Relazione di Laimer Armuzzi
Segretario generale della FP CGIL

22 gennaio 2002

 

Care compagne e cari compagni, gentili ospiti ed invitati,

La vittoria alle elezioni politiche della Casa delle Libertà, ha portato al Governo del nostro Paese una compagine di forze, all’interno della quale allignano, in modo solo apparentemente incoerente, ultra-liberismo e populismo, statalismo e disarticolazione della Nazione e questo si poteva leggere già nel loro programma elettorale.

A fronte di quel programma elettorale, va detto francamente, che l’Ulivo e la sinistra dell’Ulivo in particolare, hanno balbettato troppo.

La sinistra non ha saputo rendere evidente la sua differenza dalla destra su alcuni elementi cruciali, a partire dal lavoro, non ha saputo definire e comunicare quale progetto di società aveva in mente.

Le cose buone fatte dai Governi di centro-sinistra sono state molte, ma questo non è bastato, perché la politica è certo l’arte del possibile, ma senza un ancoraggio forte ad un modello di società, senza valori ed obiettivi condivisi, senza scelte prioritarie chiare, diventa solo buona amministrazione.

E l’amministrazione, ancorché buona, spesso non è sufficiente per vincere.

E infatti ha vinto Berlusconi.

Forse non ci aspettavamo che si manifestassero in modo così evidente i tratti caratterizzanti di questo Governo: arroganza nella gestione del potere, vene di autoritarismo, disprezzo delle regole e continuo ricorso a "interesse privato in atti d’ufficio".

Non sto esagerando: i provvedimenti presi, gli atti compiuti ed i comportamenti agiti, rispondono pienamente alle caratteristiche che ho enunciato e si intravede sullo sfondo il tentativo di costruire una sorta di regime con tratti eversivi, autoritari e totalmente privo di senso dello Stato.

L’idea di libertà che hanno i partiti della coalizione di centro-destra è davvero molto simile a quello che abbiamo visto in televisione all’ottavo nano!

Purtroppo, però questa volta non c’è niente da ridere!

La libertà fuori da un quadro di regole, elemento cardine della civiltà europea, in realtà si trasforma in arbitrio dei più forti nei confronti dei più deboli e mette in discussione la coesione sociale.

In nome di una libertà senza vincoli questo Governo agisce stravolgendo l’impianto di regole che innervano il tessuto democratico del nostro Paese.

Bisogna essere consapevoli che questo è il livello della sfida in atto!

Le dimissioni –definite consensuali- di Ruggiero, (poi abbiamo appreso che Berlusconi gli aveva fatto un contratto a termine) a mio parere, sono un segnale grave perché anche da questa vicenda si evince, il fastidio, o peggio il disprezzo che questo Governo prova nei confronti delle regole – che non a caso vengono chiamate "vincoli" – regole in questo caso europee.

Nei giorni dell’euro, il governo Berlusconi ci ha regalato uno scontro sull’Europa. Ma le dimissioni del Ministro Ruggiero non sono semplicemente un passo falso.

L’antieuropeismo non è solo della Lega, - che affigge manifesti in cui l’Europa è chiamata Forcolandia – ma anzi, lo spirito autarchico e antieuropeo, mascherato con la bandiera della fedeltà atlantica ed un nuovo patriottismo, è un dato strutturale e culturale di tutta maggioranza.

L’Italia di Berlusconi guarda all’Europa come ad uno dei maggiori intralci sulla strada del potere assoluto, in un paese dove l’opposizione è già debolissima e l’informazione critica quasi azzerata.

Per questo alla festa dell’Euro i ministri di Berlusconi avevano facce da funerale, infastiditi da un’Europa civile e vigile che, sia pur lentamente, (per noi troppo lentamente), procede verso l’integrazione, dall’economia alla giustizia.

Un insieme di leggi e di regole politiche, economiche e sociali che nel loro insieme fanno quello che noi chiamiamo il modello sociale europeo, fatto in altre parole di coesione e d’inclusione sociale.

Un’Europa in cui, prima o poi, molte decisioni saranno prese a maggioranza e non all’unanimità.

Sarà l’Italia a guidare il semestre europeo che inizierà nel luglio del 2003, quando una Conferenza intergovernativa varerà la futura Costituzione europea.

E’ questo per noi motivo di grande preoccupazione perché oggi il Presidente del Consiglio , non parla delle sue scelte politiche europee, non ci dice se è favorevole o meno al superamento dell’unanimità, non parla dell’allargamento, non dice nulla su chi sarà il rappresentante italiano alla convenzione.

Magari sceglierà qualcuno della Lega di Bossi.

Berlusconi dopo aver fatto dichiarazioni contro il protocollo di Kyoto, a favore del progetto di difesa antimissile di Bush, dopo aver abbandonato il progetto europeo dell’Airbus A-400, dopo aver sabotato il mandato di cattura europeo è oggi interessato solo ad immaginare la scenografia televisiva di una Costituzione europea firmata durante il suo periodo di presidenza.

Alla fine come scrive El Pais: questa Italia di Berlusconi è meno Italia. Ma meno Italia vuol dire anche meno Europa.

L’idea di una società piccola, chiusa ed egoista, emerge chiaramente se guardiamo al disegno di legge governativo – non a caso targato Fini-Bossi – in materia di immigrazione – anche questo in contrasto con gli orientamenti della politica europea – che nega alla radice la possibilità di costruire nel nostro paese una convivenza civile con i cittadini stranieri immigrati.

La grande manifestazione di sabato scorso, a cui la CGIL ha aderito, è stata un successo ma noi dobbiamo fare di più.

E’ questo un terreno impervio su cui c’è ancora molto da lavorare per affermare compiutamente e concretamente i valori della solidarietà e dell’uguaglianza dei diritti.

La presenza di numerose e qualificate delegazioni dei sindacati europei e di altri importanti paesi del mondo che voglio qui ringraziare per l’attenzione che hanno voluto mostrare concretamente accogliendo il nostro invito, rappresenta non solo il riconoscimento dal nostro lavoro internazionale, ma anche il bisogno di tutti a partire da noi di affermare sempre di più un ruolo internazionale del sindacato che dia sostanze alle costruzione di quell’Europa dei diritti che deve necessariamente seguire quella monetaria.

Nel mondo c’è bisogno di più sindacato.

In Europa c’è bisogno di passare dal dialogo sociale alla contrattazione.

Grazie a tutti.

Spero che potrete apprezzare anche le straordinarie bellezze di Roma.

Partendo da un legame organico con Confindustria e Banca d’Italia questo Governo persegue l’obiettivo di costruire un vero blocco sociale per modificare radicalmente alla radice i rapporti di potere ed il modello sociale nel Paese.

Al governo siedono in prima persona gli esponenti degli interessi concreti, materiali, di questo blocco politico ed economico e da qui si genera la sostanziale scomparsa del ruolo della mediazione politica.

Il 13 maggio ha consegnato al Paese una situazione politica bipolare, ben oltre quanto lo stesso sistema elettorale potesse far supporre.

E’ stato questo un passaggio di fase che è stato determinato dai comportamenti dei cittadini italiani al momento del voto e che ha portato al centro-destra una larga maggioranza parlamentare.

Gli elettori hanno premiato o punito i due poli ed hanno reso residuale o azzerato tutte le forze politiche che si erano poste al di fuori dei due grandi blocchi, ed hanno scelto per chi votare in base ai programmi di Governo presentati dalle coalizioni in campagna elettorale.

Il fatto che i programmi di Governo siano esplicitati rende indispensabile, ancor più di prima, avere un progetto autonomo come organizzazione sindacale, ma al tempo stesso cambiano le modalità in cui l’autonomia viene esercitata.

Coerentemente con questa impostazione già nell’assemblea della CGIL del 2001 al Palazzo dei Congressi all’EUR avevamo messo in evidenza i limiti del programma del centro-sinistra ed i pericoli insiti nel programma della Casa delle Libertà e nell’organica alleanza con Confindustria che si andava costruendo e delineando in modo chiaro.

Forse alcune delle difficoltà nei rapporti unitari derivano anche da un’analisi diversa di questo cambiamento di fase, forse si crede possibile un esercizio dell’autonomia basato sulla neutralità nei confronti del quadro politico.

Il volgare tentativo di isolare la CGIL messo in essere dalla compagine di centro-destra, non è passato, ma non smettono di provarci!

Puntare sulla divisione del sindacato, a prescindere dagli elementi di merito, con arroganza e senza il minimo rispetto per nessuna organizzazione dei lavoratori, è stata una mossa sbagliata, perché pur essendoci tra noi la CISL e la UIL opinioni diverse, anche su questioni importanti, a fronte dello smantellamento dei diritti fondamentali del lavoro e di cittadinanza, la risposta è stata forte ed unitaria.

Non poteva che essere così.

Le nostre pur fosche previsioni sono state ampiamente superate dalla realtà: il numero e la tipologia dei provvedimenti già presi o messi in campo stanno minando alle radici principi fondamentali della Costituzione.

La promulgazione delle leggi sul falso in bilancio, sul rientro dei capitali dall’estero e sulle rogatorie internazionali, accompagnate dall’attacco perpetuo ed al dileggio della Magistratura , sono stati i primi atti di questo Governo.

Si è poi passati ai provvedimenti dei 100 giorni operando una prima redistribuzione di reddito a favore dei ceti sociali più forti.

Ora tocca al ridimensionamento della spesa sociale, del welfare ed al diritto del lavoro.

Scuola e sanità sono emblematiche.

La riforma (si fa per dire) annunciata dal Ministro Moratti reintroduce la selezione di classe, demolita negli anni 60’ – la separazione dei percorsi formativi, l’obbligo di scegliere a 14 anni il proprio futuro, la fine del tempo pieno, la riduzione del sostegno ai disabili, il finanziamento alla scuola privata e il ridimensionamento di quella pubblica.

A tutto questo, volendo, si possono eventualmente aggiungere ulteriori disastri a livello regionale con la devolution.

Forse le tre I (inglese, internet, informatica) ci saranno (magari a pagamento), ma non ci sarà più un sistema formativo per tutti in cui formazione, sapere e conoscenza costituiscono un fondamentale diritto di cittadinanza.

Il diritto universale alla salute, garantito dalla Costituzione, i principi della riforma del 78 sull’unitarietà del percorso prevenzione-cura-riabilitazione, ribaditi nella riforma Bindi, vengono scardinati.

La salute viene ridotta a merce.

Per queste ragioni abbiamo promosso il Forum 32, che dovrà articolarsi a livello regionale, con un impegno diretto e concreto delle nostre strutture.

Uno strumento per promuovere iniziative che rimettano in moto, sul terreno culturale e politico, le forze che si battono per contrastare la svendita e la dequalificazione del sistema sanitario nazionale pubblico ed universale.

Il FORUM è presieduto da Rosy Bindi, che non a caso, è diventata il bersaglio preferito della destra ogni qual volta si nomina la sanità.

Con metodo e lucidità i provvedimenti governativi marciano a grandi passi verso la privatizzazione ed il passaggio al sistema assicurativo, partendo dallo scorporo degli ospedali che diventano meri produttori di prestazioni e non produttori di salute.

La trasformazione degli IRCCS in fondazioni private è già in atto.

I livelli essenziali di assistenza saranno disomogenei e variabili essendo in rapporto diretto con le condizioni finanziarie delle diverse Regioni.

I medici potranno tornare a fare quel che gli pare e potranno di nuovo essere gli unici dirigenti al mondo che lavorano contemporaneamente per un’azienda e per il suo concorrente e, per risolvere i problemi dell’emergenza infermieristica, hanno pensato ad una novità assoluta: l’introduzione del cottimo!

I servizi territoriali che si occupano di assistenza domiciliare, di tossicodipendenza, di malattie mentali – già così scarsi su gran parte del territorio nazionale – vengono soffocati o chiusi.

Per non parlare dei consultori, oggetto di una furia ideologica distruttiva nelle regioni governate dal centro-destra.

Il mainstreaming e le pari opportunità vengono richiamate spesso, anche nel libro bianco.

Ma, in verità vengono perseguite politiche concrete che invece fanno trapelare un’idea del ruolo delle donne nella società e nella famiglia che ci riporta indietro di molti anni.

Le soluzioni proposte per l’occupazione femminile sono: lavoro atipico e flessibile, partendo dall’assunto che le donne lo apprezzino maggiormente in quanto, in questo modo, il lavoro di cura sarebbe agevolato, e per rendere credibile questa loro tesi intanto chiudono i servizi sociali.

Un approccio totalmente privo di laicità pervade di sè leggi e proposte.

Il matrimonio è una specie di ossessione e sul matrimonio sono tarati i diritti di accesso a molti servizi nei provvedimenti ad esempio della Regione Lazio.

Per non parlare delle proposte di modifica della legge 194 che periodicamente vengono avanzate.

Sulla previdenza siamo in presenza di una delega, che attraverso il meccanismo della decontribuzione, di fatto prefigura, un doppio regime tra i giovani in ingresso sul lavoro e gli altri e mina nel tempo le fondamenta del sistema pubblico e il suo equilibrio finanziario.

Sul fisco la delega prevede una diminuzione della tassazione - com’è ovvio, principalmente per i più ricchi – che, per essere realisticamente attuata, necessita di un pressoché totale azzeramento del sistema di welfare pubblico.

Se avete notato, l’entrata in vigore di questi provvedimenti è tarata sulle prossime elezioni, nel frattempo tenteranno di attuare la demolizione del troppo costoso sistema di protezioni sociali, di diritti di cittadinanza e di civiltà.

E così il cerchio si potrebbe chiudere!

Ma ancora non basta e quindi bisogna cancellare progressivamente tutto il diritto del lavoro, partendo dalla messa in discussione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, con quello di sostanziale e di simbolico che rappresenta.

Noi pensiamo che la dignità delle persone, soprattutto di quelle più deboli, non abbia prezzo, per questo l’art. 18 per noi non è negoziabile!

Si vuole distruggere ogni forma di mediazione sociale azzerando ogni forma di rappresentanza, lasciando gli individui soli nel difendere diritti, bisogni ed interessi.

E questa la chiamano libertà.

Ecco perché il fulcro del libro bianco è costituito dal rapporto individuale, totalmente subalterno all’impresa, abolendo per questa via il riconoscimento del fondamento di disparità che esiste tra datore di lavoro e singolo lavoratore.

Disparità che è determinata dall’evidente ben diverso potere di dettare regole e condizioni che hanno i soggetti in campo.

I diritti e le tutele previsti da leggi e contratti cessano così di essere certi ed esigibili e per questa strada si arriva alla totale residualità della funzione di rappresentanza.

Come ben si vede le ragioni per cui ci opponiamo alle scelte di questo Governo sono tutte basate sul merito, ma è altrettanto evidente che ci opponiamo a queste scelte anche perché abbiamo un’idea di società basata su altri valori.

Non siamo affatto arroccati nel difendere l’indifendibile, ma ci battiamo e ci batteremo con forza per affermare principi di libertà, di civiltà, di giustizia, di equità, di uguaglianza, di solidarietà e perché i diritti del lavoro abbiano voce e si estendano.

Insomma per contrastare l’impresentabile.

Dobbiamo essere consapevoli del fatto che la lotta sarà dura e dobbiamo avere la capacità di reggere nel tempo.

Dobbiamo vincere il giro non una tappa!

Occorre ripartire dal basso, allargare il consenso sulle nostre proposte, stringere alleanze, costruire iniziative a partire dai luoghi di lavoro.

Francamente ritengo, oltre che ingenerose, intellettualmente disoneste le posizioni di chi – a fronte dello scontro in atto e del conflitto aperto, imputa alla CGIL cedimenti a CISL e UIL sul terreno del merito.

Le questioni su cui è aperto lo scontro, sono esattamente, nei contenuti, quelle di cui abbiamo discusso in tutte le sedi, ed io credo che avere su queste una posizione unitaria sia un bene per tutti e principalmente per i lavoratori e le lavoratrici.

Nel patrimonio genetico della CGIL c’è sempre stata la ricerca dell’unità – mai a qualunque costo, certo, ed infatti non è così – unità sul merito, perché la difesa degli interessi e dei diritti sociali e di civiltà, come immagino sia evidente per tutti, si può esercitare molto più efficacemente se il movimento sindacale è unito.

E’ questa un’unità che si definisce nel merito delle posizioni che si costruiscono a difesa dei lavoratori.

Le lotte unitarie che si stanno sviluppando in queste settimane con successo e percentuali altissime di adesione lo dimostrano.

E’ certo vero che uniti si vince, ed è ancor più vero che si vince costruendo l’unità tra i lavoratori e non solo sommando i gruppi dirigenti.

Anche per questo le elezioni per le RSU sono state un vero e proprio evento di democrazia.

Il nostro risultato positivo, nel quadro di un più generale successo del sindacato confederale, è volutamente passato pressoché inosservato.

Sono stato colpito dal fragoroso silenzio e dalla sottovalutazione che ha circondato la notizia del nostro successo, sia sui mezzi di comunicazione sia nelle opinioni e valutazioni del mondo politico, anche a sinistra, anche perché sono pressoché certo che una nostra sconfitta invece avrebbe "fatto notizia".

La CGIL che perde avrebbe riempito le pagine dei giornali ed il disegno di disarticolazione della rappresentanza sociale e sindacale che questo Governo sta praticando, avrebbe segnato un punto a suo favore.

Non è andata così!

In verità non abbiamo avuto neanche il tempo di assaporare la gioia e l’orgoglio per questo risultato straordinario.

Lo scontro sociale in atto ci ha obbligati a continuare a lavorare a testa bassa per fare riuscire gli scioperi, ma credo sia giusto concederci un attimo di soddisfazione, il tempo per dirci tra di noi "BRAVI".

Anche perché questo risultato non era affatto scontato, la competizione molto più dura di quella del 1998 ed il contesto di riferimento totalmente diverso.

Il risultato che abbiamo ottenuto, fa anche giustizia di un argomento che, maliziosamente o pretestuosamente, fu usato per spiegare il nostro successo di 3 anni fa: qualcuno infatti disse che avevamo vinto perché favoriti da un governo di centro-sinistra.

Ebbene, ora c’è un governo di centro-destra, e l’evento si è ripetuto.

Le differenze di contesto tra il 1998 ed oggi sono grandissime: nella scorsa tornata elettorale il processo riformatore in molti settori della P.A., seppur con qualche incertezza era stato avviato, ora i processi di riforma ed il ruolo stesso della P.A. sono totalmente rimessi in discussione dal Governo.

Nel 98’ i CCNL non erano ancora chiusi, oggi gli accordi sono firmati; la contrattazione integrativa era una pratica limitata a poche circoscritte realtà, ora invece alle spalle abbiamo una contrattazione di 2° livello che ha avuto come destinatari il 90% degli addetti; la classificazione del personale nel 98’ non era ancora in vigore, ora si sta sperimentando in tutti i posti di lavoro.

Abbiamo vinto dunque perché le lavoratrici ed i lavoratori hanno espresso consenso alla nostra linea politica, alla nostra pratica sindacale, alle cose fatte nei posti di lavoro dai nostri delegati, ed all’impegno da loro profuso.

L’affluenza alle urne inoltre ha dimostrato, senza ombra di dubbio, che i lavoratori e le lavoratrici credono e sostengono un sistema di rappresentanza fondato sulla partecipazione e sulla verifica del consenso, che sono interessati ad essere protagonisti, che considerano utile ed importante che le loro istanze e rivendicazioni siano rappresentate e direttamente espresse con il tradizionale strumento della democrazia: il voto.

E’ questa per noi una conferma della giustezza e del consenso di cui gode la nostra linea sulla democrazia nei luoghi di lavoro.

Un segnale forte e chiaro che ci dà ulteriori motivi per rivendicare con forza l’estensione della legge sulla rappresentanza a tutto il mondo del lavoro.

Un capitale politico importante da mettere in campo nel momento in cui il Governo sferra un attacco senza precedenti alla rappresentanza sindacale confederale nel pubblico impiego.

Questo governo ha provato a non farci votare.

Non ce l’ha fatta.

Ha apertamente sostenuto in campagna elettorale i sindacati autonomi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Ora ci sta riprovando percorrendo un’altra strada: quella di vanificare gli effetti del voto.

In queste settimane il Governo sta progettando e decidendo provvedimenti di rilegificazione e interviene pesantemente sulla composizione delle platee contrattuali, riproponendo modelli organizzativi vecchi – desueti ormai anche nelle imprese private più gerarchizzate – parlando di vice-dirigenza ed area quadri.

Gli obiettivi che si celano dietro a questi provvedimenti sono la destrutturazione della contrattazione conquistata in questo ultimo decennio e, rilegificando, consegnare di nuovo una parte consistente dei dipendenti pubblici ad un rapporto di subordinazione al potere politico.

Se si pensa che solo nel comparto delle Autonomie Locali sono quasi 80.000 i lavoratori che potrebbero essere strumentalmente oggetto di questo intervento legislativo, il depotenziamento delle RSU appena elette sarebbe cosa fatta.

Un bel "golpe" bianco!

Cosa c’entri poi tutto questo con la declamata modernizzazione non è dato capire!

Come si possa, cristallizzando le posizioni, gerarchizzando ed impedendo gli adattamenti alle trasformazioni, santificare la loro deificata flessibilità, è un altro mistero!

L’ altro elemento positivo che emerge dal risultato per il rinnovo delle RSU, è il dato che conferma CGIL-CISL e UIL come sindacati rappresentativi della stragrande maggioranza dei pubblici dipendenti.

E’ stata cioè premiata dai lavoratori e dalle lavoratrici la linea di chi declina nella rappresentanza un’idea di sindacato generale.

Pur, con grande rispetto per le opinioni diverse dalle nostre in merito alle questioni della democrazia ed all’esigenza di avere una legislazione di sostegno sulla rappresentanza, vorrei dire alla CSL ed alla UIL di riflettere meglio, di riaprire una discussione vera, di merito, su queste questioni, proprio partendo dall’esperienza maturata nelle nostre categorie.

La legge sulla rappresentanza nel P.I., ultimo lascito del prezioso lavoro del nostro compagno Massimo D’Antona, ha permesso il dispiegarsi di un’attività unitaria a livello diffuso, che ha contribuito al raggiungimento di risultati importanti nella contrattazione integrativa.

Ma non solo: penso che l’esistenza stessa delle RSU sia stato l’elemento di valore aggiunto che ci ha permesso di continuare a mantenere in vita, anche nei momenti di maggiore difficoltà, un’azione sindacale caratterizzata dall’unità.

Non sarebbero certo bastate la stima e l’amicizia che mi legano ai Segretari della CISL e della UIL di Categoria, per fare insieme, pur tra qualche scetticismo, tutto quello che abbiamo fatto con Rino Carlo e Salvatore.

Ai quali riconfermo il mio affetto e che ringrazio per essere qui con noi oggi.

Di questo strumento di sostegno all’unità ne avrebbero avuto bisogno anche nelle categorie del privato.

Penso infatti che, se anche per quei settori fosse in vigore la legge sulla rappresentanza, quella spaccatura non ci sarebbe stata, certo perché la legge impedisce l’entrata in vigore di accordi privi del consenso del 51% dei lavoratori, ma forse, anche perché, le regole della democrazia avrebbero risolto il problema a monte.

Attraverso l’accordo separato, voluto da Federmeccanica e Confindustria, si è voluto sostenere il principio, costantemente riaffermato nel "libro bianco", che gli accordi si possono fare con chi ci sta, a prescindere dalla loro rappresentanza reale.

La straordinaria manifestazione nazionale del 16 novembre e l’adesione allo sciopero della FIOM, a cui riconfermiamo la nostra solidarietà ed il nostro sostegno, è stata la risposta che le lavoratrici ed i lavoratori metalmeccanici hanno voluto e saputo dare.

 

Care compagne, cari compagni, un congresso è anche occasione per fare un bilancio di ciò che si è fatto rispetto a ciò che ci eravamo dati come obiettivi al precedente Congresso.

Nel documento finale approvato dal Congresso di Salsomaggiore era scritto "…il rischio di una deriva corporativa, neoliberista e plebiscitaria della società italiana alimentata da una cultura diffusa di intolleranza e di caduta di solidarietà sociali è tutt’altro che sventato".

A distanza di cinque anni, quelle valutazioni politiche sembrano quasi una profezia.

L’Ulivo aveva vinto le elezioni due mesi prima.

Venivamo però da una fase politica in cui la vittoria del centro destra, alle elezioni del 1994, aveva evidenziato in tutta la sua problematicità e contraddittorietà, una richiesta di cambiamento da parte dei cittadini.

Con quelle elezioni si produsse "lo sdoganamento" del partito sorto dalle ceneri del fascismo, la legittimazione di un movimento dalla chiara matrice secessionista e la concentrazione di potere nelle mani di un’unica persona di grandi ricchezze e di un potere mass mediatico mai prima conosciuto.

Il rischio politico e sociale che denunciammo in quel congresso, noi l’abbiamo avuto ben chiaro fin dall’inizio e tutte le nostre azioni sono state finalizzate ad ostacolare quel processo di sostanziale negazione dei principi del patto di cittadinanza sanciti dalla Costituzione.

Quel Governo durò soltanto alcuni mesi, grazie anche all’iniziativa sindacale ed ad una decisa opposizione dei partiti che si richiamavano ai valori costituzionali i quali furono in grado di indicare al paese una alternativa politica che consentisse sviluppo e coesione sociale.

I quasi cinque anni che ci separano dall’ultimo congresso ci hanno visti impegnati in un’attività che davvero non si può definire di tipo ordinario.

La Categoria ha saputo svolgere fino in fondo un ruolo da protagonista: nelle vertenze contrattuali, sul terreno delle riforme istituzionali, per l’ammodernamento della pubblica amministrazione, per la valorizzazione del lavoro pubblico, per l’affermazione della democrazia sindacale.

Sono stati anni caratterizzati, soprattutto nella prima fase di governo del Centro Sinistra, da una forte volontà d’innovazione istituzionale.

L’intera fase delle riforme che passano sotto il nome di "Riforme Bassanini" ci ha visto in campo in qualità di protagonisti.

Non ci siamo limitati ad assecondare un processo che abbiamo condiviso, ma spesso siamo stati noi ad indicare la strada e gli obiettivi del processo riformatore.

Abbiamo dovuto, nel difendere il lavoro pubblico, richiamare a coerenza il sistema politico e gestionale, all’orizzonte della riforma.

La ricostruzione di un sistema istituzionale basato su un federalismo cooperativo, la riforma dello stato sociale in chiave di una maggiore inclusione sociale ed un suo finanziamento sempre più basato sulla fiscalità generale, la piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro con la tutela del potere d’acquisto delle retribuzioni e lo sviluppo della contrattazione integrativa, la costituzione delle rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro e la democrazia di mandato, erano i pilastri della strategia che la Categoria si era data a Salsomaggiore.

La chiarezza del quadro strategico, ci ha consentito di sviluppare una forte, autonoma e costante iniziativa. Ci ha consentito, sul piano politico ed istituzionale di contrastare i numerosi tentativi tesi a rimettere in discussione il sistema dei diritti di cittadinanza.

Basti ricordare la discussione iniziale intorno alla Riforma Costituzionale in tema di sussidiarietà o i provvedimenti che rischiavano di produrre lacerazioni insanabili nel sistema sanitario pubblico.

Noi siamo stati lì. Non da soli naturalmente. Ma noi eravamo lì, a difendere lo stato sociale ed i diritti di cittadinanza.

Nel 1994 avevamo impedito che il risanamento avviato negli anni precedenti avvenisse attraverso lo smantellamento dello stato sociale.

Abbiamo successivamente anche criticato, senza reticenze, i comportamenti del Centro Sinistra e lanciato l’allarme quando Rosy Bindi e Luigi Berlinguer non furono riconfermati nel Governo Amato.

Quell’atto, questa fu la nostra valutazione, metteva in discussione il processo di riforme e riportava i poteri forti sul ponte di comando.

Abbiamo denunciato il fatto che la mancata applicazione della riforma Bindy metteva a rischio la tutela della salute dei cittadini.

Del popolarissimo Ministro "Tecnico Veronesi" non è rimasta altra traccia.

Ed al tecnico Sirchia si è presentato un terreno sostanzialmente spianato.

Come ben si vede , avevamo ragione di farlo!

Lo sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori della sanità e la grande manifestazione del marzo dello scorso anno, hanno confermato quanto era sentito, tra gli operatori ed i cittadini, il tema del sistema sanitario pubblico e della sua difesa.

La Categoria si è battuta con forza perché si avviasse un processo profondo di riforma dello Stato.

Il progetto di riforma complessiva della pubblica amministrazione aveva il nostro convinto sostegno perché si presentava come un disegno organico di trasformazione: decentramento di funzioni e risorse dallo Stato alle regioni ed alle autonomie locali e riforma dell’organizzazione del Governo.

Abbiamo sostenuto la necessità di quegli obiettivi di innovazione, ma al tempo stesso abbiamo criticato il Governo di Centro Sinistra quando non ha sufficientemente prestato attenzione ai nostri rilievi per come le riforme stavano procedendo, sia a livello nazionale, sia a livello regionale.

Malgrado ritardi, contraddizioni ed a volte vere e proprie inadempienze, è fuor di dubbio che la seconda parte degli anni novanta hanno portato una ventata di importanti novità.

Sul piano più squisitamente sindacale, la legge sulla rappresentanza sindacale nel Pubblico Impiego ha segnato una tappa tutt’altro che secondaria della storia democratica del nostro paese.

Ciò che più ha caratterizzato l’iniziativa sindacale in questi cinque anni è stata la stagione dei rinnovi contrattuali.

L’insieme del gruppo dirigente, in un quadro di tenuta unitaria con CISL e UIL, si è battuto con successo perché si realizzasse l’obiettivo strategico di tutelare le retribuzioni, affermare il principio della contrattazione nella classificazione professionale, sviluppare nella generalità dei posti di lavoro la contrattazione integrativa.

La stagione contrattuale 1998/2001 ha completato ciò che era iniziato nel precedente quadriennio.

Nulla era scontato e nulla è venuto per caso.

Voglio ricordare a tutti noi che nel luglio 2000 interrompemmo le trattative con l’ARAN per il rinnovo del biennio 2000/2001 in presenza di una insufficiente quantità di risorse previste dal DPEF per i rinnovi contrattuali.

Anche allora la discussione ruotava intorno al tasso di inflazione programmato e quanto di questa inflazione era da considerarsi frutto dell’andamento economico internazionale.

Dicemmo no al Governo di Centro Sinistra, come diciamo oggi no al Governo in carica.

Consapevolmente, ed in accordo con la Confederazione, nella grande manifestazione del Palacisalfa svoltasi a maggio del 2000, lanciammo la strategia che definimmo "lettura dinamica del 23 luglio".

Lo voglio dire oggi, esattamente come lo dicemmo allora: non si trattava di una furbizia contrattuale.

Eravamo in presenza di un’inflazione reale sensibilmente diversa da quella programmata. Avevamo il dovere di indicare una strada seria, percorribile che tutelasse il potere d’acquisto delle retribuzioni e non mettesse in discussione il quadro di riferimento generale per l’insieme delle categorie.

I risultati conseguiti hanno avuto un’importanza straordinaria per l’insieme del mondo del lavoro.

Eravamo consapevoli di giocare un ruolo importante per tutto il mondo del lavoro e sapevamo, proprio per questo, che quella partita non poteva essere persa, così come ne siamo consapevoli ora.

Lo sciopero generale del P.I. del 15 febbraio prossimo si inserisce nel programma di lotte più generale, tese a far cambiare idea al Governo su art. 18, previdenza e fisco, a cui si aggiungono questioni che riguardano le nostre categorie, ma che ritengo siano le prove generali, fatte dal Governo stesso sul P.I., per provare a rimettere in discussione i modelli e i contenuti delle relazioni sindacali per tutto il mondo del lavoro dipendente.

La messa in mobilità, la messa in disponibilità ed infine il licenziamento si configurano come un attacco gravissimo alle regole di tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori pubblici.

Il mancato stanziamento in finanziaria delle risorse necessarie per il recupero del differenziale tra inflazione reale e programmata, oltre a non tutelare il potere d’acquisto dei salari produce nei fatti un depotenziamento forte dei CNNL, che, se sommato al tentativo di ridimensionare la contrattazione integrativa, mette in discussione l’intero impianto delle regole negoziali.

La privatizzazione ed esternalizzazione dei servizi pubblici – ovviamente la dove per assicurazioni ed imprenditori privati ci sia la possibilità di fare affari – è il segno incontrovertibile di una strategia volta allo smantellamento dello stato sociale.

Gli scioperi già attuati nei mesi scorsi hanno registrato adesioni altissime, ma non sono stati sufficienti a far cambiare idea al Governo.

Forse il Governo pensa che sia possibile prenderci per stanchezza!

Altri pensano di confonderci.

Sembra che qualcuno si sia messo in testa di fare una manifestazione concorrente con la nostra in quella stessa giornata.

Ebbene, noi non rispondiamo mai alle provocazioni, ma alle sfide sempre.

Renderemo evidente in piazza ciò che è stato evidente nelle urne, risulterà chiaro chi rappresenta chi.

La manifestazione che faremo il 15 febbraio insieme alle lavoratrici ed ai lavoratori della scuola e della Ricerca a Roma, al Circo Massimo, sarà la più grande manifestazione di Pubblici dipendenti della storia del paese.

Non si tratta però di una fiammata o della spallata finale.

Se anche la sera del 15 febbraio il Governo dovesse mostrarsi sordo, dovremo essere pronti ad ulteriori momenti di lotta.

Se tutto ciò si coniugasse con il permanere delle posizioni odierne del Governo sull’art. 18, previdenza e fisco, noi saremmo necessariamente nelle condizioni di chiedere alla CGIL ed alle altre confederazioni, di unificare le lotte, proclamando lo sciopero generale nazionale di tutte le categorie.

Non dubito del fatto che questa richiesta sarà unitaria.

Come Segreteria Nazionale di F.P. abbiamo fortemente voluto, in modo unitario, arrivare alla definizione di un documento di categoria, che non ha inteso sostituirsi al dibattito congressuale generale, ma che è nato dall’esigenza di definire, attraverso una riflessione condivisa con un’ampia platea di iscritte ed iscritti, le scelte generali che sui temi prioritari e specifici costituiscono l’identità della nostra Categoria.

La proposta è stata colta nel dibattito dei congressi provinciali e regionali nei suoi tratti essenziali ed in particolare nella sua caratteristica distintiva : offrire alla platea congressuale un contributo unitario di riflessione, dal quale far discendere un mandato che il gruppo dirigente della categoria che sarà eletto, si impegna ad esercitare e del quale possa essere democraticamente chiamato a rispondere.

Dobbiamo infatti essere consapevoli che se gran parte del lavoro e della strada che dobbiamo percorrere nei prossimi anni deve essere indicata dalla CGIL, vi è un tratto di quella strada e di quel lavoro che spetta alla categoria individuare e svolgere.

Non possiamo sottrarci a questa responsabilità.

Questo impegno costituirà, anzi, una tappa ineliminabile nella costruzione del consolidamento della nostra identità e del ruolo che nel dibattito confederale possiamo e vogliamo svolgere.

In questo ambito non possiamo che partire dalla specifità del nostro lavoro, dalla necessità di conoscerlo, rappresentarlo e cambiarlo, per impedire che l’innovazione sia strumento nelle mani di chi detiene il potere, e che magari intende utilizzare questa innovazione per contrarre gli spazi di democrazia nel posto di lavoro, la qualità del lavoro di ogni singola persona e per questa via la qualità e la quantità dei servizi pubblici.

Dobbiamo, al contrario, trasformare l’innovazione, la nostra capacità di innovazione, in una straordinaria occasione di realizzazione delle persone nel lavoro.

Bisogna sottolineare come nella ipotesi controriformista del Governo, la cultura di sfrenata esaltazione della libertà individuale diventa, nel posto di lavoro, in realtà, un inesorabile meccanismo di coercizione ed espropriazione della persona dal proprio lavoro, dal proprio sapere, dalla possibilità di intervenire sul ciclo lavorativo.

Si sarebbe detto una volta un meccanismo di alienazione dell’individuo.

Insomma una riduzione sostanziale della libertà individuale.

La proliferazione in corso nei nostri cicli lavorativi di una molteplicità di tipologie di rapporti di lavoro, spezza la nostra capacità di conoscerli, rappresentarli e modificarli.

Il lavoro pubblico, ancor di più con le già ricordate modifiche dell’ultima legge finanziaria, subisce un doppio taglio.

Sta avvenendo oggi nei nostri luoghi di lavoro ciò che avevamo conosciuto con il decentramento produttivo nelle fabbriche sul finire degli anni 70’.

La parte più qualificata del ciclo finisce nelle mani di pochi, selezionatissimi e politicamente affidabili collaboratori professionali; quella meno qualificata viene terziarizzata.

A quel punto e in quelle condizioni non siamo più in grado di conoscere e migliorare le condizioni di chi lavora nè di difendere l’adeguatezza del servizio.

Non possiamo, abbandonare i lavoratori oggetto di terziarizzazione ad una segmentazione di trattamenti contrattuali quasi sempre con un grado di tutela economica e normativa inferiore a quello garantito dal contratto di provenienza.

Va ripresa con forza la proposta già condivisa da CISL e UIL e, nel caso del comparto delle AA.LL, dalla Confservizi-Cispel : costruire una sorta di contenitore che sia in grado di recepire il lavoro che viene terziarizzato in un contratto che definisca un quadro unificato di diritti e trattamenti economici.

Per questa via si elimina il dumping contrattuale che è uno dei fini che si propongono i responsabili dei processi di esternalizzazione.

La precarizzazione del lavoro, estesissima nei nostri settori, produce scomposizione dei cicli produttivi a scapito della qualità dei servizi e dell’organizzazione del lavoro.

Credo sia ragionevole ormai iniziare a pensare seriamente a processi di stabilizzazione del precariato con l’apertura di vere e proprie vertenze a livello territoriale e nazionale.

Avanziamo per questi motivi alla CGIL la richiesta di attrezzare una riflessione sulla necessità di offrire ai posti di lavoro, un unico strumento di rappresentanza a partire dagli iscritti alla CGIL, che sappia riunificare e quindi tutelare tutte le lavoratrici e i lavoratori presenti nei nostri posti di lavoro.

E’ evidente che per chi si propone di intervenire davvero sulle condizioni di lavoro, il II° livello di contrattazione va salvaguardato, ma non per farne il luogo nel quale in maniera corporativa vengono svolte funzioni tipiche del CCNL.

La contrattazione integrativa va anzi liberata da funzioni improprie.

Per questo insistiamo ed insisteremo nelle piattaforme perché si acquisisca una quota della produttività di settore allo scopo di utilizzarla anche per modifiche della classificazione del personale, come già sperimentato nell’ultimo rinnovo della sanità.

Ma ciò non sarà sufficiente se vogliamo davvero rispondere alla sfida di chi ci propone contratti la cui funzione solidale e di riequilibrio sia ridotta ed il cui campo d’applicazione sia sempre più ristretto.

A chi propone nei fatti meno contratto nazionale e meno contratto integrativo, dobbiamo rispondere rivendicando contratti integrativi che diventino strumento di cambiamento del lavoro, e contratti nazionali che riescano con più forza a tutelare il potere d’acquisto dei salari.

Questi contratti devono avere inoltre la capacità di accrescere il numero delle persone tutelate, anche facendo ulteriori e coraggiosi passi in avanti verso l’unificazione delle regole del lavoro pubblico e privato attraverso la stipula di CCNL di settore.

Ecco perché riproponiamo l’esigenza dell’ introduzione nelle prossime piattaforme, di una sede contrattuale esigibile, nel caso – oggi davvero probabile - di uno scostamento tra inflazione attesa e verificatasi superiore allo 0,5%, nella quale ripristinare, entro il primo trimestre dell’anno successivo alla stipula del CNNL, la coincidenza tra i due tassi nella copertura del potere d’acquisto dei salari.

Ed è sempre per questi motivi che consideriamo la strada del contratto di settore una via, riguardo al nostro impegno, irrinunciabile.

Si tratta di una scelta complessa che va in primo luogo discussa con le lavoratrici e i lavoratori, senza il cui consenso saremmo destinati, al primo diniego della controparte, ad arenarci.

Cosa sarebbe, se così non fosse stato, della nostra proposta nel comparto dell’igiene ambientale oggi, se noi non fossimo in grado di sostenere con la lotta la nostra richiesta?

Saremmo già tornati ai tavoli separati, alla stipula di due distinti contratti, ed alla proliferazione di tanti casi come quelli che la compagna dell’AMA, che ha aperto il nostro congresso, ricordava.

La conquista del risultato del contratto di settore è la cruna dell’ago per la quale dobbiamo passare, ad iniziare da quella realtà in cui la trattativa è aperta.

Dobbiamo saper riconoscere e scegliere le priorità e quando, il tempo ed il momento per passare in quella cruna, si presenta.

Questo è il percorso che ci impegnamo ad affrontare anche nella Sanità.

Le sollecitazioni a cui il comparto pubblico e privato è sottoposto a seguito della contro riforma in corso che è operata dalla destra, ma, in alcuni suoi contenuti, ammalia anche qualche esponente della sinistra che insegue una non meglio distinguibile modernità, sta producendo una spinta formidabile alla disgregazione del sistema.

E’ per questo motivo che va introdotto come un vero e proprio antidoto un efficace fattore di unificazione e coesione nazionale.

Altro che spostamento dei pesi del contratto dal livello nazionale a quello regionale e/o aziendale come propone la conferenza Stato/regioni.

Si dice che l’ARAN non è una sede nella quale le regioni vedono adeguatamente rappresentata la loro capacità organizzativa e la loro volontà negoziale.

Non saremo noi in questo caso ad apporci.

Si trovi una sede anche fuori dell’ARAN, in cui le Regioni, ma anche i datori di lavoro privati, si sentano rappresentati, e si negozi il contratto unico di settore.

Siamo davvero curiosi di conoscere come questa sfida sarà raccolta, e quale sarà il tasso di modernità e di riformismo delle nostre controparti ad ogni livello.

La competizione tra pubblico e privato deve avvenire in questo comparto non sul costo del lavoro, ma sulla qualità e sulla capacità di garantire ai cittadini italiani il diritto costituzionale alla salute.

Ancora più urgente, se possibile, è praticare la scelta del contratto di settore nel comparto socio assistenziale ed educativo (terzo settore).

Questo comparto che rappresenta in molte realtà territoriali, dal punto di vista degli iscritti, il terzo comparto della nostra federazione si è particolarmente sviluppato per la scelta operata dagli enti locali e delle ASL di affidare all’esterno alcuni compiti precedentemente svolti dal proprio personale.

Questa scelta da noi condivisa, se e quando rappresenta un rafforzamento della rete dei servizi territoriali, si tramuta non di rado in una diminuzione qualitativa e quantitativa del servizio reso.

A volte anche dove meno ce lo si aspetta.

Il processo di esternalizzazione avviene sempre più spesso -e-, sembra senza distinzioni tra le forze politiche di diverso orientamento dei governi locali, attraverso l’affidamento con gare di appalto al massimo ribasso.

Ne consegue mortificazione salariale e dei diritti di chi lavora e una depressione dei servizi resi.

Questa realtà si accentua nel sud del paese dove, essendo molto rarefatta la rete dei servizi, prevale la scelta di affidare "tout court" al privato la gestione di tutti i servizi.

Se non ci opponiamo frontalmente a questa deriva, avremo in un breve lasso di tempo venti welfare regionali con lavoratori e servizi di serie A B e C.

In una serie A, in realtà sempre più marginale servizi erogati da enti locali e ASL con contratti di lavoro pubblici, in serie B la sanità privata con i suoi contratti confindustriali, ed in serie C il terzo settore, che non assomiglia nemmeno un po’ alla nostra idea di privato sociale, e diventerà sempre più una gigantesca compagnia delle opere, in cui si applicheranno una miriade di trattamenti economici e normativi.

E’ sufficiente in proposito rammentare il tentativo, di questi giorni, del governo di ottenere una delega per legificare sull’impresa sociale sulla base di una proposta proprio della Compagnia delle Opere.

Si tratta, concludendo questa parte, in definitiva di uscire fuori da una logica esclusivamente difensiva, rilanciando e declinando anche in forme nuove il tema della piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro.

Anche così renderemo evidente che l’unica modernità imprenditoriale che il Governo delle destre è impegnato ad inoculare nel corpo delle pubbliche amministrazioni e dei servizi, è in realtà il veleno della concentrazione di ogni potere organizzativo e decisionale nelle mani di un capo che, attraverso un sistema non dissimile da quello antichissimo del vassallaggio, dipenda direttamente dal Capo.

E’ anche così del resto che si costruisce un regime.

Siamo arrivati alla conclusione del percorso congressuale di categoria.

Continuo a pensare che sarebbe stato più utile svolgere il dibattito congressuale su un unico documento a tesi emendabili che, a mio parere, meglio avrebbe potuto cogliere i contributi emersi nel dibattito e che avrebbe permesso il dispiegarsi di una discussione più articolata, in grado di far esprimere i lavoratori e le lavoratrici anche fuori da un confronto un po’ troppo rigido.

Il pluralismo, che è una grande ricchezza della nostra organizzazione, si sarebbe comunque potuto esprimere.

Sono convinto che oggi, rispetto al passato, le divergenze siano molto inferiori sia sul terreno dell’analisi di ciò che è avvenuto, che su quello della proposta riguardo a ciò che ci aspetta.

Le valutazioni che facciamo sullo scenario internazionale, sulla guerra, sulle politiche del Governo, sul ruolo del Welfare, sui sistemi contrattuali, sulla difesa dei diritti, sulla democrazia e sulla rappresentanza sono molto simili, quando non coincidenti.

Sulle iniziative di prospettiva non si manifestano divaricazioni di rilievo.

E’ per questi motivi che avremmo potuto lavorare e discutere nella fase congressuale in modo diverso!

Il dibattito congressuale è stato comunque buono, si è svolto in un clima costruttivo e siamo riusciti a condurlo in porto in modo utile e senza tensioni.

Abbiamo avuto un livello di partecipazione elevato vicino al 40% degli iscritti.

Si tratta di un risultato molto superiore a quello raggiunto nei precedenti congressi.

Tuttavia non possiamo considerarci soddisfatti.

Non è possibile assistere nello stesso posto di lavoro, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, al nostro congresso e dalle elezioni delle RSU con livelli di partecipazione in qualche caso davvero molto dissimili.

Se è stato giusto rivendicare e d ottenere una legge sulla rappresentanza in base alla quale le RSU per essere valide devono essere votate dal 50% più 1 degli aventi diritto non possiamo rassegnarci a congressi validi con qualsiasi livello di partecipazione.

Mi domando se possiamo continuare a permetterci di non definire una soglia di partecipazione – da definire anche con gradualità – al di sotto della quale i congressi non possono essere ritenuti validi.

Nei congressi di base i nostri iscritti hanno con forza richiesto maggiori informazioni, riguardo certamente ai temi del congresso, ma anche sull’attività quotidiana della nostra organizzazione.

Credo sia ineludulibile e non rinviabile affrontare questa questione in modo serio per rispondere a questa leggittima esigenza.

Il congresso ritengo debba dare mandato al nuovo gruppo dirigente che sarà eletto di dotare la Categoria di uno strumento che, rivedendo l’attuale situazione largamente disomogenea, metta a disposizione degli iscritti e dei nostri delegati dei posti di lavoro un livello di informazione efficace, capillare adeguato.

361.683, questo è il dato di chiusura del tesseramento del 2001, 1.515 in più rispetto al 2000.

Circa 30 mila nuovi iscritti, tra di loro molte donne, tanti giovani, lavoratori e lavoratrici di settori non tradizionali per la nostra categoria, e tanti lavoratori precari.

Siamo ben lontani da quelle caricature che dipingono la CGIL come un sindacato di lavoratori anziani ed ipergarantiti.

Siamo un sindacato di donne e di uomini che hanno un comune denominatore: affermare, difendere, estendere i diritti.

E’ un risultato davvero notevole raggiungere e superare il 100% del tesseramento.

Non era un risultato scontato, se consideriamo la cessione degli ATA al sindacato Scuola.

A questo proposito è utile dire che abbiamo subito questo travaso di iscritti per ottemperare a dettami legislativi, che per altro non abbiamo condiviso.

Non si può contemporaneamente rivendicare il decentramento agli enti locali ed al tempo stesso aderire a processi di centralizzazione.

La contraddizione è evidente!

Esiste un problema di chiarezza dell’orientamento politico e da qui verosimilmente discende l’esigenza avanzata in molti nostri congressi regionali di ragionare e ridiscutere il nostro rapporto con la Federazione Formazione e Ricerca.

Se consideriamo che la fase dei congressi di base ha coinciso con la campagna elettorale per la rielezione delle RSU e con la vertenza contrattuale possiamo dire che – permettetemi la battuta – abbiamo un fisico bestiale per resistere contemporaneamente a questi livelli di stress!

Voglio ringraziare tutto il gruppo dirigente per il lavoro fatto.

Voglio dirvi che, a partire dai nostri delegati sui posti di lavoro, passando per i dirigenti territoriali e regionali, per arrivare ai compagni ed alle compagne del centro nazionale, abbiamo fatto un buon lavoro.

Tutti insieme abbiamo dimostrato di essere una grande categoria ed una bella squadra.

Sono certo che nel lavoro impegnativo che abbiamo da portare avanti nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, continueremo a spenderci al meglio, con la determinazione e l’entusiasmo necessari.

 

Care compagne, cari compagni, gentili ospiti ed invitati

Il nostro settimo Congresso si svolge nel vivo dello scontro sociale nel nostro Paese ed in uno scenario internazionale drammatico ed inquietante.

Da qualche anno si è affermata ed estesa una lettura dei processi di globalizzazione con forti venature ideologiche.

La logica della competitività del mercato viene assunta come unico principio regolatore, ineludibile e buona in sé, in grado di produrre nuova ricchezza e nuove opportunità.

Questo assunto mistificatorio purtroppo ha fatto breccia anche in alcuni settori della sinistra – e credo sia una delle cause del distacco crescente tra una larga platea di giovani ed i partiti della sinistra – mentre invece è evidente che l’economia di mercato da sola, ha prodotto un ulteriore aumento delle disuguaglianze tra il Nord ed il Sud del mondo.

Assumere il mercato come "faro, luce e guida" e lasciare che ristrettissimi organismi trans-nazionali decidano ciò che si deve fare o non fare, arrogandosi il diritto di determinare il destino di tutti, costituisce una rottura sul terreno del governo politico e democratico del processo di globalizzazione.

Una frattura tra mercato e democrazia.

Lo dimostra, da ultimo, ciò che sta avvenendo in Argentina, dove, dopo aver applicato alla lettera liberalizzazioni, privatizzazioni ed i dettami suggeriti, ed in larga misura imposti, da organismi come la Banca Mondiale, il WTO e il fondo monetario internazionale, si ritrovano con il Paese alla bancarotta, in una crisi economica e politica senza precedenti, con il popolo alla fame ed in rivolta.

Un’alternativa a questa globalizzazione è possibile, così come è possibile un mondo migliore.

Si deve uscire "dal pensiero unico" e anche attraverso una battaglia culturale, bisogna essere capaci di costruire proposte alternative e credibili che puntino a globalizzare i diritti delle persone, a partire dai più deboli.

Anche perché non è più accettabile che una piccola parte del mondo consumi gran parte delle risorse ed impedisca lo sviluppo di tanta parte degli abitanti del nostro pianeta.

Lo dobbiamo saper dire in modo forte e chiaro: questo mondo così com’è non funziona.

E che non funzioni lo dimostrano i conflitti aperti sullo scacchiere mondiale.

La scelta di aprire stamattina i lavori con una sessione straordinaria dedicata ai temi della pace e contro il terrorismo, deriva dal bisogno che sentiamo, forte ed urgente, di fare tutto quello che è possibile per fermare guerre, massacri ed ingiustizie.

Tutto il nostro percorso congressuale è stato segnato dall’attentato alle torri gemelle da quella immane tragedia che molti di noi hanno visto in diretta, che ha sbalordito ed annichilito tutti, e dalla guerra che ne è seguita.

Lo slogan della marcia per la pace Perugia-Assisi "Il terrorismo è il nemico da battere, la guerra la tragedia da evitare" purtroppo non si è realizzato ed è scoppiata questa guerra anomala, non dichiarata ma in tutto e per tutto uguale ad ogni guerra, con il suo carico di distruzione e di morti innocenti, incolpevoli ed inermi, ma lontano dalla diretta TV.

Il Presidente degli Stati Uniti ha più volte affermato "Difendersi dal terrorismo è un diritto", cosa assolutamente condivisibile, se ne fosse conseguita un’operazione di polizia internazionale con l’obiettivo di arrestare e mettere in condizioni di non nuocere i responsabili di quello che si può considerare l’attentato più atroce della storia per il suo carico di morte, per il suo valore simbolico, per l’idea inumana che alligna in chi lo ha concepito.

Ma tutto questo cosa c’entra con i bombardamenti su un intero Paese?

Alcuni parlano di scontro tra civiltà e barbarie, già dimentichi di cosa la nostra civiltà occidentale ha saputo ideare, organizzare e mettere in atto nel secolo appena trascorso: l’annientamento di 13 milioni di persone nei lager nazisti!

Probabilmente e più realisticamente, dietro alle affermazioni di Bush si cela l’idea di essere i padroni del mondo

Temo che siano scesi in campo interessi fortissimi e complessi che attengono al controllo di risorse strategiche fondamentali – che si trovano in grande quantità in quell’aerea del mondo – ed alla costruzione di un’ alleanza larghissima e inedita, che comprende anche la Russia e la Cina, e che si persegua anche per questa via l’obiettivo di incrementare le ricchezze del Nord del mondo, accentuando ulteriormente le distanze dai paesi poveri.

Questo è esattamente il contrario di ciò che si dovrebbe fare.

Non possiamo più assistere in silenzio a ciò che accade in Palestina: un terrorista nemico della ANP compie un attentato, che noi condanniamo duramente, ma l’incolpevole popolo palestinese subisce rappresaglie che comportano persino la distruzione con le ruspe di abitazioni civili.

Il terrorismo si può battere e prevenire, impedendo che attecchisca in vasti strati dei popoli poveri del mondo, se si ferma la guerra dove c’è, se si innesca un robusto processo di redistribuzione delle risorse.

Senza un cambiamento di ruoli e, potere degli organismi internazionali, senza un estensione della democrazia e dei diritti, senza uno sviluppo economico e sociale per i miliardi di persone che vivono la condizione di esclusione, non c’è pace e sicurezza per nessuno sulla terra.

Queste ragioni dovrebbero obbligare non solo la CGIL, ma tutta la sinistra sociale e politica ad una maggiore attenzione nei confronti del cosiddetto "movimento no global". Si tratta, come è noto, di una realtà inedita e complessa, di un "movimento di movimenti" - come è stato detto - di centinaia di organizzazioni, solo in Italia. Ferma restando, per noi, la pregiudiziale irrinunciabile contro ogni concezione e pratica violenta delle forme di lotta – che coinvolge, però, una ristretta minoranza di quell’universo – sono convinto che con l’insieme di questo movimento è bene non solo dialogare, ma realizzare iniziative comuni.

Quel movimento ha bisogno di interlocutori sociali rappresentativi del mondo del lavoro e di riferimenti politici che oggi non ha, così come noi abbiamo bisogno di metterci alla prova in un orizzonte di valori, di temi e di soggetti emergenti, a livello planetario.

Così come anche noi sentiamo il bisogno di una più certa rappresentanza dei valori, dei bisogni e dei soggetti del lavoro nella sfera della politica.

Per parte nostra un terreno concreto e, nello stesso tempo, fortemente simbolico della nostra iniziativa, sarà costituito dalla partecipazione che abbiamo assicurato – insieme con la segreteria confederale della CGIL, alla campagna "Tassa Tobin subito", a sostegno della proposta di Legge d’iniziativa popolare promossa da "ATTAC Italia".

Una campagna importante per l’obiettivo grande che la caratterizza – la tassazione delle transazioni valutarie speculative, allo scopo di costituire un fondo di dimensioni inedite per la gestione di programmi finalizzati alla cooperazione e allo sviluppo – e per l’insieme, largo e rappresentativo, delle forze dei soggetti che, in tutto il mondo,stanno ormai orientandosi verso tale prospettiva: un primo, semplice ma efficace strumento di regolazione politica e sociale dei mercati.

Non potevamo sottrarci e pensiamo non debbano sottrarsi le nostre strutture regionali e territoriali e che debbano impegnarsi le nostre elette e i nostri eletti nelle RSU, perché nei luoghi di lavoro nelle città, la raccolta della firme a sostegno della proposta .- che sarà lanciata a Roma fra due giorni e si concluderà il 19 luglio – possa giovarsi dell’apporto non solo dei dirigenti sindacali e dei nostri iscritti, ma più in generale del contributo che le lavoratrici e i lavoratori pubblici potranno dare, anche agevolando – grazie allo loro specifica funzione – la necessaria validazione delle firme.

Credo dunque che la CGIL farebbe bene ad allargare ulteriormente la gamma delle proprie iniziative anche per incoraggiare e sostenere insieme le posizioni più costruttive e lungimiranti presenti in quel movimento.

D' altra parte, come è stato detto, è una delle poche volte in cui siamo di fronte ad un movimento che non chiede niente per sé. Chiede "semplicemente" cose per il mondo, per un mondo migliore.

Il Congresso della Funzione pubblica è uno dei luoghi dove rilanciare la strada del dialogo e del confronto.

La tavola rotonda prevista per domani, organizzata da Quale Stato, è una di queste sedi.

D’altra parte, si può fare un dibattito e non essere d'accordo.

Ma in ogni caso ci si arricchisce e, magari, le distanze diminuiscono grazie alla discussione.

E, poi, insisto su un punto: noi stessi abbiamo bisogno di questo confronto. Noi stessi, in rapporto ai valori ed agli interessi che rappresentiamo. Sulle questioni del lavoro ho ascoltato con interesse, ad esempio, l' intervento di Vittorio Agnoletto a Genova, in occasione dell'Assemblea sindacale unitaria che si svolse lì, alla fine di luglio, prima del G8 e di quegli eventi drammatici in cui perse la vita Carlo Giuliani.

Voglio ringraziare il nostro compagno Giuliano Giuliani, padre di Carlo, di essere con noi oggi.

Le posizioni di Agnoletto non sono tanto diverse da quelle che hanno sostenuto, in quella sede, i tre segretari generali delle confederazioni italiane, ma anche John Sweeney, Presidente dell’AFL-CIO, il sindacato americano.

Analogamente, sarebbe un errore non avere un rapporto con il movimento degli studenti che è in campo.

La storia dovrebbe insegnarci qualcosa.

Ricordo bene che anche nel ' 68, in una prima fase, non riuscivamo neppure a confrontarci con gli studenti, ma alla fine ci incontrammo e, insieme, ci trovammo anche con una parte del sistema politico, quando anche la sinistra politica intuì che non poteva ritenersi autosufficiente, perché aveva bisogno di capire e, in particolare, di capire le ragioni dell’incontro che andava delineandosi fra "studenti e operai", come si diceva.

Quell’incontro , pur con la dialettica inevitabile, ebbe nell’insieme le caratteristiche di una svolta anche nella storia civile e del costume del nostro Paese, e, nel complesso, aprì la strada ad una grande stagione di avanzata dei diritti del lavoro e di cittadinanza.

Affermare che oggi la situazione è del tutto diversa sarebbe un’ovvietà.

Per non dire di tutto il resto, penso alla crisi dell’unità sindacale: una situazione opposta a quella, fortemente unitaria, che caratterizzò allora CGIL CISL e UIL. Ebbene, a maggiore ragione noi dobbiamo operare perché il recupero dell’azione unitaria possa essere aiutato da una capacità di confronto entro un orizzonte più largo, per i temi ed i soggetti che è in grado di coinvolgere. Mai come oggi, dinanzi alla dimensione planetaria delle contraddizioni ed al rischio di "militarizzazione" dei conflitti, la supponenza di chi si sentisse autosufficiente può essere fatale alle cause comuni che dobbiamo e possiamo condividere.

E la sinistra politica è divisa anche su questo: o troppo distante o troppo "interna", con il rischio, appunto, di un vuoto nella capacità di aprire spazi politici fatti di risposte concrete e di autonoma capacità di rinnovamento culturale e strategico. Anche per questa ragione si accresce la responsabilità nostra ed assume un significato particolarmente importante quanto di nuovo noi e il Congresso della CGIL riusciremo a determinare anche in questa direzione.

La scelta innovativa compiuta nelle tesi di declinare in forma nuova il concetto dell’autonomia in un quadro politico ormai bipolare va assunta e portata alle conseguenze.

Nel Congresso Confederale sarò tra quelli che chiederanno che sia confermato : la scelta di considerare la CGIL parte organica della sinistra italiana.

La CGIL dovrà essere in grado di avanzare proposte nella costruzione dei programmi sulla base di una propria autonoma capacità di elaborazione.

L’atteggiamento ed i comportamenti che saranno assunti nei confronti di governi di centro sinistra nazionali e locali saranno direttamente corredati al grado di accoglimento delle nostre proposte a partire da quelle sui temi del lavoro.

Ciò che ci separa invece geneticamente dai governi di centro destra è la loro idea di società, i valori posti a base dei loro programmi e, ormai, dei loro atti di governo.

Molti Congressi della nostra categoria e numerosi congressi Confederali Territoriali e Regionali si sono conclusi unitariamente.

A questo obiettvo dovremmo dedicare una parte importante del nostro lavoro di questi giorni.

La conclusione unitaria di molti Congressi Confederali e di Categoria e il viatico migliore che ci si può augurare per il Congresso di Rimini.

Penso ci siano le condizioni, che anche noi dobbiamo contribuire a determinare, perchè il Congresso della CGIL si chiuda con un livello di sintesi più elevato di quello con il quale si è aperto.

Ce lo chiedono le iscritte e gli iscritti, ce lo impone la fase ed il livello dello scontro (*..........) .

 

Care compagne e cari compagni,

quando penso al nostro Paese e, per quel che attiene le nostre responsabilità, al lavoro pubblico provo una sensazione fatta di un misto di rabbia e di tristezza per le condizioni nelle quali vorrebbero ridurci.

Poi, penso alla storia della nostra organizzazione, a come nel passato quelli che ci hanno preceduto, hanno saputo battersi e vincere consegnandoci un Paese civile, nel quale i diritti del lavoro e di cittadinanza sono parte ineliminabile della costituzione materiale.

Noi dovremo fare lo stesso : difenderemo i diritti di chi già li ha e li conquisteremo per chi ancora non ne ha.

E’ una grande prova quella che attende tutto il nostro gruppo dirigente.

Sapremo essere all’altezza di questa prova!