabria, dove si è evitato il terzo scioglimento perché tanto non sarebbe cambiato nulla visto il controllo elettorale da parte della ‘endrina locale.
Ecco perché diciamo: mille agenti e mille maestre. Il territorio và presidiato dalla criminalità, ma bisogna costruire la legalità a partire dalle scuole.

Quella frase: “Non fidatevi di me” con cui Gian Carlo Caselli spiega la mafia nelle scuole, insegna ai ragazzi a guardarsi intorno, di scegliere con la propria testa, senza lasciarsi condizionare.
Non bisogna perdere la speranza. Se le persone non vengono lasciate sole sono molto più forti della criminalità.

I ragazzi di Locri del “ Ed ora ammazzateci tutti”, i giovani di Lamezia Terme del “Facciamoci sentire per non farci seppellire”, gli studenti di Napoli di “Napoli vive, io la difendo”.
Bisogna essere consapevoli, tutti, che non esiste la linea che separa il bene dal male.
Il sistema messo in luce dalla Commissione d’Accesso dell’ASL di Locri può essere pervasivo laddove la legalità non costruisce solide barriere che impediscono le infiltrazioni.
Negli appalti, nell’affidamento degli incarichi, nelle assunzioni è fondamentale garantire la trasparenza.

Quello che il Prefetto di Reggio Calabria, Luigi De Sena, chiama Protocolli di legalità possono essere strumenti che sostengono gli enti nella gestione delle attività più esposte.

Non si tratta di rinunciare a parte dell’autonomia istituzionale e gestionale, ma di evitare di essere il ventre molle per la criminalità.

Pietro Grasso (Procuratore nazionale Direzione Nazionale Antimafia) identifica alcuni punti nevralgici da affrontare e considerare:
1. l’elezione diretta dei Sindaci e Presidenti di Provincia con quello che comporta in termini di pressioni nell’elezione prima, nelle decisioni poi;
2. la separazione tra indirizzo politico-amministrativo delle assemblee elettive e gestione di competenza dei dirigenti;
3. la creazione di società miste pubblico-privato per la gestione di servizi pubblici quali trasporti, acqua, rifiuti.

L’esperienza porta ad identificare i segni evidenti della collusione tra amministratori e criminalità organizzata:
1. assenza di piani regolatori;
2. inefficienza dei servizi della Polizia Municipale (che non si risolve con manganelli ed assumendo interinali ndr);
3. scuole in rovina;
4. strade dissestate;
5. rifiuti abbandonati per mancanza di raccolta;
6. abusivismo edilizio;
7. assistenza sanitaria inesistente (ed i fenomeni di scarsa trasparenza laddove convivono inefficienza pubblica ed affari privati);
8. cimiteri abbandonati;
9. personale assunto in modo clientelare;
10. dissesti finanziari;
11. inazione fiscale.

Da quanto qui segnalato risulta evidente la necessità di una nuova stagione per le Pubbliche amministrazioni.

Ecco perché noi pensiamo che bisogna accantonare definitivamente le idee liberiste e smettere i vestiti delle privatizzazioni e lanciare una rinnovata cultura di spazio pubblico che sappia influire sullo sviluppo e che si fa garante della tutela dei diritti dei cittadini.

Stato sociale e servizi pubblici come strumenti fondamentali di rinnovata idea democratica in cui lo Stato intende farsi carico della coesione sociale anche attraverso la gestione diretta dei servizi essenziali.

Qui sta la nostra iniziativa, insieme a decine di altre associazioni e centinaia di comitati territoriali, con la raccolta di firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua. La raccolta di firme sta andando molto bene; bisogna fare di più perché a luglio, il numero delle firme sia almeno dieci volte superiore a quello necessario.

E lo ribadisco in questa occasione: la FP CGIL si opporrà a qualsiasi idea di privatizzazione del servizio idrico, qualsiasi sia il colore dell’amministrazione che lo propone. Esattamente come abbiamo fatto in Sardegna ed in Sicilia. E lo dico qui a Napoli e per Napoli.

Non è più sopportabile, come accade in Sicilia, in cui si vuole privatizzare l’acqua dicendo che ciò favorisce i cittadini ed allo stesso tempo si istituiscono ventisette ATO (sei solo a Palermo) che amplificano, drammaticamente, cattiva amministrazione, spreco di risorse, probabili fenomeni di infiltrazione mafiosa.

Allo stesso tempo, lo faremo con un’iniziativa il 27 febbraio, risulta urgente riverificare le politiche in materia di ciclo integrato dei rifiuti perché in troppe aree del Mezzogiorno, l’emergenza rifiuti condiziona pesantemente la realtà per tutto ciò che ruota intorno e dentro a questo che, nel tempo, è diventato uno dei più grandi business da cui la malavita trae una notevole fonte di guadagno.

Dicevo nella parte iniziale della comunicazione, che nei prossimi anni, nel Meridione, arriveranno oltre cento miliardi di euro che andranno programmati e gestiti bene.
Non si tratta di spendere i fondi, ma di investirli in direzione dei quattro macro-obiettivi e delle dieci priorità tematiche definiti dal Quadro Strategico Nazionale 2007/2013 (QSN).

Il salto di qualità rispetto alla storia degli interventi nel Mezzogiorno è notevole. Per la prima volta si è definita una “coerenza temporale” e una programmazione unica delle risorse, unitamente ad una incentivazione a creare sinergie tra regioni e tra territori.
Come noto, l’intervento straordinario fu soppresso nel 1993 e questo avvenne essenzialmente per tre motivi:

1. sostanziale fallimento della Cassa per il Mezzogiorno, visto che non ridusse per nulla la differenza dello sviluppo tra nord e sud, anche a causa dell’inquinamento politico-clientelare;
2. un clima meno disponibile verso il Mezzogiorno;
3. crisi profonda della finanza pubblica.
E’ bene ricordare che negli anni successivi, gli investimenti delle amministrazioni pubbliche diminuirono del 28% e la disoccupazione aumentò del 4%. A dimostrazione che per eliminare il problema del meridione non basta eliminare il meridione dall’azione politica, come pure una scuola di pensiero proponeva.

Bisogna inoltre ricordare, che la storia delle risorse verso il Sud non è stata per nulla brillante anche in tempi recenti. Si può dire che, malgrado la costituzione del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e coesione (DPS) nell’ambito di quello che ora si chiama Ministero dell’Economia e Finanze quale strumento per stimolare le iniziative di sviluppo locale attraverso la programmazione negoziata, si è assistito ad una sostanziale incapacità di spesa visto che soltanto il 13% delle risorse disponibili venne messo a disposizione.

Il credito d’imposta ed il cuneo fiscale previsti nella Finanziaria 2007 sono interventi giusti rispetto alla necessità di sostenere il Mezzogiorno coerentemente come si sta facendo con il Fondo per le Aree Sottoutilizzate (FAS).

Siamo alla svolta dunque? Sicuramente siamo al dunque.
Uno dei quattro macro-obiettivi: “Accrescere la qualità della vita, la sicurezza e l’inclusione sociale nei territori” e “ Inclusione sociale e servizi per la qualità della vita e l’attrattiva territoriale” tra le dieci priorità tematiche, mi pare sollecitino la nostra peculiare iniziativa di categoria, nel quadro più ampio della contrattazione confederale.

Bisogna avere una visione alta e lungimirante. E’ bene ricordare che il 30% del Fondo per le Aree Sottoutilizzate viene accantonato per progetti interregionali o sovraregionali, per progetti strategici di eccellenza per la salute.

Così come con l’individuazione delle Zone Franche Urbane (ZFU) si potranno favorire progetti di inclusione sociale finalizzandoli, soprattutto, alle periferie in cui più grave è il fenomeno del degrado e della insicurezza sociale.

Anche per tali fini è molto importante quanto sancito nel “Memorandum su lavoro pubblico e riorganizzazione delle Amministrazioni Pubbliche”.

La sfida riguarda tutti: la politica, le istituzioni, noi.
Per l’iniziativa sindacale nel Mezzogiorno, vertenziale e contrattuale, significa individuare e praticare percorsi che sappiano coinvolgere le RSU, le lavoratrici ed i lavoratori in quella che anche per noi si presenta come una fase fondamentale per il Sud.

Il miglioramento della qualità dei servizi, diritti di cittadinanza, legalità, riduzione degli sprechi, valorizzazione del lavoro, contrattazione, scomparsa del precariato, separazione tra indirizzo e gestione costituiscono i pilastri di questo che non è lo start dell’ora ics del cambiamento, ma un protocollo di obiettivi che richiama ognuno di noi al senso di responsabilità ed alla buona pratica.
C’è un punto del memorandum che vorrei citare in modo specifico: il ruolo da protagonisti dei cittadini nella valutazione della qualità dei servizi erogati che influirà nella contrattazione integrativa.

Ora ci aspettiamo che a livello nazionale Regioni e Autonomie Locali sottoscrivano il memorandum. Sappiamo che affrontare un processo di riorganizzazione pensando di dover anche rivedere alcune scelte di esternalizzazione può preoccupare. Ciò è dovuto anche alla consapevolezza che tali scelte, molte volte, sono state fatte a prescindere, quasi ideologicamente, senza cioè valutare meglio che cosa sarebbe potuto accadere a distanza di tempo in termini di qualità, costi, diritti. Ma cambiare questo approccio è decisivo per una classe dirigente che intende svolgere degnamente il suo compito.

Noi possiamo dire con una certa sicurezza che “Quindici anni dopo: pubblico è meglio”. Non per ideologia, ma con qualche significativo riscontro.

E’ questo il motivo che mi porta a dire con chiarezza esprimendo l’opinione della Categoria: o il Governo si attiva concretamente per l’applicazione del Memorandum anche attraverso le Direttive ai Comitati di settore per rinnovare i contratti o le Organizzazioni Sindacali attueranno tutte le iniziative di mobilitazione e di sciopero che saranno necessarie.

Ho concluso.

Voglio ringraziare i nostri ospiti ed interlocutori e le compagne ed i compagni che hanno dato un importante contributo per la redazione di questa comunicazione, a partire da Antonio Crispi dal cui lavoro fatto in precedenza ho tratto spunti e riflessioni e gli altri compagni della Segreteria. Le compagne ed i compagni Segretari Generali delle Regioni, delle Aree Metropolitane e dei Territori del Mezzogiorno. Il compagno Natale di Schiena, prezioso collaboratore e Tonino Peduto per aver dato la sua disponibilità ad impegnarsi con noi sui temi del Meridione. Ringrazio anche tutti coloro che hanno curato la parte organizzativa e la Funzione Pubblica della Campania e di Napoli che si sono messi a disposizione per far riuscire questa manifestazione.

Ho cercato di dare il senso dell’iniziativa e soprattutto rendere evidente che facciamo sul serio, manifestare la nostra volontà di cambiare le cose; scommettendo sulla capacità delle amministrazioni pubbliche di riformarsi e di riorganizzarsi.

Lo sviluppo di questa parte del paese, la tutela dei diritti delle persone, la coesione sociale dipendono da quello che saremo in grado di fare.

Non c’è nessun appello conclusivo da formulare, per noi il senso di marcia è chiaro. E su questo chiederemo il voto delle lavoratrici e dei lavoratori nelle elezioni delle RSU.

I risultati non sono scontati, ma non ci possono essere dubbi sul fatto che ce la metteremo tutta.

Grazie