Nella
causa C-49/00,
Commissione
delle Comunità europee, rappresentata dal sig. E. Traversa e dalla
sig.ra N. Yerrell, in qualità di agenti, con domicilio eletto in
Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica
italiana, rappresentata dal sig. U. Leanza, in qualità di agente,
assistito dal sig. D. Del Gaizo, avvocato dello Stato, con domicilio
eletto in Lussemburgo,
convenuta,
avente ad
oggetto il ricorso diretto a far dichiarare che,
- non
avendo prescritto che il datore di lavoro debba valutare tutti i
rischi per la salute e la sicurezza esistenti sul luogo di lavoro;
- avendo
consentito al datore di lavoro di decidere se fare o meno ricorso a
servizi esterni di protezione e di prevenzione quando le competenze
interne all'azienda sono insufficienti, e
- non
avendo definito le capacità e attitudini di cui devono essere in
possesso le persone responsabili delle attività di protezione e di
prevenzione dei rischi professionali per la salute e la sicurezza
dei lavoratori,
la
Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa
incombono in forza degli artt. 6, n. 3, lett. a), e 7, nn. 3, 5 e 8,
della direttiva del Consiglio 12 giugno 1989, 89/391/CEE,
concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il
miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante
il lavoro (GU L 183, pag. 1),
LA CORTE
(Quinta Sezione),
composta
dai sigg. S. von Bahr (relatore), presidente della Quarta Sezione,
facente funzione di presidente della Quinta Sezione, D.A.O. Edward,
A. La Pergola, L. Sevón e M. Wathelet, giudici,
avvocato
generale: sig.ra C. Stix-Hackl
cancelliere:
R. Grass
vista la
relazione del giudice relatore,
sentite
le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 31
maggio 2001,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1.
Con atto
introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 16 febbraio
2000 la Commissione delle Comunità europee ha proposto, ai sensi
dell’art.226 CEE,
un ricorso diretto a far dichiarare che,
- non
avendo prescritto che il datore di lavoro debba valutare tutti i
rischi per la salute e la sicurezza esistenti sul luogo di lavoro;
- avendo
consentito al datore di lavoro di decidere se fare o meno ricorso a
servizi esterni di protezione e di prevenzione quando le competenze
interne all'azienda sono insufficienti, e
- non
avendo definito le capacità e attitudini di cui devono essere in
possesso le persone responsabili delle attività di protezione e
prevenzione dei rischi professionali per la salute e la sicurezza
dei lavoratori,
la
Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa
incombono in forza degli artt. 6, n. 3, lett. a), e 7, nn. 3, 5 e 8,
della direttiva del Consiglio 12 giugno 1989, 89/391/CEE,
concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il
miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante
il lavoro (GU L 183, pag. 1; in prosieguo: la
"direttiva").
Normativa
comunitaria
2.
L'art. 6,
n. 3, lett. a), della direttiva impone al datore di lavoro,
"tenendo conto della natura delle attività dell'impresa e/o
dello stabilimento", l'obbligo di "valutare i rischi per
la sicurezza e la salute dei lavoratori, anche nella scelta delle
attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici e
nella sistemazione dei luoghi di lavoro".
3.
L'art. 7
della direttiva, intitolato "Servizi di protezione e
prevenzione", ai nn. 1 e 3 prevede:
"1.
Fatti salvi gli obblighi di cui agli articoli 5 e 6, il datore di
lavoro designa uno o più lavoratori per occuparsi delle attività
di protezione e delle attività di prevenzione dei rischi
professionali nell'impresa e/o nello stabilimento.
(...)
3. Se le
competenze nell'impresa e/o nello stabilimento sono insufficienti
per organizzare dette attività di protezione e prevenzione, il
datore di lavoro deve fare ricorso a competenze (persone o servizi)
esterne all'impresa e/o allo stabilimento".
4.
L'art. 7,
n. 5, della direttiva dispone:
"In
ogni caso:
- i
lavoratori designati devono possedere le capacità necessarie e
disporre dei mezzi richiesti,
- le
persone o servizi esterni consultati devono possedere le attitudini
necessarie e disporre dei mezzi personali e professionali richiesti,
e
- il
numero dei lavoratori designati e delle persone o servizi esterni
consultati deve essere sufficiente,
per
assumere le attività di protezione e prevenzione, tenendo conto
delle dimensioni dell'impresa e/o dello stabilimento e/o dei rischi
a cui i lavoratori sono esposti, nonché della ripartizione dei
rischi nell'insieme dell'impresa e/o dello stabilimento".
5.
Ai sensi
dell'art. 7, n. 8, primo comma, della direttiva:
"Gli
Stati membri definiscono le capacità e le attitudini necessarie di
cui al paragrafo 5".
Normativa
nazionale
6.
La
trasposizione della direttiva nell'ordinamento giuridico italiano è
stata effettuata con il decreto legislativo 19 settembre 1994, n.
626 (GURI n. 265 del 12 novembre 1994, Supplemento ordinario n. 141,
pag. 5), come modificato dal decreto legislativo 19 marzo 1996, n.
242 (GURI n. 104 del 6 maggio 1996, Supplemento ordinario n. 75,
pag. 5; in prosieguo: il "decreto legislativo").
7.
L'art. 4,
primo comma, del decreto legislativo prevede:
"Il
datore di lavoro, in relazione alla natura dell'attività
dell'azienda ovvero dell'unità produttiva, valuta, nella scelta
delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati
chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro,
i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, ivi
compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi
particolari".
8.
L'art. 8
del decreto legislativo, intitolato "Servizio di prevenzione e
protezione", dispone:
"1.
Salvo quanto previsto dall'art. 10, il datore di lavoro organizza
all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, il servizio
di prevenzione e protezione, o incarica persone o servizi esterni
all'azienda, secondo le regole di cui al presente articolo.
2. Il
datore di lavoro designa all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità
produttiva, una o più persone da lui dipendenti per l'espletamento
dei compiti di cui all'art. 9, tra cui il responsabile del servizio
in possesso di attitudini e capacità adeguate, previa consultazione
del rappresentante per la sicurezza.
3. I
dipendenti di cui al comma 2 devono essere in numero sufficiente,
possedere le capacità necessarie e disporre di mezzi e di tempo
adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati. Essi non
possono subire pregiudizio a causa dell'attività svolta
nell'espletamento del proprio incarico.
4. Salvo
quanto previsto dal comma 2, il datore di lavoro può avvalersi di
persone esterne all'azienda in possesso delle conoscenze
professionali necessarie per integrare l'azione di prevenzione e
protezione.
5.
L'organizzazione del servizio di prevenzione e protezione
all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, è comunque
obbligatoria nei seguenti casi: a) nelle aziende industriali di cui
all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio
1988, n. 175, e successive modifiche, soggette all'obbligo di
dichiarazione o notifica, ai sensi degli articoli 4 e 6 del decreto
stesso; b) nelle centrali termoelettriche; c) negli impianti e
laboratori nucleari; d) nelle aziende per la fabbricazione e il
deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni; e) nelle
aziende industriali con oltre 200 dipendenti; f) nelle industrie
estrattive con oltre 50 lavoratori dipendenti; g) nelle strutture di
ricovero e cura sia pubbliche sia private.
6. Salvo
quanto previsto dal comma 5, se le capacità dei dipendenti
all'interno dell'azienda ovvero dell'unità produttiva sono
insufficienti, il datore di lavoro può far ricorso a persone o
servizi esterni all'azienda, previa consultazione del rappresentante
per la sicurezza.
7. Il
servizio esterno deve essere adeguato alle caratteristiche
dell'azienda, ovvero unità produttiva, a favore della quale è
chiamato a prestare la propria opera, anche con riferimento al
numero degli operatori.
8. Il
responsabile del servizio esterno deve possedere attitudini e
capacità adeguate.
9. Il
Ministro del lavoro e della previdenza sociale, con decreto di
concerto con i Ministri della sanità e dell'industria, del
commercio e dell'artigianato, sentita la commissione consultiva
permanente, può individuare specifici requisiti, modalità e
procedure, per la certificazione dei servizi, nonché il numero
minimo degli operatori di cui ai commi 3 e 7.
10.
Qualora il datore di lavoro ricorra a persone o servizi esterni egli
non è per questo liberato dalla propria responsabilità in materia.
11. Il
datore di lavoro comunica all'ispettorato del lavoro e alle unità
sanitarie locali territorialmente competenti il nominativo della
persona designata come responsabile del servizio di prevenzione e
protezione interno ovvero esterno all'azienda. Tale comunicazione è
corredata da una dichiarazione nella quale si attesti con
riferimento alle persone designate: a) i compiti svolti in materia
di prevenzione e protezione; b) il periodo nel quale tali compiti
sono stati svolti; c) il curriculum professionale".
Fatti e
procedimento precontenzioso
9.
Conformemente
al procedimento previsto dall'art. 169, primo comma, del Trattato CE
(divenuto art. 226, primo comma, CE), la Commissione, dopo aver
messo in grado laRepubblica italiana di presentare le proprie
osservazioni, con lettera 19 ottobre 1998 ha rivolto a tale Stato
membro un parere motivato invitandolo ad adottare le misure
necessarie per conformarsi agli obblighi che gli derivano dalla
direttiva entro due mesi dalla notifica di tale parere. Dal momento
che la Repubblica italiana non ha risposto a detto parere, la
Commissione ha presentato il ricorso in esame.
Giudizio
della Corte
Sulla
prima censura
10.
Secondo
la Commissione l'art. 6, n. 3, lett. a), della direttiva istituisce
l'obbligo per il datore di lavoro di valutare l'insieme dei rischi
per la sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. I
tre tipi di rischi enumerati nella disposizione sarebbero una mera
elencazione dei rischi specifici che devono essere valutati. E' per
tale motivo che, con la sua prima censura, la Commissione sostiene
che la norma italiana di trasposizione, vale a dire l'art. 4, primo
comma, del decreto legislativo, che si limita ad imporre al datore
di lavoro la valutazione di questi tre tipi specifici di rischi,
sarebbe in contrasto con la direttiva.
11.
Il
governo italiano replica che tale censura è priva di fondamento.
Innanzi tutto, i tre tipi di rischi enumerati dalla direttiva e
riprodotti dalla normativa nazionale comprenderebbero in realtà
tutte le fonti di rischi sui luoghi di lavoro. Inoltre, le altre
disposizioni del decreto legislativo nonché altre norme nazionali
prevederebbero obblighi specifici di valutazione dei rischi da parte
del datore di lavoro. Infine, l’art.2087 del codice civile imporrebbe al datore di lavoro l'obbligo di
adottare misure di tutela dell'integrità fisica e della personalità
morale dei prestatori di lavoro, obbligo il cui rispetto non
potrebbe essere assicurato senza una preventiva valutazione dei
rischi in questione.
12.
In via
preliminare, si deve constatare come risulti sia dall'obiettivo
della direttiva, che si applica, ai sensi del suo quindicesimo
'considerando, a tutti i rischi, sia dal tenore letterale dell'art.
6, n. 3, lett. a), della medesima che i datori di lavoro sono tenuti
a valutare l'insieme dei rischi per la sicurezza e la salute dei
lavoratori.
13.
Inoltre,
è importante precisare che i rischi professionali che devono essere
oggetto di una valutazione da parte dei datori di lavoro non sono
stabiliti una volta per tutte, ma si evolvono costantemente in
funzione, in particolare, del progressivo sviluppo delle condizioni
di lavoro e delle ricerche scientifiche in materia di rischi
professionali.
14.
Ne
consegue che l'art. 4, primo comma, del decreto legislativo, che
prevede, sì, l'obbligo del datore di lavoro di valutare rischi
specifici, ma che limita la portata di tale obbligo ai tre tipi di
rischi menzionati a titolo di esempio nell'art. 6, n. 3, lett. a),
della direttiva, non può costituire una corretta trasposizione di
tale norma.
15.
Per
quanto riguarda l'argomento del governo italiano secondo cui altre
disposizioni del decreto legislativo nonché altre norme nazionali
prevederebbero obblighi specifici divalutazione dei rischi da parte
del datore di lavoro, esso deve essere respinto in quanto non può
rimediarsi alla mancata trasposizione dell'obbligo generale,
previsto dalla direttiva, di valutare tutti i rischi per la
sicurezza e la salute dei lavoratori adottando misure specifiche
riguardanti solo alcuni dei rischi in questione.
16.
Per
quanto concerne l'argomento del governo italiano relativo all'art.
2087 del codice civile, è sufficiente constatare che l'obbligo
generale del datore di lavoro di adottare misure di tutela
dell'integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di
lavoro non corrisponde all'obbligo specifico di valutare tutti i
rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori ai fini
perseguiti dalla direttiva e nel contesto giuridico determinato da
quest'ultima.
17.
L'esistenza
dell'art. 2087 del codice civile non può quindi dispensare la
Repubblica italiana dal trasporre correttamente nel diritto interno
l'art. 6, n. 3, lett. a), della direttiva.
18.
Di
conseguenza, la prima censura della Commissione, relativa alla
violazione dell'art. 6, n. 3, lett. a), della direttiva, deve essere
accolta.
Sulla
seconda censura
19.
Con la
sua seconda censura la Commissione sostiene che l'art. 8, n. 6, del
decreto legislativo, che lascia al datore di lavoro la scelta se
fare o meno ricorso a servizi esterni quando le capacità dei
dipendenti dell'impresa sono insufficienti, è manifestamente in
contrasto con la regola imperativa contenuta nell'art. 7, n. 3,
della direttiva.
20.
Il
governo italiano sostiene che l'art. 8, sesto comma, del decreto
legislativo in combinato disposto con le altre disposizioni del
medesimo articolo, in particolare con i suoi commi primo e quinto,
dev'essere inteso nel senso che il datore di lavoro, quando non
dispone di capacità sufficienti per organizzare le attività di
protezione e prevenzione all'interno dell'impresa, è tenuto ad
assumere personale in possesso delle capacità adeguate o a fare
ricorso a persone o a servizi esterni all'impresa.
21.
Al
riguardo si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza
della Corte, la trasposizione nel diritto interno di una direttiva
non richiede necessariamente che sue disposizioni vengano riprese in
modo formale e testuale in una norma di legge o di regolamento
espressa e specifica e può essere sufficiente un contesto giuridico
generale, purché esso garantisca effettivamente la piena
applicazione della direttiva in modo sufficientemente chiaro e
preciso (v., in particolare, sentenze 16 novembre 2000, causa
C-214/98, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-9601, punto 49, e 7
dicembre 2000, causa C-38/99, Commissione/Francia, Racc. pag.
I-10941, punto 53).
22.
E'
particolarmente importante, per garantire l'esigenza di certezza del
diritto, che i singoli possano contare su una situazione giuridica
chiara e precisa, che consenta lorodi sapere esattamente quali sono
i loro diritti e gli obblighi e di farli valere, se del caso,
dinanzi ai giudici nazionali (v. sentenza 19 settembre 1996, causa
C-236/95, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-4459, punto 13).
23.
A tale
proposito va ricordato che l'art. 7, nn. 1 e 3, della direttiva
prevede l'obbligo del datore di lavoro di organizzare un servizio di
protezione e di prevenzione dei rischi professionali all'interno
dell'impresa ovvero, se le competenze all'interno della medesima
sono insufficienti, di far ricorso a competenze esterne.
24.
Ora, ai
sensi dell'art. 8, sesto comma, del decreto legislativo, un datore
di lavoro ha la facoltà, ma non l'obbligo, di ricorrere a persone o
servizi esterni all'impresa se le competenze dei dipendenti
all'interno di quest'ultima sono insufficienti.
25.
Dall'art.
8, sesto comma, del decreto legislativo, considerato isolatamente,
non risulta quindi che il datore di lavoro sia, in ogni caso, tenuto
ad assumere personale in possesso delle adeguate capacità o a
ricorrere a persone o servizi esterni per occuparsi delle attività
di protezione e di prevenzione dei rischi professionali nell'ambito
dell'impresa interessata.
26.
Pertanto,
rimane da esaminare se l'art. 8, sesto comma, del decreto
legislativo, letto alla luce degli altri commi dello stesso
articolo, in particolare dei suoi commi primo e quinto, debba
ciononostante ricevere l'interpretazione sostenuta dal governo
italiano.
27.
Anche se
è vero che l'art. 8, primo comma, del decreto legislativo enuncia
il principio secondo il quale il datore di lavoro organizza il
servizio di prevenzione e di protezione nell'ambito dell'impresa o
ne incarica persone o servizi esterni alla medesima, tale
disposizione rinvia ad altri commi di detto art. 8 per
l'applicazione concreta del principio e non sembra voler attribuire
al sesto comma un significato diverso da quello che emerge dal
tenore letterale di quest'ultimo.
28.
Così,
dall'art. 8, primo comma, del decreto legislativo non risulta
chiaramente che il sesto comma di tale articolo debba essere
interpretato nel senso che esso obbliga, in ogni caso, il datore di
lavoro ad assumere personale in possesso delle capacità richieste o
a ricorrere a persone o servizi esterni all'impresa quando le
competenze all'interno di quest'ultima sono insufficienti.
29.
Per
quanto riguarda l'art. 8, quinto comma, del decreto legislativo,
altresì fatto valere dal governo italiano, tale disposizione
prevede l'obbligo per il datore di lavoro di organizzare, in taluni
casi limitativamente enumerati, il servizio di prevenzione e di
protezione all'interno nell'impresa. Benché tale norma debba essere
interpretata nel senso che essa obbliga il datore di lavoro a
prevedere in ogni caso servizi di prevenzione e di protezione nelle
ipotesi menzionate dalla medesima, non ne deriva necessariamente che
il datore di lavoro è tenuto ad organizzare servizi siffatti in
tutti gli altri casi, in particolare in quelli che rientrano
nell'ambito di applicazione dell'art. 8, sesto comma, del decreto
legislativo.
30.
Peraltro,
una lettura dell'art. 8, sesto comma, del decreto legislativo alla
luce delle altre disposizioni di tale articolo non induce ad
un'interpretazione diversa.
31.
Di
conseguenza, si deve concludere che l'interpretazione dell'art. 8,
sesto comma, del decreto legislativo sostenuta dal governo italiano,
secondo cui il datore di lavoro sarebbe, in ogni caso, tenuto ad
assumere persone in possesso delle capacità richieste o a ricorrere
a persone o servizi esterni all'impresa, non emerge in modo
sufficientemente chiaro e preciso dal tenore letterale di detta
disposizione, né dal suo contesto giuridico.
32.
Ne
consegue che le seconda censura della Commissione, relativa alla
violazione dell'art. 7, n. 3, della direttiva, deve essere accolta.
Sulla
terza censura
33.
Con la
sua terza censura la Commissione sostiene che, non avendo previsto
una disciplina chiara a dettagliata relativa alle competenze
richieste alle persone responsabili delle attività di protezione e
di prevenzione dei rischi professionali all'interno dell'impresa, la
Repubblica italiana ha violato l'art. 7, nn. 5 e 8, della direttiva.
34.
Il
governo italiano fa valere di aver attribuito al datore di lavoro la
responsabilità di determinare i criteri che consentono di valutare
l'effettiva esistenza delle capacità e attitudini necessarie ad
esercitare le dette attività. Peraltro, l'art. 8, nono comma, del
decreto legislativo prevederebbe la possibilità, per il Ministro
responsabile, di stabilire regole per la certificazione dei servizi
di protezione e di prevenzione dei rischi professionali. Inoltre,
l'art. 8, undicesimo comma, del decreto legislativo prevederebbe
l'obbligo per il datore di lavoro di comunicare alle autorità
nazionali competenti informazioni relative alle persone responsabili
dei suddetti servizi.
35.
Al
riguardo occorre constatare che, ai sensi dell'art. 7, n. 8, della
direttiva, è compito degli Stati membri definire le capacità e le
attitudini necessarie per le persone o i servizi, di cui al n. 5 del
detto articolo, che si occupano delle attività di protezione e di
prevenzione dei rischi professionali nelle imprese.
36.
L'esecuzione
di tale obbligo implica l'adozione da parte degli Stati membri di
provvedimenti legislativi o regolamentari conformi ai requisiti
della direttiva e portati a conoscenza delle imprese interessate con
mezzi adeguati al fine di consentire a queste ultime di conoscere i
loro obblighi in materia e alle autorità nazionali competenti di
verificare che tali provvedimenti vengano osservati.
37.
La
soluzione adottata dalla Repubblica italiana, consistente
nell'attribuire al datore di lavoro la responsabilità di
determinare le capacità e le attitudini necessarie per esercitare
le attività di protezione e di prevenzione dei rischi
professionali, non soddisfa manifestamente i requisiti dell'art. 7,
nn. 5 e 8, della direttiva.
38.
Per
quanto riguarda l'art. 8, nono comma, del decreto legislativo, che
prevede la possibilità per le autorità nazionali di istituire
misure in materia di protezione e di prevenzione dei rischi
professionali, occorre constare che si tratta di una disposizione
facoltativa e che il governo italiano non ha prodotto alcun elemento
idoneo a dimostrare che le autorità nazionali avrebbero fatto uso
di tale possibilità.
39.
Per
quanto riguarda, infine, l'art. 8, undicesimo comma, del decreto
legislativo, è sufficiente rilevare che questa disposizione non ha
ad oggetto la definizione di regole relative alle capacità ed
attitudini delle persone responsabili dei servizi di protezione e di
prevenzione dei rischi professionali, ma concerne la comunicazione
alle autorità nazionali competenti, da parte del datore di lavoro,
di informazioni relative a tali persone.
40.
Ne
consegue che le terza censura della Commissione, relativa alla
violazione dell'art. 7, nn. 5 e 8, della direttiva, deve parimenti
essere accolta.
41.
Tenuto
conto dell'insieme delle considerazioni che precedono, si deve
dichiarare che,
- non
avendo prescritto che il datore di lavoro debba valutare tutti i
rischi per la salute e la sicurezza esistenti sul luogo di lavoro;
- avendo
consentito al datore di lavoro di decidere se fare o meno ricorso a
servizi esterni di protezione e di prevenzione quando le competenze
interne all'impresa sono insufficienti, e
- non
avendo definito le capacità e le attitudini di cui devono essere in
possesso le persone responsabili delle attività di protezione e di
prevenzione dei rischi professionali per la salute e la sicurezza
dei lavoratori,
la
Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa
incombono in forza degli artt. 6, n. 3, lett. a), e 7, nn. 3, 5 e 8,
della direttiva.
Sulle
spese
42.
Ai sensi
dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte
soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.
Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della Repubblica
italiana, che è risultata soccombente, quest'ultima va condannata
alle spese.
Per
questi motivi,
LA CORTE
(Quinta Sezione)
dichiara
e statuisce:
1) - Non
avendo prescritto che il datore di lavoro debba valutare tutti i
rischi per la salute e la sicurezza esistenti sul luogo di lavoro;
- avendo
consentito al datore di lavoro di decidere se fare o meno ricorso a
servizi esterni di protezione e di prevenzione quando le competenze
interne all'impresa sono insufficienti, e
- non
avendo definito le capacità e le attitudini di cui devono essere in
possesso le persone responsabili delle attività di protezione e di
prevenzione dei rischi professionali per la salute e la sicurezza
dei lavoratori,
la
Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa
incombono in forza degli artt. 6, n. 3, lett. a), e 7, nn. 3, 5 e 8,
della direttiva del Consiglio 12 giugno 1989, 89/391/CEE,
concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il
miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante
il lavoro.
2) La
Repubblica italiana è condannata alle spese.
(Firme)
Così
deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 novembre 2001
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