La riforma dei servizi
ispettivi: novità, criticità, problemi applicativi
La riforma dei servizi
ispettivi, formalmente avviata con la pubblicazione del d. lgs. 124
del 2004, in applicazione della delega contenuta nell’art. 8 della
legge 30 del 2003 (riforma del mercato del lavoro), si configura
come una riforma nel senso pieno del termine.
Non si tratta, in questo caso, di un’operazione di facciata,
superficiale, ma si affonda nel tessuto profondo dell’attività
ispettiva in senso lato e, quindi, nello stesso tessuto sociale del
nostro paese.
Si avvia, così, a compimento una parte importante della riforma del
mercato del lavoro avviata dalla Legge 30 del 2003 e proseguita con
la Legge 276 del 2003 (riforma del collocamento).
Il crinale prescelto rimane quello della precarizzazione progressiva
del mercato del lavoro, della messa in discussione dei diritti
acquisiti in decenni di lotte dal movimento dei lavoratori e poi
codificato nella legislazione del lavoro, dell’attacco sconsiderato
all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, dell’attribuzione di
un ruolo di co-gestione e non più di conflitto alle organizzazioni
sindacali nell’ambito del Patto per l’Italia (non firmato dalla
CGIL).
I soggetti coinvolti
sono quelli tradizionalmente impegnati nell’attività ispettiva.
Viene, difatti, modificato il ruolo dell’INPS e dell’INAIL e si
verifica una vera e propria sovraesposizione delle strutture
territoriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
oltre che del personale ispettivo in prima persona, così come viene
modificata in maniera decisa la stessa filosofia ispettiva e,
seppure parzialmente, quella che (ancora) caratterizza il diritto
del lavoro.
Non vogliamo – in questa sede – fornire una lettura ideologica della
riforma, bensì evidenziarne le caratteristiche salienti, le novità
sostanziali e gli elementi di criticità.
Vale la pena, tuttavia, ricordare che il diritto del lavoro muove,
nelle sue motivazioni originarie, dall’esigenza di ricondurre ad
equilibrio un rapporto assolutamente sbilanciato fra lavoratore e
datore di lavoro. Rapporto che, oggi, risulta ancora più
problematico che nel passato - stante anche la trasformazione
profonda del mercato del lavoro nel corso dell’ultimo decennio – ed
al quale non è stato ancora contrapposto un adeguato bilanciamento.
Come si inserisce in tale rapporto la riforma dei servizi ispettivi
(ma potremmo dire, più in generale, la legge 30 del 2003)?
Quella in discussione
è una norma endogena al Ministero del lavoro, pur intervenendo
pesantemente sull’autonomia di soggetti esterni come gli Enti
previdenziali.
Nella lettura combinata delle diverse parti che la compongono si
evince con chiarezza una scelta politica rispetto alle tutele che il
Governo intende mettere in campo nei confronti dei lavoratori.
Non solo, ma da dichiarazioni pubbliche di dirigenti
dell’Amministrazione e dello stesso Sottosegretario Sacconi (vedi
convegno CISL sulla riforma dei servizi per l’impiego - Roma, 26
maggio 2004) si evince, senza ombra di dubbio, che la priorità del
Governo è la lotta al lavoro sommerso.
Prendiamo per buona, naturalmente, tale dichiarazione di principio -
già fatta propria da diversi governi del passato - in attesa che si
possano registrare risultati più concreti di quelli riscontrati
durante il febbraio del 2003, il mese dedicato alla lotta al lavoro
nero, durante il quale è stata sospesa qualsiasi tradizionale
attività di vigilanza da parte delle strutture ministeriali
periferiche.
Per intanto, però, possiamo già registrare un cambiamento radicale
nell’atteggiamento del Ministero del lavoro rispetto alla
tradizionale attività di vigilanza in materia di legislazione
sociale, di evasione contributiva, di sicurezza nei luoghi di
lavoro.
Leggendo il testo del decreto articolo per articolo si colgono
immediatamente due elementi centrali e collegati, connessi ad una
lievitazione della discrezionalità dell’intervento ispettivo e ad un
abbassamento considerevole delle tutele per il lavoratori più
deboli.
Difatti, se per il lavoratore più o meno sindacalizzato di
un’azienda medio - grande continuano a sussistere le condizioni
oggettive che rendono possibile il ricorso alla tutela sindacale,
per il lavoratore più debole si realizzano condizioni tali da
rendere di fatto improponibile il ricorso a dette tutele.
Si immagini, soltanto per un momento, una piccola azienda nella
quale, a fronte della verifica di inadempienze contrattuali da parte
del datore di lavoro, lo stesso avanzi richiesta, durante
l’ispezione stessa, di attivare il nuovo istituto della
conciliazione monocratica contestuale. Avremmo una situazione nella
quale le forme di ricatto psicologico da parte del datore di lavoro
sarebbero, dal nostro punto di vista, inaccettabili. Con quale animo
il lavoratore potrebbe ricorrere – e ne avrebbe certamente facoltà –
all’assistenza del sindacato, dichiarando implicitamente di non
fidarsi né del datore di lavoro, né dell’ispettore?
Siamo di fronte ad una scelta precisa, che privilegia una nuova
forma di conciliazione, diversa da quelle previste dalla normativa
in vigore ed in particolare dall’art. 410 del c.c., nella quale il
sindacato, pur previsto, è destinato a svolgere un ruolo sempre più
marginale, in sintonia con le scelte squisitamente ideologiche fatte
dall’attuale compagine governativa.
Gli aspetti critici del decreto sono anche altri, ma quello della
conciliazione monocratica li riassume in un sintesi assai
esauriente: massima discrezionalità dell’ispettore del lavoro, in
capo al quale (non già, quindi, all’Ufficio) risiede la titolarità
della funzione ispettiva, ed ulteriore indebolimento della parte più
debole del mondo del lavoro (si pensi, ad esempio, ai lavoratori
extracomunitari).
Per quanto riguarda il personale ispettivo, inoltre, esso viene
esposto in tal modo – in virtù della grande discrezionalità di cui
dispone – alla possibilità di denuncia per abuso d’ufficio e per
omissione di atti d’ufficio, dato che si configura come l’elemento
cardine della conciliazione monocratica.
Né risulta meno problematica l’applicazione dell’altra faccia della
conciliazione monocratica, definita conciliazione preventiva.
Anche in questo caso, ci sembra, le responsabilità attribuite al
personale ispettivo sono assolutamente sovradimensionate, dovendo
esso decidere delle possibilità transattive.
Più opportuna sarebbe stata l’attribuzione formale di tale
competenza in capo al dirigente dell’Ufficio stesso, pur non
risolvendo, questa scelta, il problema della discrezionalità.
Vedremo in seguito quali tutele l’attuale norma renderà disponibili
per tutelare il personale impegnato nell’attività ispettiva.
Tale discrezionalità è accresciuta, inoltre, dalla reintroduzione
dell’istituto della diffida (si veda a tale proposito la diffida
accertativa) e dall’introduzione della prescrizione nell’ambito
amministrativo.
Esiste, poi, una
problematica più generale che afferisce ai rapporti inter
istituzionali ed in particolare a quello fra Ministero del lavoro ed
Enti previdenziali (INPS, INAIL, ENPALS, ecc.).
Il coordinamento, demandato al Ministero del lavoro, di tutte le
iniziative volte alla lotta al sommerso ed alla vigilanza in senso
generale, si arricchisce della facoltà di intervento in relazione
alla tutela dei servizi essenziali concernenti i diritti civili e
sociali, con riferimento, anche, al controllo della corretta
applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro.
Quali siano questi livelli essenziali non è dato sapere, né chi li
definisce. Né, tanto meno, se nella loro definizione debbano essere
coinvolte le parti contraenti i contratti stessi.
Nella completa fumosità della norma, dunque, ancora si intravede un
potere discrezionale eccessivo, là dove, in luogo di una definizione
precisa e dettagliata della norma viene lasciato ampio margine alla
libera lettura dei contratti collettivi.
Dall’attuale coordinamento, posto dalla normativa precedente in capo
alle strutture del Ministero del lavoro, si passa alla direzione a
livello locale delle attività degli enti previdenziali e della
guardia di finanza, muovendo dalla centralizzazione delle politiche
ispettive.
Sarà il Ministro del lavoro a determinare le priorità, tanto per le
strutture periferiche ministeriali, che per quelle degli enti
previdenziali.
Dalla determinazione degli obiettivi in materia ispettiva, fino al
disegno delle politiche formative del personale degli Enti, si
assiste ad una scelta – coerente nel disegno governativo –
accentratrice e di forte ridimensionamento dell’autonomia di INPS ed
INAIL in particolare, essendo questi i maggiori colossi
previdenziali ed assicurativi coinvolti nel disegno di riforma.
Da un lato, dunque, sembra consumarsi un regolamento di conti fra
burocrazie pubbliche e, dall’altro, si schiaccia qualsiasi
possibilità di autonomia di programmazione degli interventi a
livello territoriale, stante anche l’assenza delle organizzazioni di
rappresentanza dei lavoratori dal coordinamento provinciale
dell’attività di vigilanza.
Come è pensabile che le priorità territoriali possano essere
definite, se non per le linee assolutamente generali, da una
qualsivoglia autorità centrale? Come è pensabile unire insieme
realtà prettamente agricole con altre caratterizzate
prioritariamente dal settore terziario o dall’industria?
Anche qui sembra emergere quella che potremmo definire la doppia
anima dell’attuale governo, da un lato una esasperazione del
federalismo, a danno di funzioni che necessiterebbero di forti
garanzie da parte del governo centrale (pensate alle politiche
sanitarie) e di una marcata caratterizzazione pubblica; dall’altro,
l’interpretazione del ruolo statale non come sinergia fra le diverse
istituzioni, bensì come sopraffazione di alcune di esse sulle altre
(si pensi al tentativo del Ministero dell’economia di ingerire
nell’autonomia storica della Banca d’Italia, oppure alla pratica del
controllo di spesa indiscriminato sulle altre istituzioni statali).
Come questo, poi, possa felicemente coniugarsi con l’autonomia degli
Enti previdenziali, anche nella definizione dei propri obiettivi
strategici, resta ancora da verificare.
Per chiudere,
rispetto alle criticità della norma, è necessario soffermarsi sul
ruolo di consulenza attribuito agli ispettori del lavoro a favore
delle associazioni di categoria, ma anche dei singoli datori di
lavoro.
E’ evidente la forte problematicità rappresentata dall’introduzione
dell’attività di consulenza in capo agli ispettori del lavoro, senza
che sia fatta menzione alcuna né della tipologia della consulenza
(se specifica dei singoli casi o generica), né di un separazione fra
personale consulente e personale ispettivo (si pensi all’esperienza
delle ASL in materia di tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro).
Fatto, questo, che risulta ancor più problematico se legato alla
onerosità dell’attività di consulenza e, quindi, alla determinazione
di un legame profondo fra consulente e parte datoriale.
Vengono introdotte,
inoltre, alcune novità degne di interesse.
Pensiamo in particolare al diritto di interpello, attraverso il
quale le associazioni di categoria e gli ordini professionali
possono inoltrare al Ministero del lavoro quesiti di ordine generale
relativi alla corretta applicazione delle normative inerenti
l’attività ispettiva nel suo complesso; alla banca dati telematica,
ideata con lo scopo di raccogliere tutte le informazioni utili alla
stessa attività ispettiva (datori di lavoro ispezionati, dati sul
mercato del lavoro e sulle materie oggetto di aggiornamento e
formazione permanente, ecc.), per la cui istituzione, però, non
viene indicata alcuna scadenza temporale; al modello unificato di
verbale per la rilevazione degli illeciti, che consentirebbe di
uniformare l’attività di vigilanza eliminando le difformità di
intervento fra i vari soggetti coinvolti.
Esiste, infine, un
profilo relativo tanto alle reali possibilità applicative della
norma in questione, quanto al personale del Ministero del lavoro,
ispettivo e non.
Il d. lgs. 124/04 mette (nuovamente) al centro dell’attività
ispettiva il Ministero del lavoro, attribuendo ad esso un compito di
grande responsabilità nell’individuazione degli obiettivi generali,
della direzione dell’attività ispettiva degli Enti previdenziali e
così via, introducendo elementi di forte novità come la banca dati
telematica o il diritto di interpello per via telematica,
precedentemente ricordati.
E’ del tutto evidente – quasi pleonastico – che per rendere efficace
la normativa in questione, in tutti i suoi aspetti, siano necessarie
alcune condizioni imprescindibili.
Il Ministero del lavoro, tanto per partire dagli elementi
essenziali, conserva un assetto organizzativo non adeguato alla
bisogna, sia per quanto attiene all’ingegneria istituzionale, sia
per ciò che riguarda il ruolo ed il rapporto fra i diversi dirigenti
periferici.
Oggi abbiamo molteplici Uffici per i quali sono previste tre figure
dirigenziali, una di vertice (il preposto) ed altre due relative ai
settori ispettivo e del lavoro, spesso in conflitto fra loro.
Con la nuova configurazione è evidente che bisognerà immaginare una
relazione più stretta fra l’attività ispettiva e quella
conciliativa, una separazione fra l’attività di consulenza e quella
ispettiva, e così via.
Nonostante le OO. SS. di categoria abbiano chiesto da mesi un
intervento sugli assetti organizzativi periferici, ad oggi non vi è
alcuna notizia (ufficiale) di una riforma delle attuali Direzioni
provinciali e regionali del lavoro.
Il Ministro Maroni non ha avuto neppure la cortesia di rispondere
alle sollecitazioni, su tale questione, di tutte le Organizzazioni
sindacali di categoria interne all’Amministrazione del lavoro,
reputando il confronto sindacale un orpello da rimuovere, un
problema da superare.
Non assisteremo a breve, dunque, ad alcuna riforma
dell’organizzazione territoriale del Ministero del lavoro. Salvo che
non ci comunichino la realizzazione di un lavoro già concluso.
Quello a cui stiamo assistendo, invece, è la collocazione
all’esterno dell’Amministrazione (esternalizzazione) di funzioni
proprie dell’Amministrazione stessa, come quella informatica, con
aggravio di spesa e sottoutilizzazione, quanto non mancata
utilizzazione, delle professionalità informatiche esistenti
all’interno, senza considerare in alcun modo gli stessi percorsi
professionali messi in campo già dall’ottobre 2000 con il contratto
integrativo ed in via di completamento.
Tuttavia, possiamo sfogliare il n. 21 del 21 maggio 2004 della Guida
al lavoro (Il Sole - 24 Ore), per essere confortati in tal senso, in
quanto gli autori, fra cui anche un solerte funzionario della
Direzione provinciale del lavoro di Venezia, hanno già preconizzato
nel dettaglio il nuovo Ministero del lavoro e chiarito ciò che
rimane ancora oscuro a molti addetti ai lavori.
Quanto alle questioni
relative al personale siamo veramente al paradosso.
Soltanto per ottenere l’applicazione del primo (ed unico, per il
momento) contratto integrativo di Ministero, si sta aspettando dal
25 ottobre del 2000, atteso che al suo interno era delineato anche
un profondo mutamento dell’ordinamento del Ministero stesso.
Soltanto per attenerci alle professionalità ispettive, si è riusciti
– dopo un ventennio di attesa – a collocare adeguatamente nel
sistema classificatorio una parte del personale ispettivo (gli
ispettori del lavoro), con risorse esclusivamente contrattuali e
quindi di tutti i lavoratori.
Attualmente gli ispettori del lavoro sono 1.879 (rilevazione al 19
febbraio 2004), di cui 467 dedicati esclusivamente alla tutela della
sicurezza nei luoghi di lavoro, con un impegno prioritario nei
cantieri.
E’ evidente che per l’attuale Governo la scelta prioritaria non
ricade sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Sarebbe, tuttavia, un segnale se si riformasse anche questo settore,
cominciando dal liberare gli ispettori del lavoro da competenze
sicuramente superflue, ma impegnative (vedi verifica degli ascensori
industriali).
Dei 1.412 ispettori impegnati teoricamente nell’attività ispettiva
ordinaria 142, inquadrati in posizione apicale (C3), svolgono una
funzione di coordinamento all’interno delle strutture territoriali
del Ministero. Ne rimangono 1.270 teoricamente operativi, che
scendono a circa 1.000 se consideriamo che in molte realtà
territoriali, anche importanti (vedi la DPL di Roma), ma anche
presso le sedi centrali ministeriali, molti ispettori sono
utilizzati impropriamente in compiti di tipo squisitamente
amministrativo, nonostante questo sia espressamente vietato dal
Contratto integrativo di Ministero.
Nelle strutture del nord tale anomalia diventa una regola in
relazione alla carenza storica di personale.
E’ appena il caso di sottolineare che quasi la metà di questo
zoccolo duro proviene da un percorso formativo di riconversione
dalle funzioni amministrative a quelle ispettive, contrattato con le
OO. SS. di categoria ed attuato nella seconda metà degli anni ‘90.
La distribuzione territoriale di questi 1.000 ispettori è facilmente
immaginabile, con un’incidenza maggiore delle regioni del centro-sud
rispetto a quelle del nord, dove pure insistono realtà produttive ed
industriali di grande rilevanza.
Anche qui, grazie alla contrattazione integrativa di Ministero, si è
resa possibile la regolamentazione dei processi di mobilità interna
sulla base di criteri oggettivi e concordati, con lo scopo di porre
un argine ai trasferimenti indiscriminati nord/sud e di garantire
maggiori tutele ai lavoratori più svantaggiati.
Nonostante ciò, di quando in quando scopriamo che dalla sede
centrale del Ministero (Gabinetto del Ministro e non solo) viene
richiesta qualche professionalità collocata guarda caso negli uffici
del nord.
Dal 2001, inoltre, si attende di poter rendere operativa
l’autorizzazione a suo tempo concessa per l’assunzione di circa 900
ispettori del lavoro da collocare – ce lo auguriamo – essenzialmente
nelle regioni settentrionali, di cui una parte consistente da
impiegare nell’ambito della tutela della salute e della sicurezza
nei luoghi di lavoro.
Prima della riforma in discussione, l’attività degli ispettori del
lavoro risultava già particolarmente compressa, tanto è vero che
esistono numerose realtà territoriali dove molte aziende non sono
state mai ispezionate o che vengono ispezionate la seconda volta
dopo 10 o 15 anni; dove l’attività ispettiva programmata, su
iniziativa, praticamente non esiste, dovendo, il personale
ispettivo, rincorrere le numerose richieste di intervento da parte
delle Organizzazioni sindacali o dei lavoratori stessi.
Spesso si avvia l’attività ispettiva quando l’illecito denunciato
non è più rintracciabile, quando è estinto il rapporto di lavoro, se
non l’azienda stessa.
Questa è la realtà
lavorativa di tutto il personale ispettivo, destinato a svolgere la
propria attività in condizioni di disagio, normalmente costretto ad
anticipare personalmente le spese di missione ed a pagarsi
personalmente il materiale di aggiornamento, lavorando anche di
notte o durante le festività, spesso umiliato da condizioni
lavorative difficili.
Un’attività encomiabile, senza riserve, rivolta – fino ad oggi -
alla tutela della parte debole del rapporto di lavoro.
Un’attività che diverrà ancora più compressa in applicazione della
nuova normativa. Basti pensare alla istituzionalizzazione
dell’attività di consulenza o all’istituto della prescrizione.
Soltanto in applicazione di questo ultimo, si dovrà prevedere un
raddoppio degli impegni lavorativi, in quanto la prescrizione stessa
prevede l’obbligo della rivisita da parte dell’ispettore.
Meraviglia, pertanto, che proprio il Sottosegretario Sacconi liquidi
tale attività (vedi sempre convegno CISL citato) come una
sostanziale perdita di tempo, definendo l’attività ispettiva
tradizionale come un “limare le unghie alle zanzare”, intendendo
significare quanto l’attuale attività ispettiva intervenga
prevalentemente su questioni marginali del rapporto di lavoro.
Ricordiamo, a mero titolo informativo, che questo “limare le unghie
...” ha portato nelle casse dello Stato, per l’anno 2003, circa 80
miliardi delle vecchie lire, a titolo di sanzioni amministrative
irrogate.
Come se il quadro non fosse sufficientemente desolante, dobbiamo
ricordare che esiste un’altra professionalità ispettiva collocata,
dal punto di vista del sistema di classificazione, in modo del tutto
inadeguato, ma che svolge quasi ovunque le medesime funzioni
dell’ispettore del lavoro.
Stiamo parlando degli assistenti dell’ispettorato del lavoro, meglio
noti come addetti alla vigilanza, i quali risultano inquadrati
addirittura nell’area funzionale B (B3), ben due posizioni
economico-giuridiche al di sotto degli ispettori (C2).
Anche per tali professionalità il Contratto integrativo di Ministero
aveva dato una prima, parziale risposta, prevedendo un
corso-concorso per il transito nell’area C (posizione economica C1),
con la previsione – da rendere efficace con il nuovo Contratto
integrativo – del transito definitivo in posizione C2, al pari del
restante personale ispettivo.
A distanza di quasi quattro anni dalla firma del Contratto
integrativo, quel personale sta ancora aspettando che il Ministero
del lavoro concluda le procedure concorsuali.
Si tratta di circa 400 lavoratori (forse neppure lo stesso Ministero
conosce i numeri reali) che svolgono la propria attività con serietà
ed impegno, al pari degli ispettori del lavoro, con una retribuzione
decisamente inferiore, ai quali, spesso, non viene riconosciuta la
propria professionalità, ma ai quali si è chiesto anche
l’addestramento degli ispettori del lavoro neo assunti.
Sorprende, pertanto, che il decreto parli di personale ispettivo in
maniera così superficiale – pur conoscendo, gli estensori, la
delicatezza del problema - come se la questione fosse risolvibile
con due righe di una norma e, soprattutto, come se l’art. 20 del
decreto non recitasse la tradizionale litania “Dall’attuazione del
presente Decreto non devono derivare nuovi e maggiori oneri per la
finanza pubblica”.
Ci dica il Ministro Maroni come intende affrontare e risolvere la
questione degli addetti alla vigilanza. Se vuole aspettare altri due
o tre anni per arrivare al loro corretto inquadramento in C2, come
recita il CCNL del comparto ministeri, oppure dimostrare una volta
tanto di avere a cuore quelle professionalità che dovrebbero
consentirgli di dare gambe alla riforma dei servizi ispettivi.
Noi, purtroppo, non crediamo alle favole da anni e siamo coscienti
del fatto che solo l’impegno delle Organizzazioni sindacali
consentirà di dare una risposta compiuta a questa parte
ineliminabile del personale ispettivo, chiarendo – una volta per
tutte – che si tratta di ispettori del lavoro e non di figli di un
dio minore.
Esiste dunque un
enorme problema applicativo della norma legato ad un’atavica carenza
di personale (ispettivo e non), alla quale il Governo risponde con
il blocco delle assunzioni; esiste un problema legato al reale
riconoscimento delle professionalità al quale il Ministero del
lavoro risponde dilatando a dismisura i tempi di attuazione del
Contratto integrativo di Amministrazione; esiste, infine, un
problema più generale legato alle risorse da rendere disponibili.
Come si pensa di operare quella che, a detta di molti, si configura
come una riforma vera senza alcun tipo di investimento, sapendo che
tali investimenti sarebbero destinati ad offrire un miglior servizio
alla collettività?
Naturalmente non parliamo soltanto delle problematiche legate al
corretto inquadramento del personale ispettivo, ma anche di quelle
legate agli strumenti disponibili, così come ai processi di
formazione permanente previsti dalla norma.
Ma come fa un’Amministrazione che non riesce neppure a garantire
l’ordinario (ci sono lavoratori che in 15 o 20 anni non hanno mai
partecipato ad un percorso formativo) ed a rendere efficace la
previsione di destinare l’1% del monte salari alla formazione, a
garantire la formazione permanente?
Come si fa a ragionare seriamente di formazione in
un’Amministrazione dove spesso i percorsi formativi sono appannaggio
di una ristretta congrega fedele al dirigente dell’ufficio, in
spregio alle previsioni di trasparenza contenute sempre nel
Contratto integrativo?
Come si fa a preconizzare una ulteriore frammentazione della
formazione (quella da mettere in capo alla Direzione
dell’ispezione), come se non fossero già sufficienti le spinte
centrifughe operate da altre Direzioni generali?
Tra l’altro, non si può pensare seriamente di realizzare
l’eccellenza nell’ambito ispettivo senza considerare come le diverse
funzioni ispettive, operative e non, siano legate fra loro e come
queste, nel loro complesso, siano legate a quelle amministrative
(vedi conciliazioni) o informatiche.
Da non sottovalutare, poi, il problema legato al trattamento
economico del personale ispettivo, con particolare riguardo alla
parte relativa al salario accessorio e ad eventuali coperture
assicurative.
Problema non trascurabile se consideriamo che con la nuova norma – e
riteniamo che questo sia un fatto inoppugnabile – la responsabilità
individuale del personale ispettivo cresce in maniera esponenziale
ed è in capo ad esso che viene posta la titolarità della funzione
ispettiva e non già, come in precedenza, all’Ufficio di riferimento.
Abbiamo già detto del rischio connesso alle nuove attività come la
conciliazione monocratica od alla esecutività delle disposizioni
impartite dal personale ispettivo, sarebbe il caso di riflettere
anche sui rischi connessi all’utilizzo della diffida accertativa,
senza le strumentazioni software indispensabili per calcolare i
corretti importi contributivi.
E’ del tutto
evidente, pertanto, quanto – ferma restando l’indiscutibile
professionalità del personale ispettivo nel suo complesso - le
risorse umane, materiali, strumentali, organizzative e finanziarie
siano assolutamente insufficienti ed inadeguate alla bisogna.
A tale proposito il testo del decreto afferma esplicitamente che non
dovranno esserci oneri aggiuntivi.
Come sia possibile assolvere ai nuovi compiti con una dotazione
ispettiva che - per quanto affidabile e preparata - risulta
assolutamente insufficiente è difficile da comprendere.
Come il personale ispettivo possa essere incentivato, formato,
inviato in missione, dotato delle strumentazioni necessarie, senza
risorse aggiuntive, rimane assolutamente un mistero.
Così come rimane un mistero come la piccola scialuppa del Ministero
del lavoro possa trainare (dirigere) le corazzate di INPS ed INAIL
dotate, viceversa, di risorse e di personale di gran lunga maggiori.
Al nostro Paese, oggi, servono impegni concreti, di risorse, rivolti
a garantire il corretto funzionamento della macchina pubblica.
Che sia necessario razionalizzare, tagliare le spese superflue e
quant’altro siamo tutti d’accordo.
Che si debba investire in nuovo personale, in formazione, in salario
accessorio, in risorse strumentali, sembra essere soltanto una
nostra ostinazione.
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