Roma 15 dicembre 2006

Alle Segreterie Regionali

e, p.c. Alle Segreterie territoriali e di area metropolitana

LORO SEDI

Oggetto: Politiche del lavoro

 

Care compagne, cari compagni,
Com’è noto, nel prossimo mese di gennaio si aprirà il confronto tra Governo e parti sociali per affrontare il tema del mercato del lavoro e la riscrittura delle relative regole; su questo delicato argomento la CGIL ha predisposto delle proposte che saranno presentate sia in sede unitaria che alla trattativa con l’Esecutivo con l’intento di ricercare, su queste, comuni intese.

Tali proposte, che riportiamo in allegato, tengono conto sia delle novità introdotte dalla Finanziaria sul tema del lavoro che delle Linee Guida per la riforma del tempo determinato emesse di recente dal Ministero del Lavoro.

Per quanto attiene la Pubblica Amministrazione è evidente che dall’esito della trattativa, che tutti ci auguriamo riesca a riportare a regola il sistema dei lavori flessibili nell’ambito di casistiche ben precise e non generalizzabili, discenderanno importanti conseguenze per la futura configurazione del lavoro pubblico; ciò soprattutto se riusciremo ad impedire, una volta per tutte, che il lavoro precario possa continuare ad essere utilizzato per lo svolgimento di attività aventi carattere di continuità e subordinazione .

Al riguardo lo scrivente Centro Nazionale terrà debitamente aggiornati ed informati i compagni e le compagne delle strutture in indirizzo sulle successive evoluzioni che avrà la discussione sul tema del Mercato del Lavoro riportando, inoltre, nelle pagine del sito web della Funzione Pubblica Nazionale www.fpcgil.it dedicate al Dipartimento Welfare- Mercato tutta la documentazione relativa per consentire la più ampia ed approfondita conoscenza sul tema indicato.

Fraterni saluti

Dipartimento Welfare Politiche per il lavoro
(Gian Guido Santucci)

 


Stato di attuazione delle riforme sul lavoro, nuove scadenze e proposte elaborate

Punti attualmente presenti nella Legge finanziaria o nelle Linee Guida ministeriali di riforma del Tempo determinato:

 

Tempo indeterminato come rapporto "normale ed ordinario" destinatario dei benefici economici per il sistema economico ("cuneo fiscale" e Linee Guida elaborate dal Ministro del Lavoro ed inviate alle parti sociali il 4/11/06)

Lotta al sommerso e al lavoro nero:

Elaborazione Cgil dal 2003

Piattaforma unitaria luglio ‘06

In legge finanziaria:

o Rafforzamento capacità ispettiva:

- Nuove assunzioni ispettori;

- Connessione banche dati Inps, Inail, Ministero del lavoro, Agenzia delle entrate, Camere di Commercio;

- Istituzione Indici di congruità

- Generalizzazione DURC

- Generalizzazione dell’obbligo di comunicazione di ogni tipo di assunzione il giorno prima dell’inizio del rapporto

- Obbligo del rispetto CCNL per qualsiasi partecipazione gare d’appalto, e per ogni beneficio previsto dall’ordinamento;

o Sostegno all’emersione e alle imprese emerse:

- Periodo di sottoscrizione accordi aziendali/settoriali di emersione

- Applicazione immediata CCNL

- Ricostruzione (parziale, al 66%) del montante contributivo pregresso fino a 60 mesi

- Accordi di conciliazione individuali

- Divieto di interruzione del rapporto per i 24 mesi successivi

- Procedura analoga per i rapporti di collaborazione

- Possibilità per le imprese di beneficiare, per i lavoratori così stabilizzati, dei benefici connessi alla riduzione della base imponibile IRAP ("cuneo")

- Istituzione del Fondo per l’emersione, con dotazione ancora insufficiente, sollevato unitariamente il problema di un necessario intreccio tra politiche degli incentivi da riordinare e sostegno ai processi di emersione

Collaboratori: Riduzione del divario contributivo tra lavoratori dipendenti e collaboratori

- Inizio riconoscimento ai collaboratori di alcuni diritti (malattia, maternità) – percorso incompleto e nostre proposte di rafforzamento

Apprendisti Diritti per gli apprendisti

- Malattia come diritto di legge per tutti

- Incremento contributivo, soluzione non adeguata dato che l’incremento al 10% scatta, per le imprese fino a 9 dipendenti, soltanto a partire dal 3° anno dell’apprendista, il che equivale a vanificare gran parte dell’operazione dato l’altissima percentuale di apprendisti che non terminano la durata complessiva – su questo abbiamo formalmente espresso le nostre critiche;

Innalzamento dell’età minima per il lavoro e conseguente obbligo scolastico a 16 anni: in legge finanziaria (art.68), riflessi su "tavolo di gennaio" rispetto alla nostra proposta di contratto formativo (vedi oltre)

Tempo determinato: ricevuto le proposte di Linee guida dal ministro, incentrate sulla necessità di modificare il D. Lgs. 368/01 nel senso di una maggiore aderenza al testo della Direttiva 99/70, anche in ragione della successiva giurisprudenza comunitaria; conseguentemente il testo propone l’apertura di uno spazio temporale per l’espressione di un avviso comune tra le parti, e in caso di insuccesso il governo si riserva di intervenire in base ai dettami del programma elettorale dell’Unione; tema da trattare distintamente dal "tavolo generale di gennaio" - a questo confronto parteciperemo con le nostre proposte elaborate nel febbraio ’04 da cui si traggono le seguenti citazioni:

Contratto a termine

"Con riguardo al contratto a termine occorre superare il dlgs. 368/01 che ha liberalizzato le causali di apposizione del termine ed esautorato la contrattazione collettiva nazionale dall’individuare quelle caratteristiche e quegli eventi che, in stretta relazione alle esigenze oggettive del mercato e del regime di produzione, escludono il ricorso all’assunzione a tempo indeterminato.

Per tanto occorre una normativa che:

1) indichi come le specifiche esigenze produttive e organizzative che permettono il ricorso a contratti a termine sono individuate esclusivamente dai CCNL (eccezione fatta nei casi di sostituzione di dipendenti per cui è prevista la conservazione dell’impiego); gli stessi CCNL dovranno individuare le percentuali massime di utilizzo, con la possibilità di indicare una percentuale unica per l’utilizzo di contratti a termine e di contratti di lavoro temporaneo;

2) ripristini per legge il diritto di precedenza dei lavoratori assunti con contratti a termine sia in caso di assunzione a tempo indeterminato che determinato (ripetersi di eventi stagionali, con particolare attenzione al settore agricolo e del turismo) da parte dell’azienda per un periodo pari a 24 mesi dalla cessazione del rapporto;

3) sancisca il divieto a reiterare per lo stesso lavoratore più di 2 volte nel biennio il contratto a termine o in alternativa che sancisca il diritto alla trasformazione del contratto in tempo indeterminato in caso di reiterazione del contratto a termine per un periodo complessivo superiore agli x mesi nel biennio;

4) preveda appositi incentivi (sul modello del credito di imposta) per i primi 12 mesi (o 24 se nell’aree Obiettivo 1) successivi alla trasformazione del rapporto di lavoro in contratto a tempo indeterminato."

 

Problematiche riservate al "tavolo di gennaio": elaborazioni della Cgil presentate sulla base delle leggi di iniziativa popolare 2002, assunte nella tesi congressuale n°5, dal documento del 15° Congresso, ed ultimamente dall’ordine del giorno assunto dalla Segreteria ed approvato dal CD nazionale del 22/23 novembre ‘07

Premessa sul lavoro pubblico: su molti dei temi trattati nei punti che seguono si trovano riferimenti anche al lavoro svolto nelle Pubbliche Amministrazioni. Il peso del lavoro precario, nelle sue diverse forme (lavoro a termine, collaborazioni, interinali, LSU, e altre tipologie) ha raggiunto nelle Pubbliche Amministrazioni livelli intollerabili, non sol a causa del blocco dei trasferimenti del governo centrale e del blocco delle assunzioni , ma anche a seguito di politiche clientelari che hanno investito sulla precarietà come fattore di permanente ricattabilità di una generazione da utilizzare quale bacino di consenso elettorale alle maggioranze in carica, a detrimento della qualità e del ruolo della P.A. e dei servizi. A servizi stabili di qualità deve corrispondere lavoro stabile e di qualità. Il tema della fine di queste pratiche, e del graduale ma certo confluire di questi lavoratori nel lavoro stabile, è questione strategica. Nella legge finanziaria si sono potuti cogliere primi, parziali segnali che vanno in questa direzione, ma l’obiettivo della fine del lavoro precario va concretamente perseguito concretamente perseguito e praticato anche con misure e risorse ad hoc sia a livello nazionale che ai vari livelli. Anche su questo, in specifico, il Protocollo sul Lavoro, sul quale sono impegnate la Confederazione e le categorie pubbliche, dovrà intervenire per superare una grave e negativa ipoteca verso un intervento strutturale di contrasto alla precarietà nel Paese.

1) Tipologie d’impiego:

Collaborazioni: oltre quanto realizzato in legge finanziaria, nostra proposta febbraio ’04:

"Nuovo articolo 2094 e passaggio da 49 a 7-8 tipologie lavorative

La nostra proposta di portata generale punta a uniformare i diritti nel mondo del lavoro partendo dalla considerazione che nel mercato del lavoro coloro che impiegano il proprio tempo e le proprie professionalità si dividono in due grandi categorie: quella di chi è economicamente dipendente (cioè il frutto del suo lavoro fa valore aggiunto per un terzo soggetto che ne fissa il quantum) e quella di chi è economicamente indipendente (cioè il frutto del suo lavoro fa valore aggiunto solo per sé o per altri soci aventi le sue stesse caratteristiche di reale autonomia, e determina o condetermina lui il proprio corrispettivo).

E che quindi la questione che oggi abbiamo di fronte non è quella di dare ad ogni tipologia di lavoro (ormai sono ben 49) un corredo specifico di tutele o diritti, ma quella di ricondurre gli "economicamente dipendenti" all’interno delle tutele più forti oggi disponibili, quelle del lavoro subordinato (ammortizzatori sociali, tutela contro i licenziamenti indiscriminati, diritti sindacali e di rappresentanza, ecc.). Per questo occorre ridefinire l’art. 2094 del Codice Civile sulla nuova tipologia di lavoratore "economicamente dipendente", cui far corrispondere l’equiparazione dei diritti e dei costi, indipendentemente dalla forma contrattuale.

La definizione proposta è: "Con il contratto di lavoro, che si reputa a tempo indeterminato salve le eccezioni legislativamente previste, il lavoratore si obbliga, mediante retribuzione, a prestare la propria attività intellettuale o manuale in via continuativa all’impresa o diversa attività organizzata da altri, con destinazione esclusiva del risultato al datore di lavoro. Il contratto di lavoro deve prevedere mansioni, categoria, qualifica e trattamento economico e normativo da attribuire al lavoratore. L’eventuale esclusione, per accordo tra le parti espresso o per fatti concludenti, dell’esercizio da parte del datore dei poteri di cui agli artt. 2103, primo e secondo periodo, 2104, comma 2, 2106, nonché dell’applicazione degli artt. 2100, 2101, 2102, 2108 c.c. e dell’art. 7 della l. 20 maggio 1970 n. 300, non comporta l’esclusione dei prestatori di lavoro interessati dalla fruizione delle discipline generali di tutela del lavoro previsti dal codice civile e dalle leggi speciali, né può dar luogo a trattamenti economico-normativi inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi applicati agli altri lavoratori dipendenti della medesima impresa".

Fatto questo – stabilendo che la "forma ordinaria di assunzione e di prestazione" secondo l’indicazione letterale dell’accordo CES-Unice "è il contratto subordinato a tempo indeterminato" - si potrà passare ad individuare le modalità migliori per razionalizzare le attuali forme contrattuali.

Secondo noi, in questa opera di riduzione e razionalizzazione, occorrerà cancellare il lavoro a chiamata, il lavoro accessorio, la somministrazione a tempo indeterminato, la tripartizione del rapporto di apprendistato e il contratto di inserimento, le collaborazioni occasionali e le tipologie previste dal Codice civile in cui si preveda un generico apporto di lavoro (associazioni in partecipazione, cessione dei diritti d’autore, ecc.) e ammettendo l’apertura di partite Iva per le sole attività caratterizzate da iscrizione in albi o comunque imponendo norme antielusione.

Le tipologie contrattuali non ordinarie dovranno essere ricondotte a quattro specifiche categorie "logiche", secondo le norme fornite dalla contrattazione collettiva (vedi i paragrafi successivi), e cui in ogni caso va garantita la computabilità ai fini delle soglie previste per particolari istituti (art.18 ed ammortizzatori sociali):

rapporti di lavoro connessi ad eventi eccezionali che fuoriescono dalle normali e prevedibili esigenze di impresa e che necessitano di prestazioni a termine e/o figure professionali particolari non disponibili (contratto a termine e contratti di lavoro temporaneo);

rapporti di lavoro che, fuori da vincoli di subordinazione, ed in piena autonomia e creatività svolgano prestazioni specificatamente connesse con progetti predeterminati (contratto di collaborazione);

rapporti di lavoro il cui fine è l’adattamento delle competenze e il perfezionamento delle professionalità di soggetti giovani al primo impiego, con maturazione anche di capacità teoriche connesse al luogo e alle caratteristiche del lavoro (contratto di apprendistato e forme di stage/tirocinio);

rapporti di lavoro il cui fine è l’inclusione di soggetti svantaggiati secondo una definizione univoca che comprenda ex carcerati, ex tossicodipendenti, lavoratori over 50 espulsi dal lavoro, disoccupati di lunga durata, donne in cerca di nuova occupazione dopo periodi più o meno lunghi di inattività, ecc. che necessitano di particolari percorsi di "aggiornamento" delle rispettive professionalità e/o la possibilità di accedere a politiche sociali locali di sostegno (contratto di inclusione)"

Apprendistato: nostre proposte febbraio ’04: "Per quanto riguarda i contratti a scopo formativo e i contratti di inclusione occorre rovesciare la filosofia e l’impianto che caratterizza la legge 30 secondo cui la formazione può essere svolta interamente in azienda nell’apprendistato e una mera eventualità nel contratto d’inserimento. Occorre rifiutare l’idea che i soggetti più deboli (i giovani alla loro prima esperienza o coloro che per motivi di svantaggio sociale o personale sono stati espulsi dal mercato del lavoro) debbano essere "resi appetibili" per il mercato attraverso sottoinquadramenti salariali e riduzione delle tutele. Va invece evidenziato come la nostra proposta in questo campo si intrecci con quella che si dovrà elaborare per quanto riguarda l’istruzione e le alternative alla legge 53/03.

In ogni caso è per noi assodata la necessità di elevare immediatamente a 16 anni il limite dell’obbligo scolastico, con analogo adeguamento delle norme riguardanti il divieto di lavoro dei minori. Rispetto all’obiettivo, da acquisire nella sua attuazione entro l’arco temporale della legislatura, di un ulteriore elevamento a 18 anni dell’obbligo scolastico, ne sono evidenti le ricadute sul tema degli ingressi al lavoro e sui contratti a scopo formativo e sulla conseguente necessità di adeguare la legislazione sul lavoro. Quanto segue sono quindi proposte da raccordare con le evoluzioni future.

Per il contratto di apprendistato si deve ipotizzate una riscrittura complessiva dell’istituto (con una nuova struttura unitaria e sostitutiva dell’attuale tripartizione), assumendo come finalità articolate del nuovo contratto a scopo formativo:

l’ accesso al mondo del lavoro, tramite il raggiungimento di una specifica qualifica;

l’accesso a un percorso lavorativo con sbocchi di alta qualificazione e universitari.

A fronte dell’elevazione a 16 anni dell’obbligo scolastico si prevede comunque che i contratti a scopo formativo si caratterizzino per:

1) un incentivo previdenziale per le imprese riconosciuto pari a quello oggi previsto per il sistema artigianale per l’intera durata del contratto e la copertura dei costi totali della formazione formale a carico del sistema pubblico;

2) una durata del contratto variabile tra 1 anno e 3 anni, in relazione alle competenze professionali possedute al momento dell’assunzione secondo le indicazioni fornite dal repertorio delle professioni, da quanto certificato dal libretto formativo, dai CCNL;

3) un monte ore di formazione non formale in azienda definito dai CCNL e un monte ore di formazione formale esterna in situazione non produttiva, definita dai CCNL e comunque non inferiore alle 120 ore annue, elevabili in relazione alla durata del contratto (maggiore è la durata, maggiore è l’esigenza di formazione, maggiore deve essere il monte ore di formazione) e alle finalità del contratto (sbocchi di alta qualificazione e universitari), da svolgersi presso soggetti formativi accreditati dalle Regioni;

4) un sistema pubblico e terzo di certificazione della formazione ricevuta;

5) una percentuale obbligatoria di conferma per le aziende pari almeno al 60% nel biennio per accendere nuovi contratti a scopo formativo;

6) un riconoscimento alle imprese degli incentivi previdenziali previsti per ulteriori 12 mesi (24 nelle Aree Obiettivo 1) per tutti i lavoratori confermati a tempo indeterminato al termine del contratto a scopo formativo;

7) il diritto per il lavoratore a un trattamento salariale e normativo corrispondente alla qualifica connessa alla prestazione svolta, anche in relazione a norme specifiche di legge e contratto (legge 300, ammortizzatori sociali, ecc.);

8) il diritto per il lavoratore di vedersi riconosciuta la formazione acquisita in caso di una successiva applicazione del contratto a scopo formativo per l’inserimento in lavori con una qualificazione di livello superiore (anche attraverso una riduzione della durata di quest’ultimo, definita dai CCNL);

3. Fasce deboli, disabili:

Disabili: attivato un tavolo presso il Ministero del lavoro, in campo la nostra proposta di soppressione dell’art.14 e rivitalizzazione spirito e disposizioni della legge 68/99;

Fasce deboli: nostra proposta soppressione art. 13, e connesse normative (art. 1 quinquies legge 291/04) che peggiorano le condizioni dei cassintegrati e dei percettori di altre indennità;

Contratto di inclusione: nostra proposta febbraio ’04:

"Contratti di inclusione

Ribadendo quanto detto sopra sulla filosofia della legge 30 occorrerà definire un modello di contratto che (superando l’attuale contratto di inserimento) sia finalizzato:

all’inclusione sociale, attraverso il lavoro, di soggetti svantaggiati (ex carcerati, ex tossicodipendenti, ecc.)

al reingresso nel mercato del lavoro di soggetti espulsi dal ciclo produttivo o in cerca da tempo di entrare nuovamente nel mercato (disoccupati di lunga durata, donne dopo periodi lunghi di inattività anche a seguito di maternità, assistenza alla prole, ecc).

Il contratto di inclusione si dovrà caratterizzare per la presenza di percorsi formativi/assistenziali adeguati sia per garantire l’aggiornamento delle competenze professionali sia, congiuntamente con quanto predisposto dai servizi sociali, per una inclusione piena dei lavoratori.

Caratteristiche del nuovo contratto di inclusione potrebbero allora essere:

1) un incentivo previdenziale per le imprese riconosciuto pari a quello oggi previsto per il sistema artigianale per l’intera durata del contratto;

2) un monte ore a disposizione del lavoratore, pari almeno a 120 ore annue (sul modello dell’apprendistato) modulato tanto su percorsi formativi individuali (interni ed esterni all’azienda) quanto sull’accesso a servizi e percorsi di inclusione sociale in collaborazione con i servizi di welfare;

3) un piano formativo/di accesso ai servizi sociali definito a livello individuale con il consenso del lavoratore, secondo "piani tipo" definiti a livello provinciale/regionale;

4) una presenza di un tutor che affianchi il lavoratore;

5) una durata del contratto che non potrà essere inferiore ai 12 mesi e superiore ai 24 mesi secondo le indicazioni della contrattazione collettiva in riferimento alle qualifiche da "raggiungere";

6) un sistema pubblico e terzo di certificazione della formazione ricevuta;

7) una percentuale obbligatoria di conferma pari almeno al 60% nel biennio per accendere nuovi contratti di inclusione;

8) un riconoscimento degli incentivi previdenziali per ulteriori 12 mesi (24 nelle aree O. 1) per tutti i lavoratori assunti a tempo indeterminato al termine del contratto di inclusione;

9) il diritto per il lavoratore a un trattamento salariale e normativo corrispondente alla qualifica connessa alla prestazione svolta, anche in relazione a norme specifiche di legge e contratto (legge 300, ammortizzatori sociali, ecc.).

4. Part-time: nostra proposta febbraio ’04:

"Part-time

Obiettivo essenziale delle proposte è ripristinare l’equilibrio, stravolto dalla legge 30, tra contrattazione collettiva e pattuizioni individuali, che in questo istituto si esprime al massimo grado.

Va quindi ricondotto in capo alla contrattazione collettiva, emblematicamente al 2° livello, il potere di introdurre le clausole elastiche, eliminando la possibilità che siano le singole parti del contratto a disporre di tale possibilità e riconoscendo comunque sempre, in capo al lavoratore, la volontarietà della prestazione. In tale contesto si deve prevedere un preavviso di almeno 72 ore, salvo un maggiore periodo previsto dalla contrattazione collettiva, rispetto alle singole variazione di prestazione, e una maggiorazione, la cui entità è da affidare alla contrattazione collettiva, a fronte dell’esercizio della clausola. Infine, deve essere codificato in legge il diritto del lavoratore al ripensamento a fronte di sottoscrizione della clausola elastica, dopo un periodo di almeno 5 mesi (più uno di preavviso) e per motivazioni quali il lavoro di cura, lo svolgimento di altra attività, lo studio o altro che la contrattazione potrà stabilire.

Inoltre, va ristabilita la volontarietà del lavoratore alla prestazione di lavoro supplementare, e abilitata la contrattazione collettiva a favorire forme volontarie di consolidamento nell’orario pattuito di prestazioni supplementari rese in modo non occasionale. Va altresì ripristinata la penalizzazione, sotto forma di maggiorazione del 50% salvo diversa pattuizione da parte della contrattazione collettiva, a fronte di superamento del tetto eventualmente convenuto di ore di lavoro supplementare. La legge potrà altresì incentivare le forme di consolidamento, anche sotto forma di passaggio al tempo pieno, nonché accordi tra le parti, a livello aziendale, che diano vita a forme autogestite del tempo di lavoro (banca delle ore, autogoverno delle prestazioni ecc.)

Va infine previsto un sistema di agevolazioni per imprese che, partendo da una quota inferiore alla media riscontrabile nel settore, concedano il part-time (anche obbligandosi al rispetto di una percentuale, come nel caso del CCNL dei tessili) in presenza almeno dei seguenti casi: periodi post-maternità (fino al compimento di tre anni di età del bambino), e garanzia di ripristino, se richiesto, del normale orario di lavoro; periodi di uscita graduale dal mondo del lavoro (ultimi 5 anni rispetto al pensionamento); periodi di difficoltà dell’impresa, connessa al ricorso agli ammortizzatori sociali, con garanzia di ripristino, se richiesta, della condizione precedente al cessare di detta condizione di difficoltà; studio; altro che la contrattazione potrà individuare.

Per la durata di queste condizioni va verificata la possibilità di una contribuzione figurativa commisurata sulla retribuzione a tempo pieno

2) Appalti, trasferimenti d’impresa, distacchi: nostre proposte febbraio ’04:

"Appalti, trasferimento d’azienda e distacco

La premessa è che le norme introdotte dalla legge 30 in relazione ad appalti e trasferimenti siano potenzialmente le più pericolose; e tuttavia non è oggi sufficiente rispondere con la riproposizione delle vecchie norme (oltre al ripristino del reato di interposizione di manodopera, di cui al capitolo sul lavoro temporaneo).

In generale, ribadita la nostra contrarietà alla proposta di Direttiva Bolkenstein, va rimarcato come sia necessario introdurre per ogni tipo di operazione di esternalizzazione (appalto, trasferimento, distacco, conferimento di collaborazioni) la procedura oggi in vigore esclusivamente per le operazioni ex art. 2112 C.C (25 giorni di preavviso alle rappresentanze sindacali, ecc.). Altra premessa è che occorra stabilire con nuovo rigore le caratteristiche generali dell’appalto, escludendone la praticabilità nel caso si tratti di sola cessione di lavoro, ricadendo altrimenti nell’intermediazione di lavoro, che si intende cancellare.

Una distinzione successiva va operata tra atti di esternalizzazione della sfera pubblica da quelli posti in essere tra imprese private.

Sui primi va assunta la linea che beni tutelati costituzionalmente non possano essere, neanche nelle loro componenti strumentali, affidati all’esterno, e che l’eventuale affidamento, di altri servizi, non possa prevedere condizioni inferiori al CCNL del settore pubblico interessato.

Inoltre il passaggio da un appalto all’altro deve essere governato da apposite "clausole sociali" a tutela delle condizioni contrattuali e normative delle persone coinvolte.

Nel rapporto tra privati va introdotto per legge il concetto di "codatorialità" tra imprese riguardo ai lavoratori esternalizzati, non solo rispetto alla responsabilità in solido a fronte di mancanze del datore di lavoro appaltatore, com’è attualmente, ma rispetto all’impossibilità, di defilarsi, da parte delle imprese coinvolte, rispetto al destino e alle condizioni contrattuali e normative dei lavoratori interessati (corresponsabilità che dovrebbe avere un tempo massimo di esercizio, per esempio 48 mesi). Va chiarito che il concetto non va limitato alla coppia di imprese che interagiscono nel contratto di appalto, ma riguarda ogni passaggio successivo.

Si potrebbe introdurre poi una distinzione avuto riguardo al carattere prevalente o meno che ha l’appalto rispetto all’impresa appaltatrice: qualora esso rivesta carattere di prevalenza non deve essere possibile un’applicazione meno favorevole delle condizioni contrattuali dell’impresa appaltante, e ciò neanche qualora la durata dell’appalto sia breve. Qualora invece si operai nel quadro di impresa multiservizi allora il riferimento contrattuale dovrà essere quello della filiera cui l’appalto si riferisce, così come definita dalla contrattazione collettiva, riconoscendo – in assenza di quest’ultima - il diritto al lavoratore a percepire trattamenti non inferiori con le disposizioni contrattuali più favorevoli presenti nella filiera.

Nel caso di trasferimento d’impresa, va ripristinata la preesistenza del ramo d’impresa oggetto di trasferimento (adeguatamente specificata in relazione anche ad elementi probanti quali l’autonomia organizzativa, riferimenti contabili separati in bilancio, ecc., sulla scorta anche degli indici presuntivi dedotti dalla sentenza Ansaldo-Manital, desumibili in un periodo di tempo certo, per esempio nei 24 mesi precedenti al traferimento, ecc.), e va aggiunta alla procedura una clausola che, nel garantire il mantenimento delle condizioni fino almeno al termine di vigenza della fonte contrattuale da cui esse derivano, impegni le parti dell’impresa cessionaria a cimentarsi in un "tentativo di armonizzazione" delle condizioni contrattuali dell’impresa cessionaria con quelle dei lavoratori ceduti (anche attraverso un obbligo di procedura di consultazione con le organizzazioni sindacali).

Rispetto al distacco, va esplicitata e resa esigibile la completa applicazione dei CCNL, compresa la eventuale contrattazione di 2° livello, nonché introdotto il vincolo per il distaccante di indicare le motivazioni tecnico e organizzative alla base del provvedimento, così come individuate dalla contrattazione collettiva, ai fini anche della sua sindacabilità da parte del lavoratore distaccato.

3) Ammortizzatori sociali e bilateralità: nostre proposte febbraio ’04:

"Estendere ed universalizzare i diritti

La legge di iniziativa popolare elaborata dalla Cgil mantiene intatta la sua validità. Tuttavia, vale la pena soffermarsi su alcuni punti per rafforzarne impianto e percorribilità, anche al fine di raggiungere auspicabili nuove convergenze.

I punti che maggiormente meritano di essere approfonditi riguardano il rapporto tra universalità delle prestazioni ed integrazioni di fonte patrizia e il rapporto tra impostazione lavoristica e la necessità di tutelare anche chi è fuori dal mondo del lavoro.

Universalismo degli ammortizzatori sociali e autonomia collettiva

Nulla si ritiene di innovare riguardo all’impostazione di fondo della nostra proposta: difendere il lavoro nell’impresa, contro ogni facile scorciatoia rivolta ad apprestare maggiori tutele solo quando si è perso l’impiego (848 bis). Da questo punto di vista, l’intera impostazione della proposta, basata sul favorire ogni soluzione contrattata di difesa del lavoro, va difesa e mantenuta.

Ugualmente da difendere, anzi da assumere quale cardine della proposta, è la universalizzazione delle misure di sostegno al reddito in costanza di rapporto. Peraltro qui sta la vera novità, consistente nel prevedere la fine di ogni impropria distinzione tra settori esposti alla concorrenza internazionale (e come tali da dotare di fiscalizzazione degli oneri sociali nonché di un sistema di ammortizzatori sociali ad ampio spettro) e gli altri, cui provvedere solo con aggiunte particolaristiche e spesso contingenti (le finanziarie di ogni anno).

L’universalizzazione dei trattamenti, tuttavia, comporta rilevanti problemi di reperibilità delle risorse, e chiama in causa quanto la proposta presentata a suo tempo volutamente non affrontò: il raccordo tra il regime "generale" ex 223 e la situazione in atto in molti comparti (artigianato, edilizia, agricoltura) dove è da tempo in atto un mix di soluzioni di fonte pattizia.

Si può ragionare allora su un sistema pubblico universale che assicuri, da subito, un trattamento uniforme a tutti i settori pari almeno al 60% di integrazione al reddito in caso di difficoltà dell’impresa, (fatto salvo migliori trattamenti esistenti nei diversi settori) arrivando in tempi certi, per i settori oggi non coperti dalla 223, al raggiungimento dell’80% di integrazione. Ai settori di nuova inclusione deve essere quindi dato un periodo quinquennale affinché si trovino le misure necessarie per il raggiungimento della copertura all’80% dell’integrazione salariale.

In questo contesto non si ritiene necessario modificare le normative (ed i costi) specifici per i settori dell’edilizia e dell’agricoltura, salvo per quest’ultima eventualmente adottare, sulla falsariga degli avvisi comuni settoriali, un criterio di proporzionalità completa tra giornate di contribuzione e durata della corresponsione dell’indennità d disoccupazione, superando quindi le attuali soglie (51, 101, 151 giornate).

I costi della riforma sono certamente rilevanti, e sarà necessario definire tempi e modalità certe per un impegno economico stimabile a regime intorno ai 7-8 miliardi di euro (comprensivi degli attuali versamenti) e tuttavia coperti da un lato dalla fiscalizzazione della quota dell’1,61 del CUAF, cui corrisponde una parallela contribuzione di pari entità finalizzata alla copertura dell’integrazione fino al 60%. Da questo punto di vista diviene fondamentale anche recuperare il massimo possibile delle risorse sottratte all’INPS da forme di lavoro regolare (16 miliardi di euro l’anno) destinandole specificatamente all’estensione degli interventi di integrazione e sostegno al reddito.

Reddito di ultima istanza e welfare di cittadinanza

L’ultimo anello dei sistemi di sostegno al reddito, previsto dalla specifica proposta di legge di iniziativa popolare della Cgil, ha le caratteristiche di un reddito di ultima istanza, e quindi rappresenta un esito logico di un welfare lavoristico. Ci si deve chiedere se ciò sia sufficiente, a fronte di soggetti che non incontrino il lavoro nei loro percorsi e vivano quindi in una situazione che li escluda da qualsiasi misura (l’Italia è l’unico Paese europeo a non avere uno strumento d’inclusione per combattere la povertà).

Occorre quindi ragionare su uno strumento di contrasto alla povertà, destinato alla famiglia non autosufficiente in base ai suoi componenti e alle loro particolari condizioni di disagio, connesso all’obbligo di frequentare iniziative di formazione destinate all’inserimento lavorativo, e supportanti iniziative contro la dispersione scolastica (copertura libri di testo, trasporti, asili nido, ecc.), di durata determinata. Sono evidenti ed espliciti i legami con il "contratto di inclusione" di cui all’apposito capitolo, perché identica è la finalità: sostenere un reddito finalizzato all’ingresso nel mondo del lavoro, cui destinare anche adeguate forme di premialità per le imprese che assumano il soggetto portatore di questa dote. In questa ottica occorreranno, sul punto specifico, ulteriori passaggi e un lavoro comune di proposta che affronti il tema più complessivo della riforma del welfare.

 

Bilateralità

La legge 30, e prima ancora il Libro Bianco, hanno ideologicamente enfatizzato ruolo, funzioni e compiti della bilateralità e delle parti sociali, non prevedendo peraltro alcuna misura che ne definisse la responsabilità e la controllabilità sociale. Tutto ciò è avvenuto mentre esempi positivi di bilateralità concordata dalle parti (dai fondi interprofessionali, ai fondi dell’ex lavoro interinale) cominciavano a dare importanti frutti, dimostrando come un certo tipo di bilateralità di derivazione contrattuale non solo funziona, ma può essere un utile sostegno alla libera contrattazione collettiva.

E’ per questo, e per l’affido autoritario di funzioni del tutto improprie alla "nuova bilateralità", che la Cgil ha condotto una battaglia lineare ed esplicita contro questa impostazione, cogliendo importanti risultati: in primo luogo l’aver preservato la bilateralità esistente e frutto della contrattazione dalle forzature della legge 30 (ad es. riguardo alle funzioni dell’incontro tra domanda e offerta, o alle funzioni certificatorie dei contratti di lavoro).

Si può aprire ora un discorso che provi a scavare sui temi che da sempre hanno rappresentato i nodi delicati anche nel confronto sindacale: su tutti il contrasto tra funzioni di fonte contrattuale (e pertanto legate alla libera adesione delle parti) e il ruolo "universale" che deriva dalla gestione di istituti contrattuali. Naturalmente, questi argomenti non possono essere affrontati con forzature legislative, come appunto ha fatto il governo di centro-destra: mai come in questi ambiti la legge deve essere di sostegno, e non di imposizione autoritaria, del ruolo delle parti sociali.

Una legislazione di sostegno quindi che espliciti, tra l’altro: la volontarietà delle adesioni alla bilateralità e l’universalismo delle prestazioni erogate (senza vincolo di adesione all’ente); il ruolo non gestionale delle parti sociali; la democraticità degli organi degli enti; le diverse forme di incompatibilità."

4) Legislazione sul mercato del lavoro, rapporto pubblico/privato: oltre quanto già definito nelle passate iniziative (febbraio ’04 e settembre ’05), va assunta l’ispirazione di fondo delle legislazioni regionali "di contrasto" alla legge 30 (Marche, Emilia Romagna, Toscana, Friuli V.G.), basate sulla logica di integrazione e non di concorrenzialità fra attore pubblico da valorizzare e soggetti privati, i cui compiti devono essere di sostegno alle carenze eventuali del pubblico. Naturalmente va anche "fatta pulizia" rispetto alle funzioni da attribuire ai soggetti privati e pubblici "impropri" (Camere di Commercio, Comuni, Università e scuole superiori, fondazione dei consulenti).