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PATTO PER IL LAVORO PUBBLICO

La condizione economica e sociale nella quale il Paese si trova richiede una attenta valutazione delle dinamiche e degli andamenti della spesa pubblica. E’ universalmente noto, infatti, che almeno tre dei quattro grandi capitoli di spesa primaria indicati nel DPEF, (Pubblico Impiego, Sanità, AA.LL., Previdenza) sono determinati anche dal lavoro pubblico.

L’analisi della dinamica di spesa conseguente, delle sue caratteristiche, delle sue molteplici cause ed effetti è stata caratterizzata finora dal Governo da un approccio che tende a considerare genericamente questi capitoli esclusivamente come costi.

Quello che invece le OO.SS. del lavoro pubblico vogliono fare con l’apertura di questa vertenza è assumere un altro punto di vista che più analiticamente esamini queste spese, dichiarando una disponibilità incondizionata ad una feroce lotta agli sprechi, ma insieme una altrettanto ferma volontà di contrastare ed impedire una politica di tagli generali che riducano qualità e quantità dei servizi resi ai cittadini ed al livello delle tutele e dei diritti dei lavoratori pubblici primi tra tutti il diritto ad avere il rinnovo dei CCNL scaduti ormai da 7 mesi ed il diritto di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici precari ad avere un posto di lavoro stabile.

Sarebbe un grave errore continuare a considerare la Pubblica Amministrazione ed il lavoro pubblico solo come centri di costo e non come fattori trainanti di una seria politica di risanamento e di sviluppo equo e solidale del Paese.

Le sfide che la P.A. in tutte le sue articolazioni e strutture è chiamata ad affrontare, come la lotta all’evasione fiscale o al lavoro irregolare, indicate come prioritarie dallo stesso Governo sia nel programma che nel DPEF, si vincono solo mettendo in campo una politica nuova del lavoro pubblico in termini di potenziamento dell’autonomia e capacità operativa delle amministrazioni interessate, di adeguamento degli organici, di formazione e specializzazione del personale.
 

Da una politica di tagli ad una vera lotta agli sprechi

Se si vuole davvero ridurre la spesa primaria senza comprimere diritti dei cittadini e dei lavoratori bisogna avere la capacità ed il coraggio di intervenire su fattori della spesa che più si caratterizzano per essere immotivati e costituiscono spesso vera e propria dilapidazione di denaro pubblico che genera, tra l’altro, non di rado, occasioni di illegalità diffusa.

Quando si parla di spesa sanitaria piuttosto che indicare l’obiettivo di una riduzione generale dello 0,2% della spesa è necessario intervenire sulla spesa farmaceutica cresciuta di 12 punti percentuali nel 2005 rispetto al 2004 e sulla spesa per acquisizione dei beni, servizi e appalti il cui andamento è totalmente fuori controllo ed appare viziato da logiche distorsive che portano all’acquisizione di beni uguali con prezzi assolutamente diversi non solo sul territorio nazionale ma persino in quello di ciascuna singola regione. Questa spesa rappresentava nel 2004 il 21% e nel 2005 il 22% dell’intera spesa. Il singolo capitolo è aumentato dell’8% circa quattro volte l’inflazione dello stesso periodo.

Tale fenomeno interessa anche gli enti a finanza centrale (Ministeri, Enti Pubblici, e Sanità etc) la cui spesa per lo stesso titolo è stata stigmatizzata più volte dalla Corte dei Conti ed ha avuto un incremento nel 2005 sul 2004 pari al 52%.

A tale proposito una credibile azione di contenimento dei costi dovrebbe in via preliminare comportare, come già si fece all’inizio degli anni ’90, l’approvazione di una norma di legge che obblighi tutti gli enti ad una rinegoziazione degli appalti che, escludendo quei servizi per i quali non è possibile la logica del massimo ribasso, comporti una riduzione almeno del 10% delle spese a questo titolo. Particolare attenzione merita la spesa per le consulenze che è stata pari, per 140.000 contratti, ad 1,2 miliardi di euro nel 2004 e che non può più essere tollerata. Nella cosiddetta manovrina sono state create le premesse per non farne di nuove ma bisogna efficacemente incidere su quelle che rimangono in corso riducendole drasticamente magari con una norma analoga a quella appena indicata.

Rimane intatta invece la nostra contrarietà alla introduzione dei cosiddetti ticket in sanità che oltre a costituire un ulteriore aggravio per i redditi già così provati del lavoro dipendente e dei pensionati, hanno dimostrato, sol che ci si prenda il disturbo di osservare la serie storica della spesa pubblica sanitaria degli ultimi dieci anni, tutta la loro inefficacia. Andrà invece ricostruita una presenza nel territorio di quelle strutture che possono alleggerire il carico improprio di prestazioni che grava oggi esclusivamente sugli ospedali.

Occorre inoltre prendere atto che le regioni nelle quali è più marcata la tendenza alla crescita del deficit è più forte (prossima al 50% del totale) la spesa per la sanità privata. Bisogna avere il coraggio di riconsiderare le convenzioni oggi esistenti proponendo adeguate politiche di risparmio ed in ogni caso l’interruzione dei regimi di convenzione in caso di mancata applicazione dei contratti di lavoro. Così come in questo settore non può essere esclusa la necessità di introdurre adeguate misure che impediscano il dilagare di una illegalità diffusa che sembra, dalla notizie di stampa, di fatto caratterizzare il rapporto tra gli imprenditori di questi settori e vasti settori della politica e dell’amministrazione pubblica.

CCNL 2006/2009

Come è noto i contratti pubblici sono scaduti il 31/12/2005 ed il rinnovo che dovrà essere affrontato riguarda il quadriennio normativo ed il biennio economico.

Anche le più recenti elaborazioni hanno dimostrato che il rinnovo dei CCNL nei settori pubblici ha sostanzialmente faticato a tener dietro alle dinamiche inflative. Il biennio 2004/2005, essendo stato un biennio nullo dal punto di vista dei contratti, e che ha invece visto l’esplosione della spesa pubblica, si è incaricato di dimostrare come la spesa per i contratti non è certo il fattore scatenante di incrementi fuori controllo della spesa primaria.

E’ quindi indispensabile rendere possibile l’apertura dei negoziati per i rinnovi contrattuali stanziando nella prossima legge finanziaria le risorse necessarie che consentano un reale recupero del potere d’acquisto delle retribuzioni in linea con l’inflazione, che recuperi lo scarto tra inflazione reale e programmata del precedente biennio e che finanzi in modo adeguato la contrattazione integrativa. Dal punto di vista normativo è prioritario ristabilire regole certe ed esigibilità degli accordi sottoscritti riconducendo a scadenze ordinate e regolari i rinnovi, rendendo anche per questa via più leggibile e trasparente l’effetto dei rinnovi sulle retribuzioni reali da un lato e sull’andamento della spesa dall’altro. Anche allo scopo di contenere la spesa e di moralizzare l’uso delle risorse pubbliche sarà rivendicata nei CCNL una norma che impedisca efficacemente il ricorso alla esternalizzazione ed alle cessioni di attività del cui svolgimento non sia stata prima accertata la maggiore economicità e l’impossibilità di svolgerla nel ciclo ordinario della pubblica amministrazione o servizio preso in considerazione.

Per ciò che riguarda la contrattazione integrativa relativamente alle risorse destinate alla produttività le OO.SS. dichiarano la propria disponibilità a negoziare dispositivi nel CCNL che vincolino l’esercizio della stessa al raggiungimento di obiettivi e risultati orientati all’ampliamento dei servizi, della loro esigibilità da parte dei cittadini e delle imprese, nonché alla riduzione dei costi. A tale scopo il raggiungimento di questi obiettivi dovrà essere assunto in maniera vincolante in primo luogo da parte della dirigenza.

E’ del tutto evidente che un dispositivo contrattuale che assuma seriamente tali obiettivi non può basarsi su risorse che, come oggi avviene in gran parte delle pubbliche amministrazioni, si rendono disponibili alla fine dell’anno nel quale si sarebbero dovuti costruire i progetti di riorganizzazione per poi verificarne l’efficacia ed il grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Previdenza integrativa

Ad undici anni dalla riforma della previdenza effettuata con la L. 335/95 i lavoratori pubblici che come risulta dai dati INPDAP sono per oltre il 50% nel cosiddetto sistema contributivo misto o totale, al fine di garantirsi al termine della propria vita lavorativa una pensione decorosa, hanno assolutamente bisogno della possibilità di iscriversi al proprio fondo di previdenza. Gli accordi giacciono all’Aran dimenticati; il Governo deve finalmente attuarli superando resistenze dovute a motivi, come nel caso delle Regioni, intollerabili.

Occupazione e precariato

Tutti i dati macro economici testimoniano in maniera incontrovertibile che non c’è un problema di sovradimensionamento degli apparati pubblici né rispetto al totale del lavoro dipendente né rispetto alla cittadinanza servita e neppure rispetto al P.I.L. Il dato italiano infatti è del tutto in linea con la media della U.E. ed in qualche caso significativamente inferiore a quello di importanti stati membri come Gran Bretagna o Francia.

Se si vuole davvero affrontare questo tema bisogna smetterla di considerare il cosiddetto Pubblico Impiego come un monolite indistinto.

C’è bisogno invece di affrontare la questione “spacchettando” la Pubblica Amministrazione e vedendo comparto per comparto la situazione in essere. La verifica comporterà presumibilmente risultati articolati e la necessità di attuare mobilità professionali non con le tradotte ferroviarie, ma con processi di riqualificazione, politiche di reclutamento mirate e che tengano conto dell’invecchiamento del lavoro causato da sconsiderate ed inefficaci, dal punto di vista del contenimento della spesa, politiche di blocco del turn over.

Di converso queste politiche hanno provocato l’esplosione del precariato. CGIL-CISL-UIL dei settori pubblici rivendicano misure di stabilizzazione del precariato del superamento cioè di tutte quelle forme di lavoro precario utilizzato per svolgere funzioni e lavori stabili e propri del ciclo lavorativo delle Pubbliche Amministrazioni.

Ad un lavoro stabile deve corrispondere un lavoratore stabile. A queste politiche le OO.SS. ritengono possibile destinare anche una parte del beneficio contrattuale nelle quantità, nei modi e nelle forme che il negoziato definirà dando prova nel concreto di ciò che i lavoratori pubblici intendono come solidarietà tra lavoratori stabili e lavoratori precari.

Nel quadro quindi del riconoscimento della presenza a pieno titolo di queste lavoratrici e lavoratori nel mondo del lavoro pubblico CGIL-CISL e UIL del settore rivendicano inoltre il riconoscimento per i lavoratori precari del loro diritto a votare e ad essere eletti nelle prossime elezioni delle RSU, strutture nelle quali queste lavoratrici e lavoratori potranno finalmente rappresentare le proprie istanze ed i propri bisogni con pari dignità con tutti gli altri lavoratori.

Patto per il lavoro

Il complesso delle misure qui appena accennate richiede l’apertura di un negoziato che non sia quello tradizionale per la sola individuazione delle risorse per il rinnovo del CCNL. Pertanto FP-CGIL, FP-CISL, UIL-FPL e UIL-PA richiedono al Governo l’apertura di un tavolo presso il Ministero per le Riforme e l’Innovazione, con la presenza del Ministro del Lavoro e del Ministro dell’Economia che consenta la stipula di un vero e proprio patto per il lavoro pubblico che faccia finalmente di questo sistema non un costo ma un fattore determinante per l’arresto del declino e la ripresa e lo sviluppo di questo Paese.

Se questa opportunità che oggi si offre non venisse colta ed il Governo confermasse nella finanziaria la linea proposta per il lavoro pubblico nel DPEF si aprirebbe un conflitto durissimo che, fermo restando la nostra responsabilità di contemperare i diritti di chi rappresentiamo con quelli dei cittadini dimostrata negli anni ed imparagonabile con gli atteggiamenti avuti da corporazioni i cui comportamenti nulla hanno a che fare con la responsabilità di chi garantisce un servizio pubblico, non potrà essere limitato dalle norme restrittive della legge 146 né alle interpretazioni penalizzanti e discriminatorie nei confronti del pubblico impiego della Commissione di Garanzia che ancora una volta si è dimostrata debole con i forti e forte con i deboli.

Roma, 24 luglio 2006