Assemblea Nazionale

Una professione
per la sanità pubblica

Relazione introduttiva di Massimo Cozza, Segretario nazionale FP CGIL Medici

Roma, 24 novembre 2003

Mentre preparavo la relazione ho cercato una, ma dico una, dichiarazione del nostro Governo, nella quale si ringraziassero i medici italiani volontari impegnati nelle zone di guerra, e tra questi anche medici della Cgil.

E’ un fatto inammissibile che medici ed operatori sanitari rischiano la vita per salvare vite umane colpite dalla guerra e dal terrorismo, senza che il Presidente del Consiglio Berlusconi, il Ministro degli Esteri Frattini e lo stesso Ministro della Salute Sirchia esprimano un formale apprezzamento.

Persone come Gino Strada, presente al nostro recente congresso della Funzione Pubblica, sembrano invisibili nelle dichiarazioni di riconoscenza di chi ci governa, ma non certo a noi.

Chiedo pertanto a questa assemblea un formale ringraziamento di sostegno ai nostri medici e a tutti gli operatori sanitari volontari che nelle zone colpite dalla barbarie umana, rischiano la propria vita per quella degli altri.

Vedete la salute per noi è un bene prezioso, e non è più tollerabile che possa dipendere da interessi internazionali, per chi crede che prima di tutto sia un diritto di tutti i popoli.

Oggi assistiamo invece all’accentuarsi del divario tra la salute dei paesi occidentali e i paesi più poveri.

Gli antibiotici che scadono negli armadietti delle nostre case potrebbero salvare milioni di bambini.

Sembra uno slogan demagogico, ma non è nient’altro che la realtà.

La questione dei brevetti è ormai nota, e la possibilità di acquistare a basso costo i farmaci necessari alla vita da parte dei paesi poveri sembra essere destinata ad essere sconfitta dalla logica del profitto.

Nei paesi dell’Africa Sub Sahariana e dell’Asia Meridionale vaccinazioni che costano pochissimo salverebbero la vita a milioni di bambini.

Eppure, nonostante le denunce, gli investimenti in questa direzione sono evanescenti.

E solo grazie ai movimenti, ai Forum, vengono contestate le politiche dei paesi maggiormente industrializzati, verso la tutela della salute delle popolazioni più povere, pesantemente condizionate dagli interessi economici delle multinazionali.

Ma anche nella nostra società l’industria della salute sembra essere il giocatore che da le carte.

L’industria della salute, composta da multinazionali farmaceutiche, case costruttrici di apparecchiature biomedicali, sistemi assicurativi, catene ospedaliere e diagnostiche private, ha come obbiettivo il profitto.

Ma per aggiungere profitto a profitto il mercato ha necessità di espandersi dove si trovano i possibili acquirenti: i cittadini della nostra società occidentale, certamente non i miliardi di persone che popolano i paesi indebitati del terzo mondo.

Nel dicembre 2001, così affermava il presidente di Farmindustria dell’epoca, Gian Pietro Leoni sul Corriereeconomia del Corriere della Sera : "Il concetto di salute non è più l’essenza di malattia ma lo star bene. Per questo la ricerca sui lifestyle drugs sta entrando in un gran numero di laboratori".

Nella stessa pagina il Corriere economia proponeva un altro interessante articolo di Maria Teresa Cometto che spiegava come le grandi case farmaceutiche hanno capito che i nati nel secondo dopo guerra sono cresciuti con il desiderio di stare bene e di perseguire la massima felicità.

Ma l’industria della salute impegna ingenti risorse e le risorse non sono infinite.

Chi può si cura sempre più seguendo il falso mito del benessere, e l’industria della salute condiziona l’investimento di sempre maggiori risorse da parte delle istituzioni, dei medici e dei singoli cittadini, senza che ciò determini un significativo miglioramento dello stato di salute della popolazione.

Pensare che ci sia una correlazione tra l’impennata della spesa sanitaria iniziata nella seconda metà del secolo e la nostra salute è storicamente errato.

Basta vedere il grafico della mortalità che dopo essersi dimezzata nella prima metà del secolo trascorso, dagli anni cinquanta in poi è diminuita molto lentamente, mentre la spesa sanitaria è schizzata all’insù. E non solo per l’innalzamento dell’età.

Di fronte a questa situazione chi crede nei principi della equità nell’accesso ai servizi sanitari, e nella universalità del sistema, si dovrebbe porre la questione di una nuova etica della salute.

Lo slogan non può più essere "tutto a tutti", che nella pratica si può tradurre con tutto a chi può pagare, ma deve essere "livelli essenziali di assistenza sanitaria e sociale a tutti".

Senza differenze di reddito, senza differenze regionali per le prestazioni essenziali, finanziate attraverso le risorse della fiscalità generale, proporzionali al reddito, con la garanzia di perequazioni regionali.

I livelli essenziali di assistenza devono essere scelti con il massimo rigore scientifico, e con il minor condizionamento possibile da parte della industria della salute.

Un tale sistema non può che essere a forte valenza pubblica.

Non dobbiamo stancarci di raccontare le iniquità ed il fallimento economico del sistema assicurativo degli Stati Uniti, dove, con la crisi economica, i cittadini senza assistenza hanno superato i 43 milioni; e dove gli ospedali, che devono rispondere alle assicurazioni, non sono più in grado di accettare nei pronto soccorso chi non è assicurato. Provare per credere.

Eppure c’è chi ancora è convinto, o strumentalmente finge di essere convinto, che il privato potrebbe gestire la sanità pubblica con vantaggio dei cittadini.

L’esperienza della Regione Lombardia, la riforma degli Istituti di ricerca e cura a carattere scientifico, il recente accordo della Regione Lazio con le case di cura neuropsichiatriche, sono alcuni tra i tanti esempi di "novità" che rischiano di erodere le basi del nostro sistema pubblico.

Così come nella Regione Toscana continua a destare forti motivi di perplessità e di preoccupazione la decisione di sperimentare le società della salute.

La FP CGIL Medici insieme a tutta la categoria della Funzione Pubblica CGIL continuerà ad opporsi ad ogni delega al privato per la gestione della sanità, convinta che mentre il privato non può che cercare in primo luogo il profitto, il pubblico può e deve cercare in primo luogo risposte ai bisogni di salute dei cittadini.

Dobbiamo anche invertire il processo di separazione tra ospedale e territorio, perché la frantumazione riduce la capacità di risposta.

Dobbiamo rilanciare una politica sanitaria di integrazione tra territorio ed ospedale, sviluppando il concetto di dipartimento non solo come strumento interno all’ospedale, ma come modello organizzativo che rende solidale i servizi territoriali con i servizi ospedalieri.

Le linee guida, fondate sui risultati di corretti trial clinici, devono essere assunte come punto di riferimento rispetto a ciò che è utile finanziare e ciò che non lo è, sia in termini diagnostici che terapeutici.

La ricerca e la formazione dovrebbero essere i pilastri sui quali ricostruire una nuova etica della salute.

Ma ad entrambe andrebbe aggiunto un aggettivo: indipendente !

Un ruolo fondamentale deve essere giocato dalla classe medica, troppo spesso anch’essa alla ricerca di fette di mercato.

Basti ricordare il recente esempio dell’approvazione da parte della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici di tutte le cosiddette medicine alternative, senza alcuna distinzione in base alle evidenze scientifiche disponibili.

L’unico requisito richiesto per poterle praticare ?

L’iscrizione all’Ordine dei medici, escludendo di fatto altri possibili prescrittori.

Il medico che noi, come FP CGIL Medici, vogliamo rappresentare, crede nel servizio sanitario pubblico, vuole aggiornarsi e portare avanti una pratica quotidiana che tenga conto delle linee guida basate sulle evidenze scientifiche e sulla propria esperienza professionale, e della persona che necessita della prestazione.

Persona e non solo corpo.

Pilastro dell’ etica della salute nella quale crediamo è la prevenzione, che non deve essere limitata o scambiata con gli screening ma deve consistere in interventi efficaci sui fattori ambientali, a partire dalla sicurezza sui luoghi di lavoro.

Investire in superspecialistiche attrezzature sanitarie serve a poco per chi lavora, se prima non pensiamo a rendere sicuri i posti di lavoro ed in primo luogo i cantieri.

Così come siamo solidali con i lavoratori e i cittadini della Basilicata, che ieri sono scesi in corteo in centomila, contro il decreto del Governo che ha individuato Scanzano Jonico, come sito per lo stoccaggio delle scorie nucleari, senza neanche la valutazione di impatto ambientale.

 

La parola prevenzione si deve coniugare con la parola programmazione. Ed entrambe con il concetto di appropriatezza.

Appropriatezza nelle scelte politiche, nelle scelte delle aziende sanitarie ed ospedaliere, e nelle scelte del medico e di tutti gli operatori sanitari.

Ma l’appropriatezza non può più prescindere dalla disponibilità di risorse sufficienti, ed oggi, come denunciato dallo stesso Ministro della Salute, il sistema è sottofinanziato ed è contemporaneamente pervaso da una deriva economicistica.

Eppure ieri Sirchia ha dichiarato al quotidiano Sole-24ore che il suo programma va avanti. Forse non si riferiva a quello di Governo.

La situazione generale nella quale ci ritroviamo non è certamente positiva.

C’è una riduzione diffusa dei consumi, della produttività e degli investimenti.

Il nostro sistema infrastrutturale è inadeguato e il sistema pubblico appare privo di capacità di programmazione e di intervento.

La Finanziaria invece di far ripartire la locomotiva Italia tende a staccare i vagoni, a partire dai servizi pubblici.

Forse il treno andrà più veloce, ma solo per pochi.

Lo slogan, non gridato ma attuato di questo Governo sembra essere "si curi chi può".

E chi non può, come milioni di cittadini, rischia di rimanere senza servizi alla persona, senza più diritti, a partire dal diritto alla salute.

A fronte del bisogno di una ripresa della capacità di crescita e delle politiche sociali di coesione, assistiamo ad un calo degli investimenti, ad una politica del Ministero dell’Economia che invece di puntare allo sviluppo antepone la politica dei condoni e dei tagli alle pensioni, tralasciando la lotta all’evasione fiscale, e smantellando nei fatti lo stato sociale, negando anche le risorse essenziali a livello degli enti locali.

E all’ingiustizia di finanziamenti mancanti si somma, per il Mezzogiorno, la penalizzazione nella ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale.

Secondo il recente rapporto CEIS della Università di Tor Vergata, la spesa sanitaria è destinata a crescere del 51% nel 2010 rispetto al 2004 e le Regioni dovranno metterci sempre più fondi di tasca propria, cioè dei cittadini.

Le politiche di tagli al servizio pubblico, nei fatti, spostano la spesa dalla fiscalità generale, correlata alla ricchezza di ciascuno, a quella privata.

Che poi un anziano abbia minori risorse per comprarsi i servizi e le medicine sembra essere un fatto marginale che interessa solo i sindacati.

E non si tratta di demagogia.

Basta leggere il recente rapporto nazionale messo a punto dall’Osservatorio sull’impiego dei medicinali della Direzione farmaci del Ministero della Salute:

nel primo semestre 2003 la spesa netta a carico del SSN è diminuita del 9,3 % rispetto agli stessi mesi del 2002, ma i cittadini hanno speso il 16,4% in più per le cure, solo in qualche caso rimborsate dal servizio pubblico.

Non c’è bisogno di nuove leggi per superare il decreto legislativo 229 del 1999, basta tagliare i fondi e il personale. I medici e gli infermieri non vengono sostituiti, gli ospedali non vengono ammodernati, il territorio sembra dimenticato.

Proliferano i contratti di lavoro atipici dei medici a tempo determinato, nella finanziaria vengono definiti a progetto senza regolamentazione, creando nelle aziende medici di serie A, sempre di meno, e medici di serie B, sempre di più.

Il finanziamento per il rinnovo contrattuale, della dirigenza dei medici e dei veterinari per il biennio 2002-2003 è sottostimato, meno della metà di quanto dovuto, per non parlare delle risorse evanescenti per il 2° biennio economico 2004-2005.

Sempre nella finanziaria la giusta richiesta dello stanziamento dei fondi per i contratti per gli specializzandi, non riceve le risposte attese, e 25mila specializzandi saranno costretti a lavorare in condizioni non più accettabili in un paese europeo, con un trattamento economico fermo agli anni 90 ed uno status giuridico che ignora i diritti più basilari.

Per loro chiediamo il finanziamento del decreto legislativo 368/99, che ne assicuri un livello economico dignitoso, ed il pieno riconoscimento dei diritti fondamentali quali la tutela della maternità e della malattia, contributi previdenziali, assicurazione infortuni e contro terzi, fino ad oggi negati.

Il Ministro dell’Economia continua ad essere nei fatti il controllore dell’appropriatezza delle prescrizioni mediche, confermando che per chi governa per appropriatezza si intende risparmio, e non risposta adeguata ai bisogni di salute dei cittadini.

E non vorrei che anche l’annunciata introduzione della tessera del cittadino, finalizzata contro gli sprechi e gli imbrogli, diventi un’altra arma impropria nelle mani del Ministro dell’Economia.

Così come nella figura del direttore generale troppo spesso prevale la componente manageriale-economicistica, senza alcun reale controllo da parte delle comunità locali e senza alcun reale coinvolgimento delle professionalità sanitarie.

Eppure il Ministro della Salute, continua ad esternare contro la deriva economicistica, come se non fosse membro di questo Governo.

Ad esempio vorremmo capire qual’è la ratio che ha portato il Ministro della Salute a predisporre, al termine dell’estate, una indagine sui decessi degli anziani per il caldo da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, che è terminata con il risultato di certificarne nell’estate scorsa ben 7.659 in più rispetto al 2002.

Una catastrofe umana, che ha colpito duramente il Nord Ovest e le grandi città, determinata anche dalle condizioni di solitudine e di abbandono, e soprattutto dalla inadeguatezza della rete di assistenza pubblica.

Ebbene, a conclusione dell’indagine, visto che intanto l’estate è passata e le priorità sono altre, succede che, paradossalmente, nella finanziaria i fondi socio- sanitari sono stati tagliati, e il fondo della non autosufficienza non è stato neanche finanziato.

Eppure ci siamo tutti indignati e forse commossi in estate, e lo stesso Ministro della Salute, che aveva polemizzato anche con Comuni e Regioni, sembra essersi dimenticato di quanto accaduto.

Noi non dimentichiamo, e continuiamo a rivendicare una politica sanitaria basata sulla prevenzione, sulla programmazione e sull’appropriatezza.

Per queste ragioni crediamo nella valorizzazione anche della medicina veterinaria, in particolare nell’ambito della prevenzione.

Non credo sia necessario ricordarne qui il ruolo e l’importanza, sia nelle attività di sanità animale che in quelle di sanità pubblica.

Il risalto che gli episodi della BSE, della cosiddetta mucca pazza, della Lingua Blu, e da ultimo – è di questi giorni- dell’aflatossina nel latte, ne sono una testimonianza evidente.

Eppure, nonostante il riconosciuto ruolo strategico nelle attività di prevenzione, anche la veterinaria è sottoposta ad un drastico ridimensionamento di risorse ed organici, che ne impedisce, di fatto, ogni efficacia di azione.

Alla luce della importanza che ormai anche la politica della Unione Europea assegna alla sicurezza alimentare, ci batteremo affinché trovi finalmente definitiva e compiuta realizzazione, il disegno di una forte attività di prevenzione in questo campo.

Non vogliamo una sanità pubblica in declino, vogliamo una sanità pubblica con risorse adeguate e non frammentata a livello locale.

Vedete, il nuovo titolo V della Costituzione non delega la legislazione sanitaria in toto alle Regioni, ma usa il termine di legislazione concorrente, dove i principi fondamentali sono di competenza nazionale, e l’organizzazione è regionale.

Ebbene sia chiaro a tutti che i livelli essenziali di assistenza sono un principio fondamentale nazionale e devono essere garantiti a tutti i cittadini al di là della regione nella quale vivono.

E sia chiaro a tutti, che l’esclusività del rapporto di lavoro è anch’essa un principio fondamentale nazionale, che non permetteremo che venga toccato al livello regionale.

E quando dico a tutti, mi riferisco sia alle regioni governate dal Centro Destra, sia alle Regioni governate dal Centro Sinistra.

Quando di fronte all’assessore della Regione Lazio Verzaschi, che propone una legge regionale per introdurre la reversibilità, l’assessore alla Sanità della Regione Emilia Romagna Bissoni, afferma che farà l’opposto, legiferando a salvaguardia dell’attuale rapporto di lavoro di dirigenza medica, noi diciamo due volte no.

E proprio per la questione della esclusività, non abbiamo firmato il documento delle altre organizzazioni mediche, in quanto contiene la proposta della libera scelta individuale in merito alla reversibilità.

Se passasse questa proposta andrebbe in frantumi la conquista etica ed economica della esclusività di rapporto, nata da uno stretto legame tra decreto legislativo 229 e contratto.

La richiesta di un superamento di alcune "rigidità" legislative e contrattuali, di cui tanto si parla, non può e non deve rappresentare il grimaldello per far saltare l’intero impianto su cui si regge l’esclusività di rapporto.

Per queste ragioni abbiamo scelto di manifestare oggi per la sanità pubblica e per il rinnovo del contratto della dirigenza medica.

A fronte del Ministro Sirchia che anche ieri ha continuato a denigrare il Dlgs 229, definendo l’irreversibilità del rapporto di lavoro dei medici "una stupida cosa", noi oggi riaffermiamo con forza che l’esclusività è un principio fondamentale del nostro ordinamento nazionale.

E sia ben chiaro, cari assessori regionali, che anche la competenza del contratto nazionale non si tocca, a partire dalle modalità di applicazione del principio dell’esclusività, così come le regole attuative della medicina generale sul territorio, che vanno definite a livello nazionale.

Su questo punto di difesa della contrattazione nazionale senza cedere alle lusinghe regionali, al di là del merito delle proposte, penso che potremo e dovremo trovare una unità di intenti, con le altre organizzazioni sindacali mediche, sia della dipendenza che dell’area delle convenzioni.

La FP CGIL Medici non solo rivendica la centralità del contratto e delle convenzioni nazionali ma nei prossimi rinnovi, si batterà affinché venga attuata, su tutto il territorio nazionale, una retribuzione più alta e garantita per tutti i medici che hanno scelto di lavorare per il Servizio Sanitario Nazionale, avendo come punto di riferimento l’inflazione reale, e non quella desiderata da chi ci governa.

Nell’area della dipendenza le inique differenze tra i fondi, le furbizie delle direzioni aziendali, le scelte arbitrarie nell’assegnazione degli incarichi, hanno creato una situazione non più sostenibile di discrepanza anche tra medici che svolgono lo stesso lavoro, tra Nord e Sud, ma anche all’interno dello stessa regione o della stessa azienda.

Con il prossimo contratto ci batteremo per modificare questo stato di cose.

Chiediamo una maggiore trasparenza nel conferimento degli incarichi, attraverso l’obbligatorietà di una atto pubblico, scritto e motivato, da cui risultino i criteri di scelta, convinti che il principio condiviso della discrezionalità, non può essere sostituito da quello dell’arbitrarietà.

Abbiamo intenzione di porre con forza l’obbiettivo di una nuova regolamentazione della libera professione intramuraria, dando il nostro contributo anche alla riduzione delle liste di attesa; problema complesso, che vede come primi attori le Regioni, le direzione aziendali e non certamente i medici, almeno quelli che noi rappresentiamo e vogliamo rappresentare.

Non possiamo però più tollerare che lo stesso medico la mattina operi in modo limitato nell’ospedale pubblico, ed il pomeriggio, in libera professione intramoenia, raddoppi il numero degli interventi in casa di cura privata.

Dalla parte del cittadino, si traduce in "se pago vengo visitato subito, se no aspetto il mio turno", che a volte arriva dopo mesi.

Non era e non è certamente questa la ratio della libera professione intramoenia, che per noi si deve tradurre nella possibilità del cittadino di poter scegliere quando e da chi farsi visitare od operare, e un più alto livello di comfort alberghiero; fermo restando per tutti i cittadini, anche non paganti, il diritto ad essere visitati ed operati nei tempi giusti, e con un livello accettabile dello stesso comfort alberghiero.

 

Per queste ragioni crediamo sia giunto il tempo di una nuova regolamentazione del sistema che sia più equo e solidale.

Proponiamo di attivare un meccanismo di verifica preventiva, in base al quale le aziende subordinano l’accesso alla libera professione intramoenia, allo svolgimento da parte dell’interessato di un volume di prestazioni istituzionale predeterminato e concordato.

Il mancato raggiungimento di tale obbiettivo prestazionale costituirebbe condizione ostativa, e non superabile, per l’attività intramoenia.

Nel prossimo contratto, oltre ad una nuova regolamentazione della libera professione, chiediamo che venga affrontata in modo esaustivo la questione della formazione, ed primo luogo della ECM, con l’obbligo per le aziende di garantire la totale copertura dei crediti formativi.

Dobbiamo anche rilanciare i meccanismi di democrazia gestionale all’interno delle aziende, nei fatti seppelliti dal potere monocratico dei direttori generali.

In quest’ottica va rilanciato il ruolo delle associazioni dei cittadini e degli utenti, che dovrebbero contribuire alla individuazione delle scelte e delle strategie aziendali.

Ci batteremo contro ogni tentativo di rimettere in discussione conquiste contrattuali acquisite e consolidate, quali la riproposizione dell’orario minimo di lavoro mascherata da flessibilità, e contro il tentativo il tentativo di limitare il meccanismo delle garanzie individuali dei dirigenti nei casi di recesso, attraverso l’abolizione del comitato dei garanti.

Ma la stagione contrattuale prevede accanto alla dipendenza, un altro fondamentale rinnovo, la convenzione di medicina generale.

Ebbene su questi temi la FP CGIL Medici intende ripartire con un forte impegno, che si vuole sostanziare con proposte innovative, e con una campagna di adesione; pur mantenendo, così come nella dipendenza, un rapporto di collaborazione con le altre organizzazioni sindacali mediche che si battono per la difesa del Servizio Sanitario Nazionale.

Vedete, la medicina convenzionata, ed in particolare il medico di famiglia, costituiscono l’altro sistema portante della sanità pubblica, al quale la CGIL non può non far riferimento nelle sue diverse componenti, medica e sanitaria a livello di Funzione Pubblica, di milioni di utenti pensionati a livello di SPI, e di milioni di lavoratori a livello di Confederazione.

Noi pensiamo che l’altro sistema dovrà diventare lo stesso, attraverso un processo di integrazione e di sinergie che deve diventare realtà.

L’obiettivo di integrazione tra territorio ed ospedale non può infatti prescindere dal ruolo della medicina convenzionata, ordinatore di governo clinico prima che di spesa.

Il principio sul quale le nostre proposte complessive sulla medicina generica ruotano, non può che essere la presa in carico della salute dei cittadini, in modo appropriato e continuo.

I cittadini, 24 ore su 24, devono potersi rivolgere a presidi territoriali di primo livello, dove sia conosciuta la loro storia di salute, e dove, pertanto, possono ricevere risposte appropriate.

Questo sistema garantirebbe risposte più efficaci ed efficienti per i bisogni di salute, senza inutili se non dannose ripetizioni di analisi, e soprattutto senza ricoveri impropri, e senza abbandono.

Dall’altro lato determinerebbe una nuova valorizzazione della professione del medico di famiglia, troppo spesso vissuta come centro di smistamento e ripiego, ed affermerebbe un nuovo ruolo per i medici di guardia.

La nostra proposta nasce dalla scelta del distretto sanitario come rete di servizi nell’ambito della quale il medico di famiglia costituisce lo snodo principale.

Il distretto sanitario andrà visto come la sede di integrazione e di coordinamento di tutte le attività riguardanti la tutela della salute, partendo dalla prevenzione, passando attraverso la cura e la riabilitazione.

L’organizzazione distrettuale sarà il mezzo, attraverso il quale, si potrà risolvere uno dei problemi storici dell’assistenza primaria in Italia, e cioè quello del relativo isolamento in cui oggi si trova ad operare, ancora un numero troppo alto di medici di medicina generale.

Dovranno essere incentivate la diffusione dell’associazionismo, e la creazione di centri polifunzionali strutturati "ad hoc", che potremmo definire "centri distrettuali per la medicina generale", per consentire, ad esempio, non solo attività diagnostiche, ma anche terapeutiche di primo livello.

Non è invece più accettabile che il medico di famiglia con 1500 scelte, abbia a disposizione per assistito, meno di due minuti a settimana.

Va realizzata la massima integrazione possibile tra assistenza primaria, continuità assistenziale e medicina d’emergenza, allo scopo di evitare l’attuale drammatico fenomeno dell’improprio ricorso al pronto soccorso per patologie banali con aggravio esponenziale della spesa sanitaria.

In questa ottica chiediamo che nell’ambito del rinnovo della convenzione, siano previsti tempi certi e reali per il passaggio alla dipendenza dei medici dell’emergenza-118 e della medicina dei servizi, per la realizzazione di un compiuto modello integrato territorio-ospedale di emergenza sanitaria.

La valorizzazione dell’esclusività, l’innalzamento della quota retributiva minima, il rilancio della professionalità dl medico di famiglia, una nuova organizzazione ed un nuovo investimento sul territorio, richiedono risorse da parte delle istituzioni.

Il precedente Governo avrebbe mortificato i medici, eppure il contratto e le convenzioni sono stati firmati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, e mi sembra che vi sia stata anche una consistente soddisfazione economica, oltre al valore etico di sanità pubblica della scelta esclusività, ormai fatta da quasi totalità dei medici dipendenti.


Il nuovo Governo avrebbe dovuto restituire la dignità ai medici.

Mi sembra che ad oggi sia riuscito solo a far scendere in piazza, il 15 aprile scorso a Roma, con una riuscitissima catena umana, migliaia di medici dipendenti e convenzionati, per difendere il servizio sanitario nazionale e contro la criminalizzazione della categoria.

Oggi noi siamo nuovamente qui a manifestare, e gli altri sindacati medici hanno già annunciato una manifestazione per dicembre, mentre i sindacati del comparto sanità sciopereranno il 28 novembre, per il mancato rinnovo del contratto, con la nostra piena solidarietà.

Sabato sei dicembre scenderemo in piazza a Roma per una grande manifestazione unitaria di lotta contro la riforma delle pensioni del Governo Berlusconi, che colpisce duramente anche i medici, insieme a tutti i lavoratori italiani.

 

Anche il rinnovo della Convenzione di medicina generale è scaduto da diversi anni e solo in questi giorni è partita la trattativa.

La SISAC, l’agenzia che conduce le trattative, sembra essere partita con il passo giusto, ma il percorso che si presenta è accidentato, e soprattutto privo di risorse.

Metà legislatura è passata senza alcun atto significativo per i medici.

Questo Governo, con il concorso delle Regioni, non è stato neppure in grado di chiudere le code contrattuali della dipendenza, che risalgono al contratto nazionale 1998-2001.

Per non parlare della situazione tragica dei rinnovi contrattuali della dirigenza medica, per i quali fino ad oggi siamo stati invisibili agli occhi del Governo e delle Regioni, e che tra un mese e mezzo sono già scaduti, senza essere stati neanche firmati.

Questa, al di là delle continue esternazioni, è la vera considerazione che questo Ministro della Salute e questo Governo hanno avuto fino ad oggi dei medici.

 

In conclusione consentitemi alcune considerazioni sulla nostra organizzazione.

Diciotto anni fa, il 17 aprile 1985, in questa stessa sala, i medici della Funzione Pubblica CGIL erano riuniti insieme al segretario generale della CGIL Luciano Lama, per la costituzione del coordinamento medici.

In quella occasione, il compagno Lama, disse che era stato gettato il seme di una nuova organizzazione dei medici.

Diciotto anni fa abbiamo fondato il coordinamento medici con alcune centinaia di iscritti, oggi nasce la nuova organizzazione della FP CGIL Medici, in costante crescita e con migliaia di iscritti, oltre settemila tra dipendenti e convenzionati.

Il successo del nostro percorso è dovuto all’impegno di tanti medici, a chi ha creduto ed oggi crede che la CGIL possa rappresentare anche nuove figure professionali, alla Funzione Pubblica che ha promosso la nostra nuova organizzazione che oggi nasce, strutturata, a livello aziendale, territoriale, regionale e nazionale, con un suo specifico regolamento attuativo.

Con una chiara scelta di rimanere all’interno della categoria della Funzione Pubblica, convinti che la confederalità è un valore, che passa attraverso la comunanza e l’integrazione tra i lavoratori, al di là delle diverse professionalità.

E questo è ancor più vero nella sanità, dove il medico, solo lavorando insieme alle altre figure professionali, ed in primo luogo, all’infermiere, può rispondere in modo adeguato ai bisogni di salute.

 

 

 

Vogliamo anche rilanciare una nuova frontiera culturale, convinti che i medici che rappresentiamo non siano interessati esclusivamente alle questioni strettamente contrattuali, ma vogliono discutere, confrontarsi ed intervenire anche su tematiche di grande rilevanza, come la sicurezza sui luoghi di lavoro, l’organizzazione dei servizi sanitari, l’ambiente, l’alimentazione, la bioetica, il mobbing, la salute mentale, la tossicodipendenza, le questioni legate all’ordine dei medici e tante altre.

Perché riteniamo che il valore confederale può e deve essere portato avanti solo allargando il nostro orizzonte. E se così non fosse probabilmente non saremmo iscritti alla FP CGIL Medici.

 

Per portare avanti le nostre idee, insieme a tutto il mondo della sanità, la Fp Cgil vuol fare la scelta di uno strumento di approfondimento, di conoscenza e di informazione, che affronti sia le questioni contrattuali, sia le questioni legate alla sanità ed al welfare.

Abbiamo pertanto chiesto ad una gloriosa e storica testata, "Medicina Democratica", fondata nel 1976 da Giulio Maccacaro, di portare avanti, insieme a noi, questo progetto.

E oggi, vi posso annunciare che da gennaio 2004 Medicina Democratica diventa la rivista di riferimento della FP CGIL Medici e della FP CGIL Sanità.

Invito pertanto tutti i medici e gli operatori sanitari iscritti alla Funzione Pubblica CGIL ad abbonarsi e a promuovere abbonamenti, fin da oggi.

 

Prima di concludere, permettetemi di ricordare alcune persone che hanno consentito il nostro percorso.

Norberto Cau, primo responsabile dei medici della CGIL insieme al quale abbiamo costruito le fondamenta della nostra casa.

Mimmo Colimberti, successore di Cau e che, venuto a Roma fin dalla Sicilia, ha garantito una difficile fase di transizione.

Roberto Polillo, che negli ultimi anni ha infuso un nuovo slancio a noi tutti ed ha consentito una crescita sia interna che esterna della nostra organizzazione.

Oggi Roberto ricopre un ruolo di grande rilevanza in CGIL, come responsabile delle politiche per la salute, e rimane uno dei nostri iscritti, così come lo è il segretario generale dello SPI Betty Leone.

Lama, Pizzinato, Trentin, Cofferati, in confederazione, insieme a Giunti, Grandi, Schettino e Nerozzi in categoria hanno creduto in noi.

Guglielmo Epifani ci ha sempre seguito ed incoraggiato da diversi anni e la sua vicinanza a noi è testimoniata dalla sua presenza qui.

Ed oggi possiamo ripartire con una nuova organizzazione della FP CGIL Medici, grazie in particolare alla determinata volontà del segretario generale della Funzione Pubblica CGIL Laimer Armuzzi.

E non è un caso che dopo diciotto anni ai vertici nazionali della FP CGIL Medici, come viceresponsabile, segretario aggiunto e presidente, solo oggi ho accettato l’incarico di segretario nazionale.

La FP CGIL Medici è stata parte della mia vita, ed oggi sono qui con voi, eletto questa mattina segretario nazionale, orgoglioso di esserci e con la speranza di essere all’altezza del compito che ci aspetta.

Noi non vogliamo rappresentare tutti i medici, le nostre scelte sono chiare e nette.

Noi vogliamo rappresentare i medici ed i veterinari delle aziende ospedaliere e sanitarie che hanno scelto l’esclusività, e che la vogliono difendere, come valore non solo economico, e i medici di medicina generale, che credono nel valore della sanità pubblica, e che per questa funzione chiedono di essere adeguatamente retribuiti.

Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il 7 maggio 2003 a Palazzo Chigi, nell’unico incontro che abbiamo avuto con il Governo, perché gli altri promessi li stiamo ancora aspettando, ha definito la posizione della FP CGIL Medici, una dissonanza.

Ebbene noi siamo orgogliosi della nostra dissonanza, su questa stiamo costruendo una forte organizzazione medica, nella Funzione Pubblica e con la CGIL.

Questo non significa una strategia di rafforzamento nell’isolamento, ma siamo stati, e da oggi lo saremo sempre di più, impegnati a costruire percorsi comuni con le altre organizzazioni mediche, sia sui tavoli contrattuali che nelle politiche sindacali, attraverso scelte chiare, e reciproco rispetto per le idee e la storia di ciascuno.

Penso che le nostre potenzialità sono più grandi di quello che fino ad oggi abbiamo realizzato, soprattutto in termini di adesioni.

Sono infatti convinto che i medici che condividono i nostri obbiettivi, sono molto più numerosi rispetto ai nostri attuali iscritti.

Dobbiamo dunque riuscire ad arrivare a questi medici, potenziando i nostri canali di comunicazione, a partire dal porta a porta negli studi dei medici di famiglia, e nelle corsie degli ospedali, negli ambulatori e nei territori.

 

In conclusione la FP CGIL Medici è qui oggi a manifestare per una sanità che veda garantiti i livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale, e nella quale i medici siano motivati, attraverso la valorizzazione delle professionalità, il riconoscimento del loro ruolo, il coinvolgimento nelle scelte, e da adeguate politiche retributive.

I principi di universalità, di solidarietà, di responsabilità, in un quadro di livelli essenziali ed uniformi dei diritti sociali e sanitari, rappresentano il punto di riferimento della nostra azione.

Abbiamo obbiettivi e scelte chiare, e continueremo batterci ed a lottare, per una valorizzazione della nostra professione, per la sanità pubblica.