Agenzie regionali per la protezione ambientale
Un parto difficile ed una vita stentata
“a cura di Marcello Panarese “

Il referendum del 1993, che tolse alla ASL la competenza sui controlli ambientali, spinse il legislatore a promulgare il D.L. 4 dicembre 1993, n. 496 "Disposizioni urgenti sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione della Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente", convertito in legge dall'art. 1, comma 1, L. 21 gennaio 1994, n. 61.
Sulla base di questa legge nazionale le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano hanno istituito con proprie leggi le Agenzie regionali (o provinciali) per la protezione ambientale (ARPA o APPA), dando la propria interpretazione applicativa della norma nazionale. Ovvero inserendo esclusivamente le competenze previste o allargando il campo di intervento istituzionale a settori che la legge nazionale lasciava di competenza del Sistema Sanitario e nello specifico dei dipartimenti di prevenzione.
L'indirizzo governativo sulla protezione ambientale ha, successivamente portato l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA) a modificare parzialmente, con il D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, la sua fisionomia organizzativa, ma più profondamente la sua impostazione di attività. Il cambio del nome da ANPA ad APAT (agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente ed i servizi tecnici) ridefinisce il modello di intervento sull'ambiente, legandolo a tutto il settore della difesa del suolo e della ricerca. Su questo argomento si apre la necessità di un confronto che merita un maggior approfondimento rispetto a quello che potrà essere qui svolto ed a cui si rimanda assumendolo come impegno futuro.
La stessa nascita delle ARPA (APPA) non è stata priva di contrasti e di difficoltà nel panorama nazionale ed ancora non si può dire che si sia conclusa a più di un decennio di distanza dal referendum, la fase istitutiva: quand'anche sono state istituite, le ultime nel 2002, le agenzie soffrono spesso di carenze strutturali, finanziarie o di dotazioni organiche. Queste ultime in alcune agenzie non sono ancora state definite!
La carenza che, tuttavia, si rivela essere predominante all'interno del panorama nazionale delle ARPA di più vecchia istituzione è quella della vera definizione degli obiettivi e della conseguente capacità di intervento sulle quali sono nate. La modifica del titolo V della costituzione, di contrastata applicazione, che sembra ricentralizzare verso il governo nazionale le competenze sull'ambiente, ed il citato cambio ANPA/APAT sembrano provocare in alcune regioni (vedi la Toscana) la voglia di cambiare la legge istitutiva della rispettiva ARPA.
Ma in generale, come si è udito al convegno di ASSOARPA del 23-24 giugno 2004 a Castel Bolognese, è tutto il sistema agenziale delle ARPA ad attraversare complessivamente una crisi di identità, di prospettive, di finanziamento e di capacità operativa. In attesa di fare un quadro nazionale sulla base delle risposte al nostro "questionario sulle ARPA", la sensazione che nasce da segnali che giungono attraverso i compagni è di una diminuzione generale delle prestazioni pubbliche e della esternalizzazione anche di attività istituzionali.
Ciò non può che preoccuparci sia sul piano della tutela dell'ambiente e della salute, sia su quello occupazionale. Mentre sul primo problema si assiste al deperimento speculare di tutto il sistema della prevenzione sanitaria, su quello occupazionale le ARPA storiche, che fino ad ora hanno spesso operato utilizzando personale precario con contratti di lavoro dei più vari, non stabilizzano se non parzialmente i posti di lavoro.
Un altro problema di non poco conto, collegato strettamente a quanto sopra illustrato, è la tendenza delle regioni ad un nuovo centralismo regionale, con la concentrazione delle attività sensibili per il livello politico e di quelle specialistiche in centri di valenza regionale, impoverendo le attività dei dipartimenti provinciali ed il rapporto con il territorio che le strutture di prevenzione e protezione debbono avere
Dalla lettura di alcune delle stesse leggi istitutive delle ARPA emergono alcune considerazioni, sia di ordine generale che specifico.
Manca spesso, preliminarmente alla produzione legislativa, un ragionamento forte, una dichiarazione d’intenti, una proposta generale, un’idea guida che serva a meglio specificare per il futuro se sussiste e qual è il ruolo e la funzione delle ARPA.
Non solo è necessario ragionare su questo, ma è indispensabile affrontare una riflessione di prospettiva sul ruolo delle ARPA in quanto tutte queste agenzie sul piano nazionale - e nello specifico quelle nate da più tempo - mostrano la corda sul terreno della propria funzionalità e su quello del finanziamento. La questione non è risolvibile con una semplice elencazione di attività o collaborazioni, ma deve servire ad unire il ruolo dell’agenzia alla sua funzione istitutiva. Il modello generale dell’organizzazione territoriale delle agenzie ed i livelli minimi di articolazione di ogni struttura dipartimentale o di pari dignità, dovrebbero, a nostro avviso, essere indicati nelle leggi in modo da evitare che con semplici atti regolamentari si snaturino le competenze stesso o il legame fra dipartimenti provinciali e territorio, legando le suddivisioni territoriali ed i settori tecnici della struttura a quelle sanitarie ed amministrative. Ciò permetterebbe di incentivare il rapporto con le amministrazioni e gli organi statali verso le quali le strutture delle ARPA avrebbero una naturale proiezione e con le quali sarebbe possibile creare le necessarie sinergie di intervento: sia sul campo ambientale che su quello della prevenzione degli infortuni quasi mai alla sovrapposizione delle competenze di controllo corrisponde un aumento della tutela.
La nostra proposta deve essere quella di legare strettamente l’obiettivo della difesa delle matrici ambientali alla tutela della salute dei cittadini in forma preventiva, effettuata dalle ARPA in stretta collaborazione con le AUSL in quanto la maggior parte dei problemi nascono dal sostanziale fallimento della separazione della protezione ambientale da quella sanitaria.
A nostro avviso possono essere individuate, oltre a quelle già illustrate, le seguenti “motivazioni di crisi delle agenzie nel contesto politico istituzionale”, che porta al sotto finanziamento delle attività:
- un ripensamento sull’esistenza e sulla natura delle Agenzie (potremmo anche dire Agenzia perché le ARPA sono gli unici degli Enti funzionali delle Regioni ad avvicinarsi al modello anglosassone) e il concentrarsi di potere nei Dipartimenti Regionali o nelle strutture centralizzate a stretto contatto con il livello politico delle dirigenza regionale;
- una concentrazione eccessiva ed oggettiva di poteri nella figura del direttore generale che, fra l'altro, ha contribuito a determinare una gestione quasi “autarchica” e, spesso, non condivisibile del personale e dell’organizzazione agenziale;
- sul fronte delle ispezioni e dei controlli (fronte più esposto e delicato) un complesso di interessi ha fatto si che il potere di nomina degli UPG, nella prassi, diventasse quasi una forma di gestione del personale;
- il ritorno delle Provincie, nel corso degli ultimi anni in modo evidente in alcune regioni, ad un ruolo importante di programmazione intermedia con poteri reali in materia di ambiente e territorio, ha fatto si che si aprissero dei fronti di “conflitto” di competenza e ruolo con i Dipartimenti provinciali ARPA, molto spesso risolti per via negoziale in modo positivo: qui le leggi non sempre regolano, o vogliono regolare, le rispettive competenze, ruoli, e necessarie integrazione e interazioni;
- nel corso degli anni i rapporti con la Sanità (nonostante la sempre più diffusa consapevolezza dell’interazione tra ambiente e salute delle popolazioni) o non ci sono stati o sono stati sporadici e conflittuali, ma le ASL non sono in grado di effettuare i controlli in materia se non si integrano con ARPA;
- l’attività di educazione e formazione ambientale è fondamentale per l’azione di diffusione di comportamenti corretti di imprese, famiglie ed enti pubblici in materia ambientale e non può essere lasciata al solo settore privato del business ambientale.

Ci pare, quindi, necessario il richiamo all’art. 3, comma 3, della citata L. 61/94, che affronta il problema organizzativo delle ARPA dal versante della necessità di assicurare efficacia e indirizzi omogenei all'attività di prevenzione, di vigilanza e di controllo ambientali, nonché di coordinamento con l'attività di prevenzione sanitaria.
Inoltre, sempre sulle questioni generali, è motivo di grande preoccupazione l’incertezza dell’entità e dell'origine dei finanziamenti delle attività delle Agenzie apre, come detto, una qualche preoccupazione sul futuro. E’ nostra opinione che, in un quadro di scarsità delle risorse che attanagliano il mondo della sanità determinato dai tagli ai trasferimenti effettuati dalle Leggi Finanziarie e dalle riforme in atto, sarebbe più giusto far discendere il finanziamento dai legami concreti che esistono fra tutela dell’ambiente e tutela della salute dei cittadini, assegnando una quota precisa delle risorse che i vari PP.SS.RR. destinano alla prevenzione al finanziamento delle attività delle ARPA.
D’altra parte lo stesso Piano Sanitario Nazionale prevede una serie di atti ed obiettivi che contribuiscono a descrivere più del 90% della attività corrente delle ARPA per cui, in attesa di aprire un ragionamento sullo stato della prevenzione in senso lato e coinvolgendo tutte le aree interessate, ragioniamo sulla riaffermazione dello stretto legame fra la protezione ambientale e quella sanitaria.