CORRIERE DELLA SERA DEL 25 NOVEMBRE 2005

MESSINA La città (malata) dei medici-candidati di GIAN ANTONIO STELLA
 

MESSINA - Se la politica è malaticcia ovunque, a Messina rischia di tirar le cuoia per le troppe flebo: nelle liste per le comunali di domenica ci sono almeno 111 medici. O almeno fino a lì è arrivato a contarli, a uno a uno, lista per lista, il vostro cronista. Poi ha dovuto chiudere (scusate: 1.755 candidati in 41 liste più un famelico esercito di aspiranti consiglieri circoscrizionali sono troppi...) per non essere ricoverato.
Si vede che se ne vantano, di come funziona la sanità cittadina. Si vede che, al cospetto degli elettori, sono fieri di un sistema che a chi viene da fuori appare al di sotto della decenza. Dove si può morire, come è capitato negli ultimi mesi al piccolo Davide Campo al Policlinico o nella vicina Barcellona alla dodicenne Miriam Bucolo, per una stupida appendicite. Dove otto medici su dieci, in linea con quanto sostiene il procuratore Piero Grasso, sarebbero indagati per qualche reato o perché denunciati (a ragione o a torto) da pazienti furibondi. Dopo 43 milioni di euro sono fermi da anni perché non viene trovato l’accordo per costituire un centro oncologico d’eccellenza dopo che quello che già esisteva è stato smantellato. Dove accanto a reparti che qua e là sembrano dei gioiellini svizzeri si aprono corridoi deserti su cui si affacciano camere magrebine e porte sbarrate di sale operatorie quasi mai usate e laboratori di analisi che non fanno analisi. Dove fianco a fianco con medici straordinari che mettono l’anima nel loro lavoro bivaccano camici sfaccendati che attendono oziosamente solo di andarsene.
Prendete il «Papardo», l’ultimo e più moderno (sic) dei 3 ospedali cittadini. Costruito su una collina appena fuori città, è costato una montagna di denaro, ha richiesto una montagna di anni di lavori e si è fatto carico di una montagna di problemi dovuti alla chiusura del vetusto «Regina Margherita» che troneggia sul lungomare bello e decrepito. Aperto da sei anni (sei!) ha un ingresso da grand hotel di Las Vegas con decine di sontuosi lampioni mai accesi perché mai l’ingresso è stato aperto. Certe bocche anti-incendio sono orbe del tubo dell’acqua sparito chissà dove. Alcuni bagni dell’attiguo «Papardino» sono sbarrati da porte scardinate messe di traverso. Diversi soffitti appena fatti perdono i pezzi. I pavimenti sono pieni di sigarette buttate negli angoli che nessuno tira su. Nel garage invaso dall’acqua e dalle erbacce riposa da anni un camper seminuovo che ospita, com’è scritto sulla fiancata, una Unità Mobile per la diagnostica Oftalmica con le gomme ormai a terra per il disuso: dentro ha ancora tutti i macchinari, probabilmente arrugginiti o ossidati dal tempo.
Doveva essere un ospedale modello, voluto con tanto di elicottero giallo sempre in pista, per le emergenze. Peccato che la cardiochirurgia sia azzoppata perché invece di 11 medici ce ne sono solo 3. Che la Tac, esattamente come all’ospedale «Piemonte», non funziona. Che la radioterapia è stata completata da tempo ma è ancora chiusa. Che la neurochirurgia è stata avviata ma non per le urgenze. Che fanno acqua, oltre alle avveniristiche strutture di vetro e acciaio rapidissimamente sgarruppate, servizi essenziali. Al punto che anche la Gazzetta del Sud , che pure non ha fama di giornale di battaglia, strilla indignata contro i «tempi inaccettabilmente lunghi» che occorre aspettare per una semplice ecografia: cinque mesi!
Bene: i medici che si sono messi in lista alle elezioni chiedendo il voto ai pazienti sarebbero oltre una ventina. Come Nunzio Bonanno, primario a oculistica. Renato Caldarera, primario del laboratorio analisi. Corrado Carreti, primario di medicina. Giuseppe Nastasi, primario di neurologia... Più alcuni «primari junior», come vengono chiamati i dirigenti delle Unità Semplici. Quali Giovanni Passalacqua di pneumologia, Domenico Mirabello di chirurgia vascolare, Giuseppe Paleologo di cardiologia, Domenico Runci di rianimazione.... Più vari soldati semplici dalla grande passione politica o forse interessati a trovare qualche scorciatoia di carriera.
Bene: tutti questi sono candidati nella lista ufficiale di Alleanza Nazionale o in quella adiacente di Alleanza per Messina. Le quali, rastrellando anche al Policlinico e in altre strutture, arrivano a schierare insieme 34 camici bianchi. Ai quali ne vanno aggiunti 7 schierati sotto le insegne della lista di Luigi Ragno, il candidato sindaco aennino, e 2 sotto quelle della Destra Sociale. Totale dei medici camerati: 41.
«Centrare tutta l’attenzione su noi del "Papardo" e su An però è una forzatura», spiega Giuseppe Crosta, responsabile dei medici della Cgil dell’ospedale conquistato dai nazional-alleati che non a caso occupano con un loro uomo (Giuseppe Parisi) la poltrona di direttore generale, «Noi non mettiamo assolutamente in discussione la professionalità dei colleghi in lista né il loro diritto a fare politica dove gli pare né la limpidezza delle loro carriere. Che i vertici della sanità a Messina siano saldamente in mano alla destra sarà una coincidenza. Ma possiamo dire che questo schieramento così compatto è inopportuno? Che l’immagine che offriamo all’esterno non ci rende onore? E sia chiaro: questo discorso non vale solo per il "Papardo" ma anche per il "Piemonte" e il "Policlinico" dove abbiamo dovuto andare noi, viste le difficoltà dei colleghi che lavorano lì, ad affiggere i manifesti di un convegno sulla sanità indetto dalla sinistra. La verità è che tutta la sanità di Messina è sotto la cupola della destra».
«Li hanno militarizzati tutti, i colleghi», accusa Nunzio Romeo, il medico (e presidente dell’Ordine dei Medici) scelto dal medico Raffaele Lombardo come candidato degli autonomisti. Parole d’oro. Anche se la stessa sinistra presenta qua e là alcuni medici (ce ne sono quattro su 45 candidati nella Margherita, tre su 45 fra i diessini), la stragrande maggioranza dei 111 camici bianchi è stata arruolata da An, Forza Italia e Udc, che in questi anni si sono spartiti le posizioni di comando nella sanità regionale e cittadina. Ma certo non è facile per Romeo fare le prediche: nelle sue quattro liste i medici, lui compreso, sono 41. Solo due meno di An. In linea, come dimostra anche il folto numero di medici ai vertici della regione a partire da Totò Cuffaro, con una scelta antica della politica siciliana di tutti i colori: i pazienti, soprattutto se tenuti al laccio, sono anche elettori. «È una vergogna», sbotta Renato Costa, il segretario regionale dei medici della Cgil già autore di varie denunce di questo andazzo, «Come fanno tanti colleghi, con tutto quello che c’è da fare e con la sanità siciliana negli stati in cui è, a buttarsi in politica? La verità è che quando certi potentati non sanno dove recuperare voti usano i medici a fini elettoralistici. È il controllo del territorio che avviene attraverso un bisogno diffuso: e qual è il bisogno più diffuso se non la sanità?».

Gian Antonio Stella