Relazione introduttiva di Maria Troffa - Segretaria Nazionale FP Cgil - al convegno
"Pubbliche Amministrazioni nelle regioni meridionali: leggi Bassanini - patti territoriali e contratti d’area - decentramento e nuovi interventi di programmazione"

Napoli 17 aprile 1998

Le politiche di risanamento, realizzate dal Governo, hanno consentito di centrare l’obiettivo di entrare nell’Unione monetaria europea già dalla prima fase. Resta, però, ancora da vincere l’altra sfida che si pone per il nostro paese: quella della disoccupazione, soprattutto del mezzogiorno, e del compimento dei processi di riforma.

Fin dai suoi primi mesi di vita l’attuale Esecutivo ha manifestato una decisa volontà nell’affrontare le grandi riforme di cui il nostro paese ha necessità. I lavori della Commissione Bicamerale per riformare la seconda parte della Costituzione e le leggi Bassanini per procedere ad un decentramento di poteri e funzioni verso le regioni e gli enti locali hanno aperto una fase di cambiamento visibile nella vita politica e sociale del nostro Paese.

E’ ormai indubbio e riconosciuto che, per essere adeguati ai bisogni ed alle richieste che la complessità della nostra società esprime, occorre un nuovo sistema istituzionale, una nuova funzione di governo, una ricostruzione dell’unità nazionale, che non mortifichi le reali differenze esistenti e che valorizzi le autonomie.

In questo contesto si è iniziato ad affrontare un nodo ineludibile per un Paese che voglia finalmente guardare in modo nuovo ad una seria politica di sviluppo e conquistare un rapporto di fiducia nelle istituzioni: mi riferisco alla riforma della Pubblica Amministrazione.

Operare perché ci sia una Pubblica Amministrazione efficiente, in grado di dare risposte celeri e produrre atti efficaci, riconosciuta dai cittadini come "amica" e fondamentale punto di riferimento è l’obiettivo che ci si è posti per superare una visione che l’ha identificata come uno tra i fattori di ritardo dello sviluppo, oppressa da un eccesso di leggi e burocratismi, da numerosi e contorti meccanismi di controllo, da interminabili attese per le decisioni e da scarse esecutività delle stesse.

Le leggi Bassanini, la n.59 del 15 marzo ’97 per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali, la riforma delle amministrazioni centrali, degli enti pubblici e delle istituzioni scolastiche, la delegificazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi, la riforma del Pubblico Impiego con la revisione del decreto legislativo 29/93 e la legge n.127 del 15 maggio ’97 per lo snellimento e la semplificazione, partendo dalle esigenze richiamate, hanno messo in moto un processo di cambiamento destinato a mutare radicalmente l’attuale assetto degli uffici pubblici.

La legge 59, soprattutto, che affronta contestualmente il tema del decentramento delle funzioni e quello della riforma della Pubblica Amministrazione, vede finalmente quest’ultima in un’ottica totalmente diversa dal passato in quanto pensa alla riorganizzazione delle amministrazioni in funzione appunto del decentramento e quindi anche della necessità che esse siano di supporto e sostegno ad una politica di sviluppo.

La legge 59 è stata giudicata da molti osservatori, politici e studiosi come il primo passo verso il federalismo, perché introduce a Costituzione invariata importanti novità e delinea un processo riformatore in qualche modo "storico" per il nostro Paese.

Io penso che tale processo, perché possa essere compiuto fino in fondo, abbia necessità di una sponda nella modifica costituzionale, ma nel frattempo occorre senza dubbio mettere in pratica e valorizzare i suoi assunti.

Importanti deleghe previste nelle Bassanini sono già state esercitate: il decreto legislativo n.143/97 sul Ministero delle Risorse agricole e i conferimenti in materia di agricoltura; il d.lgs n.281, sempre del ’97, sulla Conferenza unificata Stato-regioni-città; il d.lgs. n.422/97 sul trasporto locale; il d.lgs. n.469/97 sul mercato del lavoro e il Ministero del Lavoro; il d.lgs. n.396/97 sulla revisione della disciplina del rapporto di lavoro pubblico; il d.lgs n.80/98 sulle modifiche al decreto legislativo n.29/93 e quello in materia di conferimenti alle regioni ed agli enti locali, l’ultimissimo, ancora non pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Si può dire che nel complesso di è tenuta presente la linea di fondo indicata dalla legge primaria, ma certamente le resistenze messe in campo non hanno consentito una coerenza più puntuale rispetto alle premesse, o forse, alle attese createsi all’indomani delle prime leggi.

Va riconosciuto, però, che il percorso è iniziato e ad ogni istituzione interessata compete fare la propria parte, provvedendo nei tempi stabiliti.

Le leggi Bassanini dunque, i decreti derivati, altri provvedimenti quali la legge 94/97 di revisione della struttura del bilancio dello Stato, il decreto legislativo di costituzione del nuovo Ministero del Tesoro e del Bilancio, o altri in discussione come il Bassanini ter, concorrono, insieme, a ridisegnare la Pubblica Amministrazione di questo Paese.

L’altro corno del problema, da affrontare insieme alla riforma amministrativa è quello che attiene al lavoro pubblico. Su di esso si è scaricato spesso nel passato la totale responsabilità dell’inefficienza delle amministrazioni: molte lavoratrici e lavoratori hanno vissuto sulla propria pelle tale opinione, interiorizzando un senso di inutilità del proprio operato e di impassibilità al cambiamento, avendo puntualmente verificato che ogni tipo di riforma promessa tale rimaneva.

La stessa riforma del rapporto del lavoro pubblico, introdotta con il decreto 29/93, che tante attese aveva creato, seppure nata con lodevoli intenzioni, finì per perdere molti contenuti innovativi e positivi perché guidata principalmente dall’ottica del risparmio e del controllo della spesa pubblica, che aveva prevalso su tutte le altre considerazioni.

L’intesa sul lavoro pubblico del marzo ’97 evidenzia, invece, l’impegno del Governo ad affrontare questa tematica come fondamentale per la realizzazione del processo di riforma, segnando quindi una forte discontinuità rispetto al passato.

L’intesa ha fornito un utile supporto all’esercizio della delega contenuta nell’art.11 della L. 59/97, perché segnala come obiettivi primari il completamento del processo di unificazione della disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato e la piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro. In essa si sottolinea finalmente la valorizzazione del lavoro pubblico come risorsa fondamentale per la realizzazione dei processi di riforma e si conviene sulla necessità di puntare principalmente sulla formazione per la riqualificazione professionale delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici anche in funzione dei processi di mobilità.

Qualunque riforma, ma in particolare un processo riformatore di questo rilievo, richiede, per una sua piena e completa attuazione, la convinzione ed il sostegno di coloro che nella pratica devono realizzarla e mi auguro che non ci sia più nessuno che pensi di operare grandi trasformazioni a prescindere, o addirittura contro coloro che devono renderle praticabili. Ma soprattutto è importante entrare in un contatto fecondo con tante professionalità presenti nel lavoro pubblico, che da tempo attendono di poter essere utilizzate in modo diverso, di poter evidenziare la volontà di lavorare bene e meglio e di vedere affermata una riconosciuta utilità sociale del proprio operato.

In un quadro come quello che ho brevemente delineato, per poter comprendere l’impatto che i processi innescati avranno nella loro attuazione occorre avere presente qual è, nel concreto, lo stato delle pubbliche amministrazioni nel nostro Paese. E qui iniziamo le considerazioni che ci hanno portato ad organizzare questo momento di riflessione comune.

I processi di riforma che ci delineano un domani con amministrazioni pubbliche più vicine ai nostri desideri si calano oggi in realtà profondamente diverse, per cui incontreranno ostacoli diversi.

Anche lo stato delle pubbliche amministrazioni evidenzia lo stesso dualismo esistente per lo sviluppo e la capacità produttiva, tra nord e sud. Anzi, non è stata forse la condizione delle pubbliche amministrazioni essa stessa uno dei fattori che ha contribuito a determinare i termini della questione meridionale, concorrendo al ritardo dello sviluppo?

Nel Mezzogiorno le pubbliche amministrazioni soffrono non solo dei limiti legislativi e burocratici presenti dappertutto, ma anni di intervento straordinario, scarsa capacità di spesa, una classe dirigente spesso priva di iniziativa e di capacità progettuale hanno determinato negli anni una differenza qualitativa e quantitativa nell’offerta dei servizi, per cui il sud si presenta alla gara di partenza per le riforme con un distacco enorme rispetto alle altre regioni, con un gap che è difficile da superarsi in tempi rapidi.

Nel contempo si sono affermate delle modalità di intervento per lo sviluppo del sud: fondi europei strutturali- patti territoriali - contratti d’area - che richiederebbero paradossalmente il supporto di una Pubblica Amministrazione all’avanguardia.

Inoltre le pubbliche amministrazioni del sud presentano per lo più degli apparati appesantiti (va considerato che il lavoro pubblico qui è stato spesso l’unico sbocco occupazionale), hanno visto uno sviluppo abnorme dei lavori socialmente utili, soffrono in qualche caso di commistioni malavitose, hanno spesso funzionato da ammortizzatori sociali...

insomma, se non è semplice attuare le riforme al nord, per il Mezzogiorno l’impresa sembrerebbe assai più difficile. Ma, in funzione dei nuovi modelli di sviluppo, per i quali una Pubblica Amministrazione non adeguata rischia di essere un pericoloso elemento di freno, ed alla luce delle possibilità offerte dai processi di riforma Bassanini, vogliamo ragionare per trasformare queste pubbliche amministrazioni e porle al passo con le esigenze di sviluppo dei territori.

Professor Cassese, in un’intervista rilasciata al "Sole 24 Ore" del 28 marzo scorso e intitolata significativamente: "Così si uccide il Mezzogiorno", sostiene che se gli enti locali che devono accogliere il trasferimento dei poteri sono "robusti" e cioè sono in grado di gestire autonomamente una macchina amministrativa efficiente, si avrà un vero e proprio fiorire di una nuova civiltà, ma se non lo sono, le conseguenze possono essere devastanti.

Egli pensa soprattutto, ma non solo, al Mezzogiorno e cita l’esempio di tre o quattro regioni che non sarebbero assolutamente in grado di far fronte ai nuovi compiti, non essendo in grado neppure di approvare il loro bilancio consultivo.

La situazione potrebbe quindi essere che "il sud rischia di rimanere ucciso" e aumenterebbe a dismisura il divario

con il nord.

Il ministro Bassanini ha risposto dalle pagine dello stesso giornale dicendo che il trasferimento di funzioni sarà graduale ed accompagnato da strumenti e risorse; le regioni e gli enti locali potranno avvalersi di strumenti di supporto ed assistenza tecnica; lo Stato conserva poteri sostitutivi ed inoltre nel sud vi sono, accanto ad esasperanti casi di inefficienza, anche esempi positivi di sindaci ed amministrazioni innovative, con voglia di protagonismo e riscatto.

Io ritengo che la preoccupazione espressa dal professor Cassese non sia infondata, è una preoccupazione che anche noi abbiamo espresso da tempo, ma è nel contempo giusto non farsi prendere dal panico, dal pessimismo, ed affrontare invece la situazione pensando a tutte le possibili iniziative che possono essere utili per raggiungere l’obiettivo.

Prendiamo quindi atto della volontà espressa dal ministro Bassanini rispetto a "strumenti di supporto" e cerchiamo di capire quali potrebbero essere.

Noi vorremmo che l’applicazione delle riforme venisse colta al sud come un’occasione, uno stimolo eccezionale per risvegliare o, come dice Cassese, (l’immagine è bella), far "fiorire una nuova civiltà" in tutto il Mezzogiorno.

Il Governo, per bocca dello stesso Presidente del Consiglio, ha riconosciuto che se il risanamento del bilancio era la condizione indispensabile per entrare in Europa, lo sviluppo del Mezzogiorno è oggi la condizione necessaria per restarci, per cui si è impegnato a lavorare per questo obiettivo con la stessa "tenacia" utilizzata per l’obiettivo di risanamento del bilancio.

Stando in questa ottica, che condividiamo, noi vorremmo, e questo lo chiediamo innanzitutto al ministro Bassanini, che anche la riforma della Pubblica Amministrazione fosse caratterizzata da una forte scelta meridionalista.

Qui sta il fulcro della proposta che intendiamo fare.

Questo significa, a nostro parere, che per le regioni meridionali occorrono, appunto, strumenti aggiuntivi, non diluizione dei tempi ma semmai anticipazioni rispetto ad alcune semplificazioni; occorrono interventi capaci non solo di far superare l’attuale gap ma di mettere le pubbliche amministrazioni meridionali in grado di svolgere un ruolo di promozione, supporto e coordinamento degli interventi di sviluppo al sud.

Siamo infatti consapevoli che il miglioramento complessivo del quadro economico non ha avuto un andamento lineare nel territorio nazionale: se, per esempio, il fatturato è aumentato complessivamente del 3,8%, al sud il miglioramento si ferma allo 0,8%, e la disoccupazione raggiunge in alcune regioni il 27% a fronte di un tasso nazionale del 12,2%, per cui il rischio che la crescita crei un ulteriore divario è reale ed anche da queste considerazioni muove l’urgenza di iniziative.

Va inoltre evidenziato che la disoccupazione meridionale

è caratterizzata da una forte disuguaglianza sessuale, in quanto la disoccupazione femminile si attesta in alcune regioni addirittura su percentuali doppie rispetto a quella maschile. Di qui la necessità che tutti gli interventi siano segnati da un rafforzamento delle politiche di pari opportunità, come anche il Consiglio Europeo raccomanda agli Stati membri.

C’è oggi la consapevolezza e la volontà di protagonismo di molte amministrazioni meridionali, richieste di nuovi momenti di confronto (penso alla richiesta del tavolo a quattro), un’attenzione diversa al problema, derivante anche a mio parere da una più attenta consapevolezza delle stesse forze sociali e della popolazione meridionale. Penso agli scioperi effettuati l’anno scorso in ogni regione, all’ultimo sciopero della Campania del 20 marzo, alla mobilitazione per i contratti d’area, ad altre iniziative, quali le Conferenze per l’occupazione tenute in queste regioni.

L’urgenza è ormai a tutti visibile e non può essere ignorata, le buone intenzioni da parte del Governo sono state manifestate, c’è ora necessità di passare alla fase operativa, al "fare" concreto, prima che si moltiplichino da parte degli imprenditori le richieste più varie che hanno ben poco a vedere con l’esigenza di sviluppo del Mezzogiorno.

Che significano infatti richieste quali quella di un unico contratto d’area per tutto il Mezzogiorno fatto da alcuni imprenditori non solo meridionali (per ultimo Carraro, ex presidente degli industriali veneti), o la simpatia improvvisa di Confindustria verso il cosiddetto movimento dei sindaci?. Non si tratta forse di iniziare a creare le basi per formare un ghetto meridionale e per rimettere poi complessivamente in discussione i diritti sanciti contrattualmente?

Occorre, invece, verificare con caparbietà lo stato di avanzamento degli accordi fatti nel ’96 e nel ’97, insistere per utilizzare al meglio gli strumenti esistenti.

Intanto va affermato che il sud non può essere considerato come un’unica area omogenea: vi sono tante diversità tra le regioni meridionali e nelle stesse regioni al loro interno, e ancora tra le città ed il resto del territorio, con differenti situazioni economiche e sociali e diverse velocità di sviluppo.

Questo significa anche che non è opportuno superare le attuali tipologie, come qualcuno anche nella maggioranza di governo pare suggerire, per un unico modello ma, in virtù delle differenze esistenti, è solo la selettività attuale che garantisce rispetto a pari opportunità di sviluppo.

Vanno quindi mantenute le distinzioni tra patti territoriali e contratti d’area e non si può pensare di omogeneizzare tutto il sud, con le sue diversità, in un unico contratto d’area.

Perché gli strumenti a disposizione funzionino è però indispensabile, come già detto, una Pubblica Amministrazione che sappia essere di supporto concreto, ma le cause del suo mal funzionamento sono di fondo e le abbiamo verificate tutte nell’utilizzo dei Fondi strutturali. Dobbiamo anche aggiungere che un grande sforzo è stato compiuto l’altro anno per raggiungere l’obiettivo del 38% rispetto al precedente 7% del ’96.

Il nodo più grosso venuto alla luce è stato sicuramente quello costituito dalla scarsa capacità di assolvere al compito di enti di programmazione da parte delle regioni. Certamente c’è stato anche un sovrapporsi di legislazione, una inefficienza della burocrazia, ma la causa prima del mancato utilizzo dei fondi è stata senza dubbio l’incapacità di fare programmazione, l’incapacità di progettare processi di sviluppo locale.

Questo resta, io credo, al di là di quanto avverrà rispetto alle modifiche che interverranno sui criteri per i fondi strutturali, e al di là di come si razionalizzerà l’attività degli enti attualmente impegnati sullo sviluppo, il nodo che è necessario affrontare prioritariamente perché lo stesso processo di decentramento di funzioni e compiti richiede una capacità di programmazione e di decisione da parte delle autonomie locali che non può essere trascurata.

Per andare in questa direzione occorre un’opera di formazione e qualificazione del personale, che lo metta in grado di acquisire le conoscenze necessarie. La prima Conferenza nazionale sulla formazione nel settore pubblico, di fine febbraio, ha messo in evidenza la ormai improrogabile necessità di investire in questa direzione riconoscendo nella formazione e riqualificazione delle risorse umane un passaggio indispensabile per la sorte delle riforme.

Di qui l’impegno del Governo a varare un piano straordinario per la formazione e arrivare, entro i prossimi tre anni, all’obiettivo di spesa dell’1% della massa salariale, come previsto nel patto per il lavoro pubblico.

Le varie iniziative di formazione per le pubbliche amministrazioni del Mezzogiorno, come il Progetto Pass che ha messo in moto un nuovo interesse delle amministrazioni sui temi dell’innovazione e della riorganizzazione, oltre ad avere inciso sull’accrescimento dell’utilizzo dei fondi strutturali, il Rap 100 per la promozione di agenti di sviluppo ed i progetti approvati dal Cipe nell’agosto scorso, inspiegabilmente non ancora attuati, sono tutte iniziative da valutare positivamente.

Quello che ancora manca è un’adeguata capacità di governo sui vari progetti, di coordinamento, una verifica rispetto ai risultati e rispetto alle ricadute effettive sul territorio.

Il ruolo previsto per il Formez dall’articolo 3 del disegno di legge 3095, (la cosiddetta Bassanini ter) e cioè la sua operatività sull’intero territorio nazionale, penso che sia positivo, ma credo anche che sia fondamentale ora la sua riorganizzazione, perché possa assolvere a questo nuovo ruolo in modo concreto. Comunque sentiremo su questo l’opinione del Presidente del Formez che abbiamo invitato a questa iniziativa.

Credo anche però, che l’opera di formazione e riqualificazione non sia da sola sufficiente: occorre che la cultura e la politica di tutte le pubbliche amministrazioni siano orientate sull’obiettivo di favorire e supportare lo sviluppo locale e, in rapporto a questo, si deve provvedere alla revisione dell’articolazione organizzativa degli uffici.

Questo è il collante che deve unire le pubbliche amministrazioni e in funzione di questo vanno individuati gli strumenti necessari.

In questa ottica gli sportelli unici per le attività produttive già decisi dall’art.24 dell’ultimo decreto legislativo nell’ambito del decentramento delle funzioni relative all’industria, sono uno strumento utilissimo: è importante che le regioni del sud provvedano immediatamente, rispetto ai conferimenti previsti dall’ultimo decreto (senza attendere la scadenza dei 6 mesi), a determinare le funzioni che richiedono lo svolgimento unitario in ambito regionale ed a conferire le altre funzioni ai comuni.

Si può pensare, al di là dei tempi del decreto, che sperimentalmente, da subito, si creino gli sportelli unici in tutti i comuni e/o nelle zone interessate dai patti territoriali o dai contratti d’area.

Alcune semplificazioni amministrative possono ugualmente avere necessità di anticipazioni per le zone meridionali o potrebbe essere necessario uno sportello unico "più polivalente", e cioè con un ambito di intervento più ampio rispetto a quello previsto dall’art.24. Penso ad esempio, che potrebbe dare informazioni anche rispetto ai problemi connessi all’emersione dal lavoro nero e sommerso o rispetto alle questioni riguardanti la legalità e la sicurezza.

Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il ripristino della sicurezza pubblica nel Mezzogiorno è una "precondizione" per favorire lo sviluppo e attrarre investimenti. Il contratto per la sicurezza e contro la criminalità, firmato a Napoli il 6 marzo scorso, l’impegno del Governo col "progetto sicurezza", i vari protocolli firmati nelle zone dei patti territoriali e dei contratti d’area sono fondamentali, non solo per rassicurare le imprese che dovranno investire ma, io credo, per migliorare le stesse condizioni di vita dei residenti se diventano uno strumento per affermare "legalità" in tutti gli ambiti.

Per riassumere quanto detto, la proposta che intendiamo fare è che per mettere le pubbliche amministrazioni in grado di corrispondere all’obiettivo esposto possano essere necessari interventi e strumenti, che devono essere individuati, a partire dalle esperienze che si compiono ora nelle zone interessate dai patti territoriali e dai contratti d’area, con molta flessibilità e duttilità, sapendo che possono anche essere diversificati.

Non intendiamo riproporre la logica dei vecchi interventi "straordinari" per il sud, che poi sono diventati ordinari, ma intendiamo individuare strumenti ad hoc che consentano di avere in tempi rapidi, in queste zone, pubbliche amministrazioni adeguate alla situazione.

Da parte nostra sarà fondamentale valorizzare nei prossimi rinnovi il ruolo della contrattazione di secondo livello per la misurazione della qualità dei servizi, della loro efficienza e rispondenza ai bisogni del territorio, così come per la formazione di una nuova cultura per gli addetti e della riorganizzazione degli uffici.

La nostra intenzione è fare di questo incontro un primo momento di confronto; io ringrazio tutti gli intervenuti e quanti daranno il loro contributo, in quanto hanno creduto nella validità di questa iniziativa.

Mi rendo anche conto che è una problematica, in qualche modo nuova, una problematica complessa; è quasi una scommessa, che tutti noi, presenti qui oggi, credo vorremmo vincere.

Questo è un primo momento di confronto e di avvio di una riflessione su queste problematiche. Abbiamo iniziato un lavoro congiunto, categoria-confederazione in queste regioni, che è stato molto utile e che deve continuare.

E’ soprattutto nelle regioni, infatti, che la discussione dovrà approfondirsi nel verificare i modi ed i tempi di avanzamento delle novità e nell’individuare i "supporti" necessari. Sono le regioni che costituiscono lo snodo di attuazione delle riforme e la loro capacità e rapidità nel legiferare e nel procedere alla riorganizzazione è fondamentale; perciò è necessaria un’azione di stimolo, di impulso e di controllo delle forze sociali.

Sarebbe poi utile trovare un modo per fare il punto insieme, per esempio ogni 6 mesi, rispetto ai cambiamenti intervenuti nelle amministrazioni, allo stato di avanzamento nella risoluzione dei problemi, al confronto delle esperienze.

Si tratterebbe di monitorare periodicamente la velocità delle varie procedure, il recepimento delle semplificazioni, l’adeguamento delle istituzioni locali rispetto ai loro compiti legislativi, l’impegno delle amministrazioni nell’opera di riorganizzazione interna etc... ciò consentirebbe anche di intervenire tempestivamente rispetto agli eventuali ritardi e resistenze.

La discussione, inoltre, credo che dovrà essere estesa anche a Cisl e Uil e divenire patrimonio comune delle lavoratrici e dei lavoratori del Pubblico Impiego.

Siamo consapevoli che, perché il meridione esca dalla situazione attuale, l’impulso deve principalmente venire dal suo stesso territorio, che deve creare la situazione per attrarre investimenti e ridurre il divario e che in questo un ruolo fondamentale lo assume la Pubblica Amministrazione.

Ma riteniamo anche che perché la questione possa avviarsi a soluzione, sia necessaria un’unità di intenti in questa direzione e l’assunzione di responsabilità collettiva.

Per quanto ci riguarda, come sindacato, intendiamo fare la nostra parte, attendiamo che tutti - Governo centrale istituzioni locali - facciano la loro, ciascuno per le proprie competenze.